sabato 26 febbraio 2011

La divina Clemenza

Il contesto del lezionario in queste domeniche

Il tempo dopo l’Epifania si conclude con due domeniche, due segmenti che fanno da cerniera fra il mistero che abbiamo celebrato e la quaresima ormai prossima. Sono due domeniche che mettono a tema la misericordia di Dio e il suo perdono. Prima di addentrarci in un tempo che chiede rigore nella conversione personale e comunitaria la Parola ci restituisce i tratti misericordiosi del volto del Padre che esige da noi coerenza fra la fede e la vita. La giustificazione teologica sta nel fatto che Dio è amore e perdono aldilà dei nostri meriti; e da un punto di vista spirituale riconosciamo che prima di tutto viene l’amore di Dio, ogni passo che possiamo compiere in avanti è dato dal fatto che possiamo sempre scommettere su una Misericordia che ci precede e che colma ogni abisso della nostra debolezza. Quando ci si scopre figli amati si acquista un paio d’ali che permettono di affrontare anche i deserti più aspri e sorreggono le scelte più impegnative.

una donna colta in flagrante adulterio, entriamo nella psicologia dei personaggi e nella dinamica avvincente della scena.

E per raccontare questo amore che è misericordia il lezionario sceglie per noi, accompagnato da letture che gli fanno eco, un brano di Vangelo fra i più amati e conosciuti, tanto da essere diventato, in alcuni passaggi, proverbiale.

Non ritengo un’operazione superficiale soffermarci sulla psicologia dei personaggi che compongono la scena per coglierne maggiormente la drammaticità. Una donna è stata colta in flagrante adulterio. Che cosa l’abbia portata a tradire così apertamente il marito tanto da spingerla a infrangere una delle leggi più severe della Scrittura non lo sappiamo, è troppo avara di particolari la parola di oggi per sapere, se non è giustificabile, almeno se è comprensibile il sogno di una vita diversa consumato nella clandestinità. Possiamo però immaginare che inferno si portasse dentro prima e che senso di vergogna l’abbia assalita adesso che viene condotta come una preda, senza dignità, senza nemmeno una domanda che possa in parte scagionarla, di fronte a un Maestro che lascia perplessi i responsabili di quella religione diventata così opprimente in norme e tradizioni, di fronte ad una folla inferocita e assetata di giustizia che perde la ragione quando ha fra le mani un capro espiatorio su cui gettare la miseria di una vita troppo ordinaria e banale. La immaginiamo mentre trema, mentre vorrebbe chiedere pietà per un’alternativa dalle ali spezzate che si era data, mentre vorrebbe chiamare in causa l’altra parte che forse l’aveva ingannata o ferita, mentre forse si convince che è meglio chiuderla qui e così piuttosto che sopportare un altro attimo di vergogna, mentre si convince di essere uscita dai tracciati della sua religione, di aver macchiato di peccato non solo la sua vita ma il volto stesso di un Dio assettato del sangue di chi sbaglia. E così la conducono da Gesù che sembra non volersi interessare alla vicenda per poi pronunciare una Parola che smaschera, che inchioda alle proprie responsabilità e proprio per questo libera. Mi colpisce il contrasto fra la calma indifferenza del Maestro e le urla di quella folla inferocita. Mi colpisce il verdetto asettico che sentenziano i farisei e le parole piene di saggezza e colorate di vita vera di Gesù. E infine mi colpisce il dialogo che restituisce non solo vita ma anche dignità alla donna, quel guardarsi negli occhi che non mettono a tacere lo sbaglio ma, a partire dall’amore incondizionato di Dio – Dio è questo e basta – ridanno coraggio e voglia di essere diversi.

una legge che condanna, un amore che salva e guarisce: una Parola nuova, un superamento. Il peccato è la morte ma non si può mettere a morte chi è condannato dalla legge

noi siamo sotto questo sguardo misericordioso di Dio.

