domenica 22 febbraio 2009

omelia dell'ultima domenica dopo l'Epifania


Cerco insieme a voi in questa domenica di superare quell’antipatia immediata che suscita il fariseo della parabola.
In fondo è un uomo giusto e non ha nulla davvero da rimproverarsi. Mentre parla di sé racconta il suo pieno rispetto per i Dieci Comandamenti; digiuna anche due volte a settimana, quanto cioè la Legge richiedeva a chi fosse incappato, suo malgrado, in qualche peccato; è un uomo generoso perché offre la sua decima ben oltre quanto prescritto. Sì, forse, poteva risparmiarsi la critica al pubblicano e poteva non scadere nel giudizio. In questo non possiamo che dare ragione a Paolo mentre invita i suoi a non giudicare nessuno, a non sostituirsi a Dio. Ma questo fariseo è un uomo davvero impeccabile! Eppure Gesù ci dice che torna a casa sua non giustificato.
Il pubblicano invece, in fondo al Tempio, come potrebbe alzare lo sguardo? Forse era un ladro, forse un omicida o un adultero. Biascica una preghiera ingenua e scontata. Eppure Gesù dice di lui che se ne torna a casa giustificato, ascoltato, benedetto, perdonato. Ma basta così poco per essere perdonati da Dio? Se le cose stanno così non possiamo che dedurre che Dio è ingiusto! Preferisce chi sbaglia a chi si impegna con rigore ad essere giusto! E di conseguenza, che senso ha sforzarsi tanto per essere giusti se poi Dio ha un parametro di giudizio così paradossale!
Lasciamo che questa parabola ci bruci sulla pelle e proviamo per questo a darne un’eco.
Quante volte mi è capitato di sentir dire da molti che, in oratorio, bisogna lasciar perdere quei ragazzi in difficoltà per occuparci invece di chi ci crede seriamente, di chi dimostra interesse per un autentico cammino di fede. Quante volte mi sono sentito dire che non vale la pena impegnarsi ad essere moralmente irreprensibili se poi Dio perdona con estrema facilità e per lui un peccatore pentito vale più di molti giusti che non hanno bisogno di conversione. Quante volte anche noi, di fronte a vere e proprie storie di conversione, siamo diffidenti, addirittura amareggiati e scontenti, pensiamo che, in fondo, non sia vero, preferiamo tacere e aspettare un segno che confermi il nostro pregiudizio.
Ma torniamo ora alla questione centrale: davvero Dio sottovaluta lo sforzo del fariseo di restare onesto? No. Dio sa la fatica e l’impegno che ci mettiamo per essere suoi figli, immagine di Gesù, creature obbedienti. Comprendiamo allora che non hanno senso quelle considerazioni sull’inutilità di compiere il bene: il bene vale in sé, non si fa per una retribuzione, ci rende felici quando lo compiamo. Il vero bene poi nasce dall’incontro con il Dio dell’Amore, da quel desiderio di essere come lui sempre. Il limite del fariseo è di perdersi in un monologo, di dimenticare ad un certo punto della sua preghiera che è a Dio che deve tutto quello che ha costruito. Il suo limite è di voler bastare a se stesso. Di essere autonomo, autosufficiente, di credere di essere salvato per uno sforzo suo. D’altra parte invece il pubblicano vive l’esperienza di una preghiera autentica. Si affida a Dio, si getta ai suoi piedi perché sa di essere accolto, compreso, ascoltato e perdonato. Lascia che Dio sia tale nei suoi confronti e si lascia raggiungere dal suo Amore che tutto copre. Sono convinto che, fuori da quel Tempio, la giustificazione ricevuta avrà scatenato, come in una reazione a catena, il pentimento e poi mille e più gesti per ripagare il torto fatto e poi ancora l’impegno serio di fare solo il bene.
Penso che la lettura del Vangelo di quest’oggi abbia almeno due consegne da darci. La prima è quella di evitare l’atteggiamento del fariseo e vivere l’umiltà di chi sa che noi non siamo nulla senza Dio e che Dio è tale perché si rivela forza nella nostra debolezza, orizzonte aperto nelle nostre chiusure, Amore imprevedibile nei nostri egoismi. È un invito fare della nostra preghiera un rendimento di grazie per il bene che riusciamo a fare ma solo per Grazia. La seconda consegna nasce invece dall’atteggiamento del pubblicano. In particolare vorrei rivolgermi a chi fra noi si sente peccatore, ferito dalla vita, a chi si lacera in un senso di colpa intollerabile, a chi sa di aver sbagliato e si sente inchiodato ai suoi errori, a chi sente su di sé il giudizio di qualcun altro, magari anche della Chiesa, ma più ancora non crede più in se stesso. Non abbiate paura! Coraggio! Il nostro Dio è perdono. Non è giudice implacabile ma compagno di viaggio. Dio ha mille e più sentieri per raccoglierci dove siamo caduti. Il suo fare è di Padre che ci schioda dai nostri errori e ci dà la forza e il coraggio di affrontare nuovamente la vita. Ai suoi occhi noi siamo più dei nostri errori perché siamo suoi figli. Proviamo allora a rileggere la prima lettura in questa settimana che ci separa dalla Quaresima, da questo tempo di grazia in cui siamo chiamati a migliorarci a partire però non tanto dai nostri sforzi ma dalla certezza del perdono. Sentiamo che questa è una dichiarazione d’amore che ci viene offerta senza meriti. Chi rimane fedele all’Alleanza è sempre e comunque Dio e su questo amore possiamo scommetterci seriamente.

