domenica 28 marzo 2010

Domenica delle Palme

In questa domenica delle Palme la liturgia ci dona una Parola che, se da una parte anticipa il mistero della Passione e della Risurrezione del Signore – piccolezza e grandezza, debolezza e potenza sono strettamente e sempre intrecciate – dall’altra, e penso in particolare al brano di Giovanni, sembra una composizione di un’opera, una presentazione dei personaggi che entrano in scena e occupano il loro posto preciso nella drammatica della Pasqua.
Ci sono i Giudei con la loro curiosità e la loro superficialità. Si domandano se Gesù verrà alla festa, se si farà vivo a Gerusalemme, e in effetti Gesù dal giorno in cui ha compiuto il segno alla tomba di Lazzaro, si è ritirato in una zona deserta, si chiedono se solo con la sua presenza tornerà a tendere la corda e a sfidare l’autorità che già lo aveva condannato. Rimangono al margine degli avvenimenti, sono indifferenti, sono un pubblico stanco che si aspetta un diversivo per emozionarsi ma non per schierarsi in modo assoluto, prendere posizione e dichiarare la propria scelta. La Pasqua non scalfirà i loro cuori e tutto avverrà senza cambiamenti.
I capi del popolo invece sono presenti dietro le quinte con la loro rabbia che si fa accusa e poi complotto. Hanno imprigionato Gesù in uno schema, lo hanno bandito dal loro cuore, cercano disperatamente la controprova che giustifichi la loro opposizione, hanno al pretesa di aver capito ogni cosa di Dio. Tramano alle spalle di Gesù, cercano solo il modo per averlo fra le mani e poi la condanna verrà da sé.
Ci sono Maria, Marta e Lazzaro con la loro amicizia che si fa condivisione. Sono i personaggi positivi in assoluto. Marta e Lazzaro siedono a tavola con Gesù. Maria compie questo gesto esasperato. L’amicizia a volte non ha bisogno di grandi parole, ma è fatta di gesti silenziosi che dicono la condivisione di uno stesso orizzonte. Maria sente che Gesù avrebbe donato la sua vita e con quell’olio sparso sul capo del Maestro dice il suo dolore ma anche la sua partecipazione a quella morte che è dono totale di sé.
E poi ci sono i discepoli. Anche loro siedono a tavola ma non comprendono fino in fondo quello che sta per accadere. Anche il loro cuore è chiuso, hanno in mente che qualcosa di grande succederà, forse drammatico, ma che alla fine una rivoluzione ci sarebbe stata e con o senza Gesù sarebbero saliti al potere di un Regno nuovo. Giuda, in particolare, lui soprattutto rappresenta il dramma di chi non vuole comprendere e condividere il Mistero dell’annientamento di Gesù, la teologia di un Messia che decide di spezzarsi per amore dell’uomo, di un Dio che sfida la logica di questo mondo e si imbarca su un fallimento per costruire nella debolezza un ordine nuovo. Le sue parole suonano stonate ma è solo la punta evidente di un dramma interiore immenso. Forse Giuda si sarà sentito tradire da Gesù ed è per questo che tradisce. Forse vedrà infrangersi uno ad uno i sogni di un mondo nuovo e per questo decide di mandare in frantumi la sua sequela. Forse vuole provocare il Maestro ad abbracciare la logica della violenza e del tutto subito e per questo compie un passo che lo spinge alla disperazione.
A noi è chiesto di prendere posizione in questa composizione di luogo…con oggi, se vogliamo fare Pasqua, non ci è permesso di sottrarci e dire dove siamo e con chi stiamo.
Io, e non per retorica, mi sento dalla parte dei discepoli, sento la fratellanza di Giuda, con le mie frasi sconnesse, la coscienza del mio tradimento consumato ogni giorno anche se sono chiamato a seguire da vicino Gesù, con il mio non comprendere la logica del Vangelo, del chicco di grano che deve morire per portare frutto, con la mia voglia di vedere subito il risultato del mio lavoro, con la mia distanza ostinata dal Vangelo, con la mia voglia di primeggiare, con la confusione costante fra il mio ordine e l’ordine del Regno di Dio dove è grande chi è piccolo e dove vince chi solo in apparenza perde e si perde. Giuda mi è fratello oggi e mio malgrado molto più di Maria, Marta e Lazzaro.
Alla fine della quaresima, i giorni della settimana autentica gettano una luce sulla nostra povertà, ci riscoprono autenticamente per quello che siamo, con il nostro cumolo di buoni propositi mai portati a termine e con la nostra voglia di primeggiare. Gesù si dona a noi proprio nella notte dei nostri tradimenti. E così ci scopriamo all’improvviso sommersi dalla misericordia, come quel profumo che invade la casa, inondati di Grazia proprio nella nostra miseria. Ancora una volta noi siamo quelli che devono lasciarsi salvare. E non è una condizione da poco per celebrare bene la Pasqua.

