domenica 27 maggio 2012

Pentecoste


Lo Spirito è il grande protagonista della vita della Chiesa, è l’anima del mondo e della storia. È quella nostalgia di mete alte e fuori dalla nostra portata, è il sogno di realizzare un’isola che non c’è qui e ora! È la spinta che avverti nel cuore che ti porta a scommettere sulla fede contro ogni speranza, a essere un’immagine viva di Gesù con la tua vocazione; è l’investimento nella Carità anche quando tutti e tutto ti dicono che è una follia amare fino allo stremo delle tue forze. Eppure ho l’impressione che poco lo si conosca, che poco il suo nome compaia sulle nostre labbra, che poco lo si comprenda.

Vorrei allora quest’oggi trasformare quest’omelia in una preghiera allo Spirito lasciandomi guidare dalle immagini con cui la Parola ne tratteggia i contorni.

Tu, Spirito sei fuoco! E perché sei così ti prego di dare calore alle nostre vite un po’ troppo spente, un po’ troppo avvelenate dal freddo che ci hanno messo in cuore. Spirito, donaci la passione per la Giustizia, la passione per la Libertà, la passione per la Verità, donaci di bruciare per un sogno altro che Dio ci mette nelle mani e che se noi non realizziamo nessun altro farà al nostro posto, e che se noi non realizziamo rischiamo di giocare in perdita la nostra vita, sempre con un pegno di tristezza. Tu che sei Fuoco brucia la nostra mediocrità, le nostre mezze misure, ricordaci che noi siamo stati creati per essere felici e che tutto quello che ci toglie la gioia non viene mai da Dio. ricordaci che una vita senza passioni è vissuta solo in piccolissima parte. Ma oso pregarti, Spirito, perché tu possa scendere come fuoco anche sulla tua Chiesa. Un fuoco che purifica anzitutto, che bruci tutto ciò che ora la sta ancorando troppo alle logiche di questo mondo, a logiche di potere e di ricchezza. Come sarebbe bella una nuova Pentecoste per la tua Chiesa, come sarebbe bello se sul capo di chi la guida e ha responsabilità tanto grandi quanto grande è la loro chiamata brillasse una scintilla di quel fuoco sceso sugli apostoli! Come sarebbe bello vederli spinti fuori, verso il mondo, con in bocca un annuncio di Speranza capace di anticipare i tempi e stupire le nuove generazioni. Perché è tanta la sofferenza assieme all’imbarazzo per pastori troppo chiusi nel loro mondo e nel loro linguaggio astruso, è raggelante lo spettacolo del restauro di un’antichità che significa indisponibilità al dialogo e al servizio, è gelido constatare il divario fra un Vangelo liberante e una prassi ipocrita e di cortissime vedute.

Tu, Spirito sei vento! E perché sei così ti prego di spazzare ogni nube che non ci permette di vedere Dio all’opera nella storia e in noi e che tu riempi davvero la terra. Apri i nostri occhi perché sappiamo vedere che davvero Gesù non ci ha lasciati ma cammina con noi e che ora tocca a ognuno di noi essere una sua immagine viva. E fra le altre, spazza le nubi che oscurano la prospettiva anche su noi stessi perché spesso siamo giudici feroci di noi stessi, non ci amiamo a sufficienza e dimentichiamo che noi, costi quel che costi, siamo i figli amati del Padre. Come nelle belle giornate di sole, aprici l’orizzonte perché sembra che siamo condannati a razzolare nel presente senza un sogno per il futuro, portaci per questo il profumo della Primavera perché questa inclinazione alla depressione, a guardare il bicchiere sempre mezzo vuoto, a scorgere sempre qualcosa che non va per perderci in mille e più rigagnoli di critiche e malumori ci sta uccidendo poco a poco e non sappiamo più sentire il profumo della nuova fioritura perché troppo concentrati ancora sulle foglie secche. Al vento del tuo passaggio vogliamo aprire le finestre delle nostre case, stendere da una casa all’altra i fili ma non per stendere il bucato ma per creare un legame d’amore con vicini che ora sono sconosciuti e che in realtà sono fratelli che attendono il nostro sorriso. Perché tu sei Vento gioca con noi, non farci scordare che la Vita è un grande gioco e che non vale la pena passarla imbronciati in un angolo. Facci volare via il cappello e dacci di sorridere se siamo diventati troppo musoni, troppo impegnati e ripiegati su noi stessi e su tutte le cose seriose che crediamo siano toccate in sorte solo a noi.

Tu, Spirito, sei acqua! E perché sei così ti prego di dissetare la nostra ansia di infinito e di eternità; il nostro cuore tanto stanco perché sono giorni in cui siamo tutti in salita e non intravvediamo oasi. Donaci sollievo come la pioggia sui campi aridi e riarsi. Travolgi ogni argine che ci allontana dai fratelli e portaci con la tua corrente verso una meta di comunione, dove i diversi stanno assieme aldilà di ogni tentazione di uniformità. Lava le ferite di chi ora sta giocando la sua partita con la sofferenza e la morte.

Grazie, Gesù, perché a questa mia preghiera forse troppo parolaia si unisce la tua: io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità. Donaci oggi una nuova Pentecoste!

domenica 20 maggio 2012

VII domenica di Pasqua

Questa è una domenica particolare, sospesa fra la solennità dell’Ascensione che abbiamo celebrato giovedì scorso e la domenica di Pentecoste che porrà fine a questo tempo di Pasqua: sono quasi come due sponde su cui rimbalzano i temi della Parola appena ascoltata. Provo a darne eco nella certezza che il Signore ci sta guidando lungo il nostro deserto, che queste parole sono come bocconi di manna che ci vengono messi fra le mani per darci la forza di andare avanti per fidarci di lui e per essere davvero alternativi al mondo.