sabato 21 febbraio 2009

omelia della domenica della penultima settimana dopo l'Epifania - la divina Misericordia


Ormai abbiamo iniziato a prendere dimestichezza con il nuovo Lezionario Ambrosiano e abbiamo colto che uno degli aspetti più caratteristici è quello di proporre dei temi piuttosto che seguire la lettura continua di alcuni libri della Scrittura. E così le due domeniche che precedono l’inizio della Quaresima, proprio per preparare il cuore a questo tempo sacro, mettono al centro il messaggio della Salvezza e del perdono di Dio.
Vorrei, prima di passare al commento del Vangelo ascoltato, dare qualche risonanza al tema anzitutto attraverso un’immagine. Se noi pensiamo al nostro rapporto con Dio come ad una corda ai cui estremi stiamo noi e Lui, il peccato è un taglio che noi diamo a questa amicizia, è staccarci dal suo Amore. Il suo perdono, che ci viene donato nella celebrazione della Messa e soprattutto con il Sacramento della Riconciliazione, è un nodo che noi e Dio stringiamo. Tuttavia, tagliando e annodando continuamente, la corda si accorcia e i due estremi si avvicinano. Ecco, Dio, con il suo perdono, ci avvicina a Lui. A Dio piace perdonarci, sembra sia fra le cose che meglio gli riescano! Lui è Dio perché non conserva il rancore, perché si getta dietro le spalle il nostro male, Lui ci libera dal peccato come gettando un anello in fondo agli abissi dell’oceano più profondo. Quando sperimentiamo il suo amore che arriva a riconciliare le ferite più profonde del nostro cuore su di noi scende la pace e ci culliamo nel suo abbraccio. È anche il messaggio che abbiamo ascoltato nella lettura del profeta Osea. Dio avvicina a sé il suo popolo in un rapporto tutt’altro che lineare fatto di peccati dell’uomo e fedeltà all’Alleanza promessa e mantenuta da Lui.
E ancora vorrei rivolgere a me e a tutti voi una domanda che reputo cruciale: ma noi, al perdono di Dio, crediamo sul serio? Penso infatti che sapremo davvero chi è il Padre, cos’è il suo Amore, cos’è il Vangelo e chi è Gesù che lo annuncia unicamente se avremo per una volta almeno in vita assaporato il suo perdono, se avremo sperimentato la riconciliazione profonda che ci schioda dalle nostre colpe e ci ridona la vita, che ci offre il coraggio di alzare la fronte e camminare a testa alta come figli. Ma a volte, proprio a partire dal fatto che per noi perdonare è difficile, e a stento ci riusciamo - in effetti per noi uomini ricevere e dare il perdono non è mai un punto di partenza ma sempre una meta da raggiungere - ci convinciamo di non essere meritevoli di perdono, ci assale un senso di disistima profonda, arriviamo a dubitare che Dio possa perdonare noi e proprio noi (gli altri magari sì) per quel peccato commesso in quell’occasione e che ci ha come paralizzati. Il Vangelo invece è la certezza che Dio è Padre e ti accoglie a braccia aperte. È la convinzione di valere per lui. E quando incontri un amore così grande non puoi che ricambiare con altrettanto amore.