sabato 20 marzo 2010

quinta di quaresima

Cara Marta,
ti scrivo appoggiata al davanzale della finestra della nostra casa a Betania. È bastato un raggio di sole di primavera per far sbocciare le tue azalee nel nostro giardino e, nel fresco di questa mattina di primavera, raccolgo tutto il loro profumo. È il miracolo della vita che rinasce che si presenta ancora ai miei occhi. Mi ricordo quando Lazzaro ancora bambino un giorno entrò con la mano piena di fiori - più che colti - strappati apposta per te: mi chiedo ancora come hai fatto a sorridergli invece di arrabbiarti!
Adesso che sei partita questa casa è davvero vuota. Io non riesco a darle tutte le attenzioni che tu ci mettevi. Forse se ne sono accorti anche gli amici che sono sempre più rari e sempre più di fretta. Come mi sembrano lontani i giorni in cui ci sentivamo al centro del mondo, sul crocevia di un’avventura che avrebbe cambiato la nostra storia. Certo, noi tre giocavamo sul retroscena, eravamo solo gli amici del Maestro, preoccupati di dargli ospitalità e ricoprirlo di tutte le premure possibili. Gli piaceva la nostra amicizia, lo faceva sentire bene, avevamo una sintonia quasi totale, con noi lui si permetteva di condividere tutto.
Ora ho più tempo per me, per ascoltare la Parola, per immergermi nel cuore di Dio e devo dirti che nel silenzio sto componendo come un mosaico tutte gli incontri con Gesù e le sue parole e credo di comprendere che lui è davvero il Messia, il Figlio di Dio - tu ci sei arrivata prima di me - e perché vivo, sento la sua mano stretta alla mia ogni momento. È cambiato tutto, non è cambiato nulla, tutto ora è più limpido, la mia amicizia con lui più profonda e più vera.
Ma questa serenità è la meta di un cammino che ha conosciuto la notte della fede, la crisi vera. Il giorno in cui Lazzaro morì e si presentò il Maestro solo dopo 4 giorni mi sentivo non solo spezzata ma anche presa in giro. Avevo deciso di non voler ascoltare le sue parole, avevo deciso di sprofondare nel mio dolore colmo di rabbia e disperazione, di restare muta e inerme come la pietra che sigillava il sepolcro di nostro fratello: a che cosa mi sarebbe servita la sua consolazione? Se davvero avesse potuto fare qualcosa perché non è venuto in tempo? E quel Dio buono come un Padre di cui ci parlava perché taceva, perché sembrava lontano e assente, perché non aveva impedito che il nostro amore si fosse spezzato così presto? Forse se tu non mi avessi tirato fuori di forza da casa io non sarei mai venuta al sepolcro. Gesù, non potrò mai dimenticarlo, vedendomi piangere, pianse anche lui, lacrime che mi sono sembrate le mie, di dolore e di rabbia, e poi la sua preghiera a Dio. In cuor mio sentivo l’angoscia non solo di aver perso un fratello ma anche il Padre. Lui invece no, anche in quel momento si abbandonava alle braccia di Dio. Mi hanno detto che anche nell’ora della sua morte ha fatto così: chissà se davanti al sepolcro di Lazzaro stava pensando che da lì a poco anche a lui sarebbe toccata la stessa cosa. E poi il segno. Tutti hanno visto. Lazzaro è uscito dalla tomba, le bende che gli avevo messo io erano ancora attaccate ad un corpo però non più inerme, ma vivo. E lì il cuore si è stretto fino al punto che credevo di morire anch’io. Era paura, stupore, felicità, la luce entrava all’improvviso nel cuore come il sole in una stanza buia.
Da quel giorno ho capito chi è il Dio in cui credevo, ho fatto esperienza della sua presenza, del suo essere il Dio dei vivi, ho capito che la morte accade ma non ha l’ultima parola e che non viene da lui. La paura più grande dell’uomo è vinta se vivi fidandoti e affidandoti a un amico come Gesù.
L’altro giorno a casa nostra è passato Andrea. Mi diceva, tornando verso Gerusalemme, che noi eravamo fortunate ad aver toccato con mano cos’è la risurrezione. Forse è vero. Ma gli ho detto che risurrezione non è solo quella di Lazzaro, nella vita la puoi sperimentare in tanti modi; se solo apri gli occhi ti puoi accorgere di quante volte la vita vince la morte: quando ritrovi un amico, quando fai pace con qualcuno, quando prendi in mano carta e penna e ricuci una relazione sfilacciata e lacerata, quando dici a qualcuno che gli vuoi bene senza aspettare, quando una nuova vita si schiude nel grembo di una mamma, quando un malato offe il suo dolore, quando ti lasci perdonare, quando vedi le azalee a primavera e capisci che sei come loro: basta un raggio della presenza di Dio e ciò che è morte in te diventa vita.
Marta, anche vederti per me sarà assaporare la Risurrezione.
Ti aspetto per la prossima Pasqua che la luna quasi piena in cielo già annuncia.
Con amore,
tua sorella Maria

