domenica 5 giugno 2011

settima di Pasqua

Questa domenica, sospesa fra l’Ascensione di Gesù e la Pentecoste, ci dona le coordinate per essere comunità che da una parte attende il ritorno del Signore e dall’altra sa abitare con pienezza questo tempo.

Vorrei soffermarmi soprattutto sulla lettura di Atti per cogliere le suggestioni che ci offre e poi trovare le indicazioni necessarie per la nostra vita di Chiesa e di discepoli.

Il quadro abbozzato da Luca si colloca subito dopo l’Ascensione. Ha fine quel tempo provvidenziale in cui il Risorto si rendeva disponibile ai suoi discepoli per istruirli e per renderli saldi nella fede; è Gesù che vuole dare una fine ad una stagione, che vuole separarsi, quasi farsi da parte, ma per rivestire di responsabilità, rendere finalmente adulti quegli uomini e quelle donne che si era scelto. Come ogni padre, anche Gesù sa cosa significa dare ad un certo punto filo all’esistenza dei propri figli e prova gioia nel vedere che, come un aquilone, sono capaci di librarsi nel vento della vita. Lui continuerà ad essere il loro fondamento, il loro principio, la loro motivazione, la sua vita e la sua Parola continueranno ad essere il paradigma su cui declinare le loro vite e le loro scelte finché non tornerà fra noi. il Vangelo ci dice infatti che Gesù si farà trovare per sempre nella Parola, nel Pane spezzato e nella comunione intensa attorno a Simone, appuntamento che si rinnova nell’Eucarestia di domenica in domenica.

Quella comunità sente la forza di un tempo che si apre e mi sembra siano due le tensioni che decide di abitare: la comunione e la missione che sono come le due fasi del respiro, come il movimento di una fisarmonica che si apre e si chiude e lancia le sue note.

L’ immagine che dice la comunione è quella stanza al piano superiore dove si incontravano tutti assieme per pregare. La comunione, quella vera, nasce freschissima sempre dall’incontro con il Padre di Gesù. Perché non ci può essere fraternità autentica se non si sa da quale roccia si è stati scalfiti. Perché non si può imparare a volersi bene accettando le differenze se non si sta immersi nella contemplazione del Dio che è Uno in Tre Persone distinte. Perché non si può amare il fratello a partire dalla sua debolezza e dalle sue ferite se non ci si lascia amare e perdonare dal Figlio che ha dato la sua vita per noi.

L’immagine che dice la missione è la strada, non esplicitata in questo passaggio, ben presente nel libro: le strade di Gerusalemme su cui i discepoli scendevano ad insegnare, le strade del mondo che i loro piedi hanno percorso, le strade infinte su cui ha abitato Paolo nella sua missione.

La fede e la comunione nella Chiesa sono autentiche solo quando sanno trasformarsi in missione, in carità operosa, solo quando si va alla ricerca dell’uomo smarrito per annunciargli il Vangelo della gioia. La missione è la ricerca di chi si è perduto anche scendendo su sentieri stretti e difficili, proprio come ha fatto Gesù – fra l’altro anche andando a recuperare i due fratelli che si erano smarriti sul sentiero verso Emmaus – che è il buon Pastore che ha dato la sua vita per allargare sempre di più il suo gregge e per abbassare il muro di divisione.

Se vogliamo essere Chiesa dobbiamo necessariamente anche noi riscoprire con forza questo doppio movimento. Chiediamoci che ne è della nostra capacità di comunione di Chiesa alla Barona. Forse dobbiamo renderci conto che chi ci sta accanto, anche ora, in questo momento, è dono di Dio e nella capacità di essere una cosa sola nelle differenze è detta la Verità della nostra fede. Non esiste una fede giocata come un’avventura solitaria. Questa Messa che noi celebriamo ci rende insieme il Corpo di Cristo. La nostra preghiera deve poi sempre di più unirci.

E poi interroghiamoci sulla nostra capacità di aprirci alla Missione, di trasmettere con gioia il senso della nostra scelta di fede. Il volto della nostra Chiesa del futuro è tutto racchiuso nelle nostre mani. Non ci capiti di arrestare la corsa del Vangelo: noi e proprio noi, più con i gesti pieni di carità che con le parole, siamo chiamati a raccontare la bellezza dell’incontro con Cristo e ad essere contagiosi di beatitudine.

È anche chiaro che questo doppio respiro di comunione e di missione può essere letto anche all’interno delle nostre famiglie…oggi, del resto stiamo vivendo una festa che dice che la nostra comunità è Famiglia di famiglie. La comunione vera nelle nostre case possiamo solo apprenderla alla scuola del Vangelo e dell’esperienza di fede. La missione intesa come carità, dono della propria vita per amore, deve essere vissuta anzitutto con chi ci sta accanto ed è difficile amare proprio perché tanto vicino.