E infine un’ultima riflessione. Se vuoi sentire il perdono di Dio prima devi sapere di aver sbagliato, devi essere cosciente di avere peccato, di aver tagliato quel filo di amicizia con Lui. Spesso non è raro sentire qualcuno dire, magari anche nel contesto della confessione, in fondo, io che peccati ho fatto! Certo, ripassando il decalogo, scorrendo l’elenco delle cose da non fare che a catechismo ci avevano insegnato fossero peccati, magari non troviamo nulla. Ma il cristiano, che vive nella Legge dell’Amore, sa che non basta non fare certe cose per essere in pace: deve agire, deve essere positivo, deve amare, sempre! È la parola annunciata con tanta forza da Paolo ai Galati che sembravano essere indietreggiati nel cammino della Salvezza e sembravano preferire la Legge alla Grazia. La fede in pienezza non è non oltrepassare i paletti che la Legge pone sul cammino della vita per non compiere il Male. La vera fede è vivere di Cristo, è essere simili a lui in ogni scelta. Il peccato è aver svilito in noi l’immagine del figlio di Dio, è non aver centrato l’obiettivo di vivere a sua immagine. Se è così allora, aprendo il cuore, scopriamo che vi abitano rancori che raggelano e che ci hanno portato a tagliare alcune relazioni; scopriamo che la nostra preghiera è arida ma non perché Dio è assente ma perché non è matura, non è guidata dall’ascolto della Parola; ci accorgiamo di non aver assecondato lo Spirito e di essere rimasti ancorati a noi stessi; sentiamo il peso dei nostri egoismi e i nostri tiepidi slanci di carità. Il senso del peccato - che è diverso dal senso di colpa che è solo sterile, che ci apre all’accogliere il perdono di Dio - nasce e matura nell’ascolto silenzioso della Parola e dal fare nostre, nella fatica del quotidiano, le scelte di Gesù.
E ora vorrei sottolineare con molta semplicità questa pagina di Vangelo che in sé è già molto eloquente invitando ognuno di noi a riprenderla lungo il corso della settimana e, perchè no, magari per prepararci a ricevere il Sacramento della Riconciliazione per entrare pronti in Quaresima.
La Pagina ci offre un dittico affrescato splendidamente. Da una parte il coraggio di questa donna che non ha paura a gettarsi ai piedi di Gesù, a sfidare il pre-giudizio di quei commensali, a chiedere in silenzio, con le lacrime sul volto, il perdono per i suoi peccati. E dall’altra c’è Simone che si ritiene giusto, chiuso in un orgoglioso sentimento di autosufficienza, che oltretutto si scandalizza di come Gesù si lasci toccare da quella peccatrice senza opporre rifiuto.
Penso che l’azzardo di questa donna non trovi commento migliore se non nelle parole di Gesù. Lei ama e per questo le sono perdonati i suoi peccati. E perché le sono perdonati i peccati ama ancora di più. Ha capito meglio di tutti chi è Dio e cos’è la Fede.
E noi non dobbiamo avere paura di tentare lo stesso suo azzardo. Dall’altra parte c’è un Messia buono che è pronto a spalancare le sue braccia e farci sentire, per quello che siamo e non per quello che dovremmo essere, figli amati, raccolti anche nel luogo più impervio in cui siamo caduti.