domenica 7 marzo 2010

terza di quaresima

Caro Giovanni,
ho trovato il coraggio di scriverti queste righe a distanza di molti anni dalle cose vissute assieme. Sono pensieri a lungo meditati che finalmente trovano forma. Ti starai chiedendo perché proprio tu sei il destinatario di questa lettera: quando ho iniziato anch’io a seguire il Maestro mi hanno sempre colpito la tua audacia, la tua attenzione, la tua capacità di imitarlo e la tua voglia di primeggiare fra tutti e in effetti – non senza un pizzico d’invidia da parte nostra – per te Gesù ha sempre avuto un occhio di riguardo! Da quello che mi hanno raccontato tu sei l’unico rimasto ai piedi di quella croce su cui è finita la sua storia. Non credo sia vero quanto dite sia accaduto dopo: la Risurrezione è un fatto troppo grande per essere già presente in questa nostra storia così prosaica! Tu sei rimasto fino alla fine, io sono andato via nel bel mezzo della scena; tu sei stato coerente ed è una dote che non credo di aver mai avuto.
Forse ti ricorderai di quel giorno in cui Gesù ci ha messi con le spalle al muro senza risparmiarsi parole dure. Mi risuonano ancora nella mente, lo scorrere del tempo non ha levigato per nulla la loro forza. Voleva che noi scegliessimo lui e la sua strada oppure che ce ne andassimo per sempre: per lui la logica del numero non è mai stata importante; per il nostro bene ci chiedeva di non tenere aperte scorciatoie, ci obbligava a una decisione, ci voleva seriamente liberi. Libertà…che parola grande! Solo ora comprendo che significa poter decidersi per qualcosa o per qualcuno. Allora pensavo che fosse non avere vincoli, non essere schiavi di nessuno. Ma se non ti decidi resti schiavo dei compromessi e delle paure.
E io di paure ne avevo tante: la sua strada mi affascinava, sentivo che era davvero giusta, aveva parole come non ho sentito mai da nessuno eppure intuivo che il prezzo da pagare sarebbe stato troppo caro: l’amore, se ti prende fino in fondo, ti porta a spezzarti e a donarti senza riserve. Mi piaceva stare ad ascoltarlo ma non mi sono mai deciso a rompere con il mio mondo così rassicurante di leggi e di precetti: con lui non bastava non fare il male, bisognava compiere il bene ed è una strada troppo in salita per uno come me che è sempre stato ripiegato sulle sue piccole cose. Il Dio di cui ci parlava è amore incondizionato che chiede di essere perfetti nell’amore come lui, troppo vago per chi come me ha bisogno di un Dio giusto che mi dice come vivere il mio tempo e come giudicare le cose e le persone attorno a me.
Ti starai chiedendo se anch’io quel giorno ho preso fra le mani almeno una pietra per tirargliela addosso. No, non sono arrivato a tanto ma ero accanto a chi era pronto a ucciderlo. Il suo discorso era talmente lucido che non riuscivamo a tenergli testa e ci sentivamo impotenti, smascherati, a corto di parole. Era come la luce del sole al mattino: pian piano le sue parole mettevano in risalto le nostre zona d’ombra e questo ci faceva rabbia. Avrei voluto scomparire quel giorno di fronte al vociare della gente che ascoltava e davanti alla quale ci ha messi in ridicolo, quella gente che ci ha sempre temuto e rispettato e che ora poteva scoperchiare il fondale della nostra ipocrisia e della nostra incoerenza.
Una sola cosa avrei voluto chiedere a Gesù: il suo sorriso. Ho sete della gioia vera, non l’ho mai provata, penso che avergli girato le spalle sia stata un’occasione perduta per poterla conquistare. E ora è troppo tardi! Ti prego, alla tua pagina che racconta di quel giorno, aggiungi alle parole Verità e Libertà anche la parola Felicità! Penso sia strettamente legata.

Con affetto,
Giona il fariseo, un compagno di viaggio perduto.