Insieme a questa donna oggi convertiamo il nostro sguardo su Dio e su noi stessi. non c’è bestemmia più grave che smettere di credere che noi siamo figli teneramente amati da lui. Ai suoi occhi la nostra vita è più preziosa di ogni altra cosa. Dio ogni giorno dà a noi piccoli e miseri il suo cuore, per questo è misericordioso! Convertiamo la nostra idea troppo umana di un Dio giudice inappellabile per accogliere la verità di un amore che ci precede. E davvero la nostra strada si aprirà in un orizzonte di nuova luce.

noi siamo chiamati ad amare così, a rimettere i peccati, a schiodare chi ha un debito

La vita comunitaria è la rivelazione penosa dei limiti, delle debolezze, delle tenebre di ogni essere; è la rivelazione, spesso inattesa, dei mostri nascosti dentro di noi. È difficile accettare questa rivelazione. Si cerca di allontanare rapidamente questi mostri, o di nasconderli di nuovo, di illudersi che non esistano; oppure si fuggono la vita comunitaria e le relazioni con gli altri; o ancora si pretende che quei mostri siano negli altri e non in noi. I colpevoli sono sempre e solo gli altri … Ma la ferita che tutti portiamo in noi e che cerchiamo di non vedere e di fuggire, può diventare il luogo dell’incontro con Dio e con i nostri fratelli e sorelle; può diventare il luogo in cui impariamo ad amare, ad avere compassione degli altri.

Una comunità che celebra la divina clemenza, che fa sua la misericordia di Dio perché la respira ogni giorno e la centellina in un cammino che va oltre le dichiarazioni, di fronte alle ferite del fratello che bussa alla sua porta, di fronte ai tentativi grotteschi di mettere un maschera per non mostrarsi vulnerabili, è capace di offrire perdono, vita, amore che libera e non giudizio che inchioda e che non permette all’altro di sentirsi figlio. Potremo cogliere che Dio è amore anche nella misura in cui sentiamo forte il respiro d’amore nei fratelli che ci circondano e in loro scorgiamo il sorriso di chi è disposto a farci ricominciare daccapo.

come una conclusione: cosa avrà mai scritto Gesù per terra…

è una di quelle cose che fa impazzire gli esegeti. C’è chi afferma che stesse scrivendo la sentenza che avrebbe scagionato quella donna, c’è chi dice che è un modo per fingere indifferenza, c’è chi addirittura è arrivato a dire che è la nota dell’evangelista per dirci che Gesù non era analfabeta! Non lo sapremo mai…a me piace credere che su quella polvere stesse scrivendo i miei peccati mentre il mio nome lo porta ben inciso sul palmo della sua mano!

domenica 20 febbraio 2011

VII domenica dopo l'Epifania

Il vangelo di settimana scorsa che poneva al centro l’insegnamento di Gesù sul sabato si chiudeva con la citazione di Isaia, ovvero con l’annuncio di un Messia che non grida e non fa udire in piazza la sua voce, non spegne la fiamma smorta e non spezza una canna incrinata

E così questa domenica, in una progressione tematica, ci è proposta l’immagine di un Signore che si prende cura dell’umanità ferita

Così dice un racconto rabbinico a proposito del Messia

Il Rabbi Giosuè ben Levi capitò davanti al profeta Elia che stava ritto sulla porta della caverna del Rabbi Simeron ben Yohai. E chiese ad Elia: «Quando verrà il Messia?». Elia ri­spose:

«Vai a domandarglielo tu stesso». «Dove si trova?».

«È seduto alle porte della città». «Come potrò riconoscerlo?».

«È seduto tra i poveri coperti di piaghe. Gli altri tolgono le bende a tutte le loro piaghe nello stesso tempo e poi rimettono le fasce. Ma egli toglie una benda alla volta e poi la rimette dicendo a se stesso: `Potrebbero aver bisogno di me; se ciò acca­desse io devo essere sempre pronto per non tardare neppure un momento»

Ed è proprio così il Signore a cui abbiamo creduto

1 uno che sta alla porta della città, ma anche in mezzo alle strade, nelle case. Non il Dio confinato nello spazio sacro, non il Signore che si fa cercare, servire, adulare ma, con i tratti della povertà, seduto fra i poveri, li va a cercare e si confonde fra di loro, lascia che siano loro a riempire l’agenda della sua giornata

2 un Signore ferito…e ringrazio perché la nostra fede non ci fa credere in un Dio impassibile e distante ma in un Signore crocifisso, compagno nel dolore e non solo nella gioia, uno che sa sulla sua pelle cosa significa il dolore.