Parto dalle suggestioni di Paolo nella lettera a Timoteo. Grande è il mistero della nostra fede. E poi ne mostra la paradossalità. Gesù è uomo ma è anche Dio, vive nella Gloria ma cammina con noi. Questo è il traguardo che l’intelligenza della fede conquista dopo la sua Ascensione. Noi non crediamo semplicemente in Dio. Noi non pensiamo che Dio sia dall’altra parte della nostra storia, delle nostre fatiche, della nostra gioia e dei nostri mille perché. Noi non possiamo immaginarci Dio come affacciato ad un balcone che guarda con apatica indifferenza lo scorrere del nostre tempo, oppure che si destreggia come un abile burattinaio a muovere i fili delle nostre vite. In Gesù noi abbiamo incontrato l’uomo che ci ha raccontato che Dio è Padre e che lotta per sempre dalla nostra parte, il Signore che si sporca le mani con la nostra storia, il Padre pieno di premure che non si ferma per amore nemmeno davanti all’abisso della nostra colpa; Gesù è il segno più evidente di questo amore quando stende le braccia sulla croce e in segno di riconciliazione spezza la sua vita; e la morte non ha messo fine a questa parabola di amore, quel Dio lo ha risuscitato e in questo accadimento abbiamo compreso che anche lui era Dio, il Dio con noi. La nostra fede è davvero paradossale, diversa, alternativa, scandalosa. Unisce la dimensione verticale a quella orizzontale, ci racconta non semplicemente dello  slancio dell’uomo verso l’alto ma soprattutto del piegarsi del cielo sulla terra. Dai giorni dell’Ascensione, da quando cioè Gesù ha messo un termine alle sue apparizioni agli Undici, noi non lo vediamo più ma comprendiamo chi è, sappiamo cioè che la nostra storia è segnata per sempre dal suo passaggio, non ci sentiamo più soli, e nemmeno dispersi ma incamminati verso l’orizzonte dell’infinito e dell’eterno, stringiamo fra le mani una bussola che ci dice che vivere a sua immagine, vivere nella logica del Vangelo che ci chiede di amare senza misura, ha davvero senso e ci riscatta da ogni ripiegamento e banalità.

In attesa dello Spirito. Solo lo Spirito ci può dare lo slancio per rimanere fedeli a questa Parola.

Il brano di Vangelo ci riporta a quel cenacolo in cui Giovanni colloca il lungo discorso di Gesù ai suoi che termina con la preghiera di cui oggi abbiamo ascoltato la parte finale. Gesù sa che sarà tolto ai suoi e li lascerà camminare nel mondo. Fra i suoi ci siamo anche noi. Mi colpisce anzitutto questo farsi da parte di Gesù, il suo ritrarsi, la sua intenzione di andare, sparire, lasciare spazio. È un atteggiamento proprio delle persone più grandi. Sa di aver dato ai suoi ogni cosa, di aver inciso nei loro cuori con il segno della Parola, è come se li avesse equipaggiati con il necessario perché possano camminare ora da soli, proprio come un bravo istruttore, dopo aver spiegato loro ogni cosa, sa che devono buttarsi in acqua per imparare a nuotare davvero. È da Dio questo fidarsi della libertà dell’uomo. Deve andarsene perché loro possano restare. Deve sparire perché loro possano affermarsi. Deve lasciare la presa della loro mano perché possano spiccare il volo. E in questo momento così delicato prega per loro, prega per noi.

Mi colpiscono alcuni passaggi di questa preghiera che per noi resta come una carta progettuale per non smarrire l’intenzione di Gesù per la sua Chiesa.

Non li tolgo dal mondo. Il credente sa che il suo orizzonte è questo mondo in cui Gesù ha voluto incarnarsi, anzi, come lui ha deciso di sprofondare nelle dinamiche della storia, sporcarsi le mani con tutto ciò che di bene e di male il mondo offre, anche noi non possiamo fuggire in nome della nostra fede, siamo chiamati a stare dove s’intrecciano i sentieri degli uomini e dove si gioca la partita della vita. il credente sa che non c’è altra possibilità di incontrare Dio e di annunciare Dio se non al crocevia della città degli uomini. Amare la storia e segnarla con il passo della fede è amare Dio.

La pienezza della mia gioia. È questa la cifra ultima che contraddistingue il credente dagli altri. La gioia è la consapevolezza profonda di essere nel palmo della mano di Dio, custoditi dal suo amore, guidati dalla sua premura di Padre.

Siano una cosa sola. È forse la consegna più difficile che Gesù ci affida,. Non giochiamo la sfida della fede in solitaria, siamo chiamati alla fede nella Chiesa e ad essere una cosa sola, siamo chiamati a lavarci i piedi gli uni gli altri e rimanere uniti proprio nel servizio e nel perdono e nell’accoglienza. La divisione ci darà l’apparenza di camminare più veloci, liberi dalla zavorra dell’altro ma non ci porterà molto lontano.

Come la prima comunità

Quando sento un brano come quello degli Atti sento dilagare in me la nostalgia di una Chiesa che viveva nella consapevolezza profonda di essere condotta per mano dallo Spirito di Cristo fino ad apparire imprudente, ingenua, banale. Chi fra noi si affiderebbe alla sorte per una scelta tanto impegnativa come quella di rimpiazzare il posto di un apostolo. Eppure Pietro e gli altri azzardano così tanto perché vivono la dimensione della fede. Come mi piacerebbe che la prossima Pentecoste potesse essere per la Chiesa e per la nostra comunità un’occasione per essenzializzare le nostre complesse geometrie pastorali per vivere di più lo slancio di un abbandono pieno di fiducia a un signore che c’è.