Questo tempo di Pasqua che sta volgendo alla sua fine, vissuto come un unico grande giorno - forse per anticipare il Paradiso o forse, più semplicemente, perché la gioia per la Risurrezione che ha acceso la speranza non può essere confinata in uno spazio ristretto di tempo – ci ha consegnato una Parola che ha la pretesa di dettare il passo della nostra vita e della vita della Chiesa.
Abbiamo letto il libro degli Atti, qualche stralcio nelle domeniche, per più di metà nei giorni feriali. La Chiesa delle origini, tratteggiata da Luca con un certo idealismo, intessuta di contemplazione, carità, l’apertura ad ogni uomo aldilà di ogni rigida appartenenza e la missione per dire al mondo la novità del Crocifisso-Risorto, con le sue vicende sfida il senso comune delle cose e il bavaglio dei potenti e rimane paradigmatica per la Chiesa di sempre.
Le lettere di Paolo, perché non ci ha fatto compagnia la lettura di un testo soltanto, ci hanno fatto rivivere la tensione delle comunità delle origini chiamate ad abitare la verità del risorto e, contemporaneamente, a sperimentare sulla propria pelle il mistero della croce cioè della persecuzione. Paolo, esperto in questo dissidio, continua ad esortare perché non venga smarrito nell’attimo presente il fondamento della fede e la gioia, la vera cartina di tornasole che dice la bontà della propria fede.
E infine ci siamo messi in ascolto del Vangelo di Giovanni nei suoi capitoli centrali, il discorso d’addio in cui Gesù, come in un testamento, ci consegna la sua Verità di Figlio e la nostra Verità di discepoli, apostoli e figli, colmati dello Spirito del suo amore.
Fatta questa premessa, in modo molto sommario vorrei sorvolare sui brani di oggi e raccogliere quello che ritengo essenziale per noi oggi. Ma questo esercizio può essere vissuto da tutti!
Pietro e Giovanni hanno appena compiuto un segno prodigioso con la guarigione del Paralitico e vengono interrogati da quelli che sono i responsabili della fede ebraica, da chi ha bisogno di ricondurre ogni cosa a schemi già noti, da chi ha timore di perdere autorità e potere. Pietro si appella alla verità di Cristo, pietra scartata, Signore che si lascia crocifiggere per amore, che è divenuta testata d’angolo, è Risorto, proprio perché ha amato così ha stravolto la logica delle cose e il corso ordinario della storia in cui i poveri soccombono e i piccoli e i poveri pagano. La nota che Luca pone a margine di questo interrogatorio sembra volerci dire che anche loro due vivono lo stesso Mistero del loro Maestro: sono semplici persone in cui abita però una Sapienza che eccede, non semplicemente riconducibile allo studio e alla cultura. Anche loro agli occhi dei grandi sono pietre di scarto ma, nelle mani di Dio, sono seme per l’annuncio di un mondo nuovo. La Chiesa sa di poggiare tutta la sua forza su queste colonne: pochezza rivestita di grandezza, debolezza colmata di forza, sa di poter contare su uno Spirito che stravolge la logica del mondo e afferma la sua Verità su strade alternative. La rivoluzione del mondo è a opera dei poveri e già nelle vene della storia scorre questa storia di piccoli che sovvertono la logica dei potenti. La Chiesa di oggi è chiamata a convertirsi e a farsi sorella povera fra i poveri, a non strizzare l’occhio troppo spesso a chi regge le sorti del mondo, ai potenti e ai ricchi, ma con chi Dio pone come pietra angolare. Servire i poveri è imparare da loro e ritornare all’essenziale. Il resto è solo un servirsi dei poveri!
Paolo sembra fare eco a quanto appena detto mettendo in contrapposizione lo Spirito di Cristo che è altro dallo spirito del mondo. Siamo ormai prossimi alla Pentecoste. Invochiamo anche per noi quello Spirito che è come una lente che poniamo sugli occhi per giudicare tutto in modo nuovo. Il credente infatti non può scadere nei luoghi comuni, non può indugiare sui bilanci sempre troppo in deficit sulla società e sul mondo, c’è a volte una malinconia strisciante, che si abbraccia alla delusione e alla depressione, che invade troppo spesso le nostre comunità e le nostre case. Lasciamo agli altri il grigio, lo Spirito vuole custodire in noi un fondo di gioia e di speranza che sono come la brace che non si può soffocare.
E infine il Vangelo che è legato, come una progressione naturale, alle due letture precedenti. Il discepolo che diventa apostolo sa di poter contare sullo Spirito che Gesù ci lascia come Consolatore. Noi siamo intimamente consolati, tenuti sulle ginocchia del Padre e stretti da un abbraccio che non soffoca ma libera. Lo Spirito che sa insegnare al nostro cuore non solo ciò che è giusto e sbagliato, ma che ci fa eccedere nell’amore. Il cristianesimo non è semplicemente un moralismo, un’accozzaglia di precetti.
E infine noi abbiamo uno Spirito che placa ogni paura – e Dio solo sa a volte come queste paure ci afferrano e ci mordono, quasi da diventare patologiche: la paura di noi stessi e del nostro passato, delle nostre relazioni, del nostro futuro, la paura degli altri – e che ci conduce alla Pace, quella vera, sapere che il nostro nome è inciso sul palmo della mano del Padre e nulla lo può cancellare.