Mi libera dall’imbarazzo di quando rimango senza parole e non so a quale repertorio consolatorio attingere anche solo i pensieri di fronte a chi sta davvero male: sul retro della croce c’è un posto libero dove ai lamenti del crocifisso si unisce il grido dei malati. Dal loro sacrificio si schiude un orizzonte di salvezza

Mi fa intuire una via d’uscita quando picchio il naso contro le ingiustizie della storia e contro la sofferenza dei piccoli, immagini e storpiature che mi fanno abdicare dall’idea umana, troppo umana di un Dio giusto e onnipotente per la certezza di un Signore che porta sulle sue spalle l’ingiustizia e il male del mondo.

3 un Signore che si prende cura, che non sta con le mani in mano ma si dà da fare per alleviare il dolore e la sofferenza.

Proprio come nello stralcio del vangelo di oggi in cui Gesù guarisce due ciechi, un indemoniato e poi, forse un’esagerazione di Matteo ma comunque era questo il ricordo che di lui teneva vivo la prima comunità dei credenti, tutte le malattie e infermità.

È interessante però annotare come Gesù operava queste guarigioni. Chiedeva fede, domandava a chi gli stava di fronte e gettava su di lui il suo affanno di non smettere di affidarsi. Alla Grazia, che era pronto a dare in abbondanza domandava si unisse uno sforzo di libera adesione, uno slancio volontario. A tal punto unite, Grazia e libertà che non si distingue più molto se il miracolo è opera della sua potenza straordinaria o della fede del malato.

Certo che questi prodigi suscitavano un grande clamore e la sua fama si diffondeva suo malgrado: Gesù infatti non voleva accelerare nulla nella rivelazione di sé, temeva di precorrere troppo in fretta la strada, o di bruciare in modo rapido le tappe così da lasciare spiazzata la folla. È molto emblematico in effetti che, accanto a chi spiccava il volo nel cielo della fede, allo stesso tempo, qualcuno non riusciva proprio a credere e si dava spiegazioni anche prive di fondamento.

Per avviarci verso la conclusione, credo sia importante oggi riscoprire il volto di un Signore così e risvegliare in noi la nostra fede perché lui possa guarire i nostri cuori.

Siamo tutti in effetti un po’ malati. Ci portiamo spesso ferite che abbiamo vergogna a mostrare a noi stessi, per quanto riguarda la nostra affettività, la nostra sessualità, il nostro equilibrio psicologico, le nostre relazioni. Spesso poi sulla pelle ci bruciano le ferite delle tante ingiustizie che ci tolgono libertà e dignità. Consegniamo nelle mani di Gesù quello che siamo, lui è qui, in mezzo a noi, si ferma su ognuno e ci accarezza con la sua mano, ci tocca e noi possiamo davvero guarire.

Non abbiamo timore nemmeno a consegnare nelle sue mani le nostre malattie, i nostri dolori e portiamogli chi dei nostri cari sta soffrendo: sarebbe bello se questa chiesa non fosse un punto nascosto al dolore del mondo ma un cuore che raccoglie tutto, una prospettiva da cui far salire a Dio il grido dell’umanità sofferente.

E infine non dimentichiamo che noi possiamo operare il miracolo più grande, noi che incontriamo Cristo e come comunità siamo chiamati, come ci ricorda Paolo, a portare oggi a chi soffre, con l’amorevolezza e la carità, la sua presenza. Saremo così come un suo prolungamento agile, il sorriso di Dio a questa umanità che non possiamo smettere di amare.

domenica 13 febbraio 2011

VI domenica dopo l'Epifania

1Gesù, un insegnamento oltre la superficie

Se erano tanti i rabbi che si intendevano di legge, Gesù era uno di quelli che non si fermava alla superficie ma penetrava le questioni, conosceva la via che conduceva dritto al mistero del Padre, al suo cuore appassionato per la sua creatura, per poi offrire una interpretazione liberante e radicale assieme, inedita comunque e spesso provocatoria.

