Al re Davide non era stato
permesso di costruire un Tempio. Dio avrebbe costruito per lui una casa, nella
doppia accezione che questo termine ha nella lingua ebraica (“bet”: casa e
anche discendenza), promessa che, come tutte quelle di Dio, puntualmente si
avvera in Salomone. Dio aveva deciso di vivere nomade sotto una Tenda chissà,
forse per richiamare gli anni del deserto, anni di lotta, fatica, infedeltà ma
indubbiamente anni per la stagione di un amore che si faceva passo a passo
sempre nuovo; chissà, forse perché Dio ama la povertà e non solo a parole come
spesso noi facciamo e a lui non piace stare imprigionato anche se nello sfarzo
di belle pietre e di ricchissimi ornamenti oppure, chissà, forse perché voleva
essere davvero in mezzo ai suoi e non davanti e neppure in fondo alla carovana
di un Israele che aveva preso possesso di quella terra. Eppure oggi sentiamo di
questo Tempio, anzi, siamo proiettati con la fantasia a contemplarlo nel giorno
della sua inaugurazione. Noi, a distanza di tanti anni, sappiamo bene che si
tratta di un’opera provvisoria e che Dio avrebbe concesso solo di tanto in
tanto di dimorarci preferendo nascondersi da Israele e rivelarsi nella parola
forte dei profeti o ancora in mezzo al resto di poveri scampati lungo la storia
a miriadi di persecuzioni.
La liturgia della Parola non
tradisce questa logica di Dio e alla pagina della prima lettura associa altre
due pagine che, se da una parte riducono il ruolo del tempio di pietra, dall’altra
aprono orizzonti davvero emblematici per la nostra riflessione, parole che
dobbiamo centellinare e porre nella nostra bisaccia di poveri pellegrini nel
deserto della vita. Mi limito a sottolinearne due.
Il primo orizzonte: Dio ha deciso
di considerare suo Tempio l’uomo sua creatura. C’è una bellissima pagina di don
Tonino Bello che meglio di altre parole descrive questo pensiero. A Molfetta,
dove lui era vescovo, fu nominata basilica minore la chiesa della Madonna dei
Martiri. La sera precedente, durante una vegli presieduta da un cardinale di
Roma, un giovane chiese perché basilica minore e non semplicemente basilica.
Non trovò risposta migliore che questa:
Mi avvicinai alla parete del tempio e
battendovi contro, con la mano, dissi: «Vedi, basilica minore è quella fatta di
pietre, basilica maggiore è quella fatta di carne. L'uomo, insomma. Basilica
maggiore sono io, sei tu! Basilica maggiore è questo bambino, è quella
vecchietta, è il signor cardinale. Casa del re!». Il cardinale annuiva
benevolmente col capo, Forse mi assolveva per quel. guizzo di genio. La veglia
finì che era passata la mezzanotte. Fui l'ultimo a lasciare il santuario. Me ne
tornavo a piedi verso casa, quando una macchina mi raggiunse e alcuni giovani
mi offrirono un passaggio….Ma ecco che, giunti davanti al portone
dell'episcopio, si presentò allo sguardo una scena imprevista. Disteso a terra
a dormire, infracidito dalla pioggia e con una bottiglia vuota tra le mani,
c'era lui: Giuseppe (un senza
fissa dimora a cui don Tonino spesso apriva le porte di casa)…Ci fermammo muti a contemplare con
tristezza, finché la ragazza che era in macchina dietro di me mormorò, quasi
sottovoce: «Vescovo, basilica maggiore o basilica minore?». «Basilica maggiore»
risposi. E lo portammo di peso a dormire. All'alba, volli andare a vedere se si
fosse svegliato…Giuseppe riposava, sereno...Mi venne spontaneo rivolgermi al
Signore a ripetere coi salmo: Lo hai fatto poco meno degli angeli. Mi attardai
per vedere se avesse le ali. Forse le aveva nascoste sotto il guanciale.
C’è una dignità che nessuno
può toglierci, niente può cancellare, né il giudizio degli altri e nemmeno il
guaio più grosso in cui possiamo esserci cacciati noi con le nostre mani, né la
solitudine da cui spesso ci sentiamo avvolti e neppure la povertà o la
sofferenza. Al massimo possiamo illuderci di averla persa, l’abbiamo persa di
vista, iniziamo a credere a quelle voci in noi, contro di noi, che non valiamo
più nulla ma non è vero! Perché sei uomo tu sei figlio, perché tu hai mente e
cuore, fantasia e libertà tu sei prezioso. E questo è l’invito a una vera e
propria rivoluzione perché possiamo riscattarci e riemergere dalle nostre ferite,
è una lotta perché in nessun angolo della nostra città e del nostro quartiere
più nessuno sia calpestato nella sua dignità togliendogli casa, accoglienza,
lavoro. Se è vero che l’uomo vale più degli angeli, che noi siamo stati creati
a immagine e somiglianza di Dio, allora ogni insulto all’uomo, ogni azione che
calpesta la sua bellezza è una bestemmia gravissima!
Il secondo orizzonte. Nel
Vangelo leggiamo un gesto di Gesù accompagnato da parole durissime tutt’altro
che improvvise e dettate dalla collera di un istante. Gesù a Gerusalemme, pochi
giorni prima della sua passione, compie un’azione simbolica, sceglie di porre un
segno profetico convinto del potere che ogni segno può avere contro i segni del
potere che tentano di ingabbiare anche Dio e di calpestare la verità. Il tempio
non è più casa di preghiera ma covo di ladri, luogo dove non solo si compra e
si vende, dove lo spirito del denaro, del potere e dell’apparire hanno preso
piede e con la loro forza subdola si mettono in aperto contrasto con Dio. è
diventato luogo di ipocrisia. La preghiera era diventata pretesto per coprire l’ingiustizia
consumata a spese del povero fuori dalle mura del tempio, si pensava che
bastasse offrire un sacrificio per lavarsi le mani e la coscienza. Gesù invece
lega alla dimensione spirituale quella della Giustizia che è essenzialmente
amore e scelta preferenziale per i poveri e i piccoli. Ecco perché li chiama a sé
e proprio nel tempio li guarisce e lascia che alzino la voce. Credo che questo
ci metta con le spalle al muro come singoli e come Chiesa. Ci obbliga cioè a
rivedere la mappa della nostra vita spirituale: se la fede non diventa carità
stiamo sbagliando strada, siamo vittime di uno spiritualismo cieco. Se dopo
anni che veniamo a messa non siamo migliorati nemmeno di un poco nelle nostre
relazioni, nell’attenzione all’altro, ai piccoli che bussano alle nostre porte
forse stiamo pregando un dio diverso dal Padre di Gesù. E infine, come Chiesa,
se i giochi di potere, il peso della ricchezza, lo scandalo delle amicizie con
i forti e i tradimenti verso la classe degli ultimi sono diventati una regola
che dà scandalo e fa alzare a troppe persone la voce come una denuncia forse abbiamo bisogno di una nuova stagione di
conversione e per chiedere perdono, di una nuova primavera in cui battere con
decisione il cammino evangelico della povertà che significa imitazione del
Maestro.