Qualche esempio

Avete inteso che fu detto non uccidere, ma io vi dico…

Quel “ma io vi dico”, avversativo, è di uno sicuro di sé, di uno che sa le cose del Padre suo e va a fondo della questione perché si può uccidere anche solo con le parole

Oppure, ed è la questione di oggi, l’interpretazione del sabato. Dio, dopo aver suscitato la vita, la bellezza, la complessità del creato e dopo averla composta in sintonia, ha dato forma all’uomo. E solo allora si è riposato. Si riposa per entrare in dialogo con la sua creatura, perché finalmente ha trovato chi gli sta di fronte e non semplicemente sottomesso, ha dato vita, con le sue mani, a uno che gli è uguale, è a propria immagine e somiglianza. Il riposo del sabato è per fare spazio nella tenda del proprio cuore al dialogo con un Dio così e per riappropriarsi della propria dignità che talvolta il frastuono e la routinarietà umiliano o mettono in ombra.

Si capisce perché è assurdo chiedersi se sia giusto guarire in giorno di sabato, salvare una vita o perderla, schierarsi dalla parte di chi soffre e alleviare il suo dolore. È andare al fondo delle cose e riportare alla luce la verità di un precetto.

2 i farisei e le tradizioni, perché.

Eppure questi uomini, che non erano cattivi, anzi, erano giusti e desideravano seriamente fare della volontà di Dio la loro vita, avevano tradito il senso vero della legge con un’interpretazione rigida che era diventata fine a se stessa. Credo che, da una parte sia più facile sottomettersi alla legge e starci dentro con ogni scrupolosità piuttosto che gestire la propria libertà ponendosi interrogativi di coscienza, e dall’altra che sia più facile credere nel Dio delle norme minuziose perché comunque lì dentro è confinato, non gli si permette di interagire con il mondo della propria libertà, dei propri affetti, della propria intelligenza. In fondo, un Dio legislatore anche se appare come opprimente, sicuramente è meno esigente, pretende di meno dalla propria creatura, coinvolge non oltre la superficie e, di se stessi, del proprio cuore, delle proprie scelte, si rimane in fondo padroni.

3 e l’uomo stende la sua mano, in obbedienza.

Questo è l’esito del racconto. Contrapposto a quella schiera di sapienti sta quest’individuo semplice, non parla nemmeno nel racconto che abbiamo ascoltato, che fa come Gesù gli dice, che oppresso si trova libero, che offeso nella sua dignità da una malattia che Dio non vuole – perché Dio è Padre che non chiede la sofferenza ma si fa compagno del nostro dolore e ci insegna a viverlo a fronte alta, come protagonisti – ritrova i tratti del suo essere figlio.

4 il pensiero va alla società civile e quando certe leggi o procedure umiliano l’uomo.

Una burocrazia che rallenta o toglie quanto al cittadino è dovuto, come, per esempio la casa – so di andare controcorrente in un paese che etichetta i rom come cani, e comunque ladri, indegni di stare fra noi così civili ed evoluti – ma il mio pensiero va anche a quei 4 bambini bruciati vivi a Roma dopo 30 sfratti e ricoveri provvisori.

Leggi nate per saziare la nostra ansia di sicurezza che etichettano come criminale e clandestino chiunque straniero arrivato da noi per altre vie senza interrogarsi sul perché del suo esodo.

I mille cavilli creati dalla prepotenza di chi detiene il potere economico che rendono precario il lavoro dei nostri giovani e li umiliano rendendoli bamboccioni ben oltre l’età dell’adolescenza

Quando l’economia mondiale affama i più deboli e si alzano le mani in segno di resa come se a capo di quelle leggi non ci fossero menti pensanti che potrebbero decidere di dare un altro corso alle cose, oltre il proprio ingente profitto.

Cosa ha da dire la Chiesa di fronte a tutto questo? Ben oltre prese di posizione ufficiali e ambigue, penso che vada riscoperta la capacità di porre dei segni, la forza della profezia, il coraggio della denuncia e l’intelligenza di progetti che interrogano la società civile. Oggi è la giornata della solidarietà. Mi piacerebbe che dalla nostra solidarietà si affermasse la dignità dell’uomo per cui Gesù ha tanto combattuto e che ci chiede di onorare sempre.

5 ma non posso non pensare anche a certe leggi della Chiesa, a certe procedure d’ufficio, a certi silenzi opportunistici e a certe licenze che ci si dà anche in campo economico per arroccarsi sui propri privilegi… e mi chiedo se tutto ciò è per l’uomo e la sua gioia.

Credo che i passi da compiere siano molti in questa direzione, in obbedienza a un Vangelo liberante ed esigente assieme.