domenica 29 maggio 2011

sesta di Pasqua

Questo tempo di Pasqua che sta volgendo alla sua fine, vissuto come un unico grande giorno - forse per anticipare il Paradiso o forse, più semplicemente, perché la gioia per la Risurrezione che ha acceso la speranza non può essere confinata in uno spazio ristretto di tempo – ci ha consegnato una Parola che ha la pretesa di dettare il passo della nostra vita e della vita della Chiesa.

Abbiamo letto il libro degli Atti, qualche stralcio nelle domeniche, per più di metà nei giorni feriali. La Chiesa delle origini, tratteggiata da Luca con un certo idealismo, intessuta di contemplazione, carità, l’apertura ad ogni uomo aldilà di ogni rigida appartenenza e la missione per dire al mondo la novità del Crocifisso-Risorto, con le sue vicende sfida il senso comune delle cose e il bavaglio dei potenti e rimane paradigmatica per la Chiesa di sempre.

Le lettere di Paolo, perché non ci ha fatto compagnia la lettura di un testo soltanto, ci hanno fatto rivivere la tensione delle comunità delle origini chiamate ad abitare la verità del risorto e, contemporaneamente, a sperimentare sulla propria pelle il mistero della croce cioè della persecuzione. Paolo, esperto in questo dissidio, continua ad esortare perché non venga smarrito nell’attimo presente il fondamento della fede e la gioia, la vera cartina di tornasole che dice la bontà della propria fede.

E infine ci siamo messi in ascolto del Vangelo di Giovanni nei suoi capitoli centrali, il discorso d’addio in cui Gesù, come in un testamento, ci consegna la sua Verità di Figlio e la nostra Verità di discepoli, apostoli e figli, colmati dello Spirito del suo amore.

Fatta questa premessa, in modo molto sommario vorrei sorvolare sui brani di oggi e raccogliere quello che ritengo essenziale per noi oggi. Ma questo esercizio può essere vissuto da tutti!

Pietro e Giovanni hanno appena compiuto un segno prodigioso con la guarigione del Paralitico e vengono interrogati da quelli che sono i responsabili della fede ebraica, da chi ha bisogno di ricondurre ogni cosa a schemi già noti, da chi ha timore di perdere autorità e potere. Pietro si appella alla verità di Cristo, pietra scartata, Signore che si lascia crocifiggere per amore, che è divenuta testata d’angolo, è Risorto, proprio perché ha amato così ha stravolto la logica delle cose e il corso ordinario della storia in cui i poveri soccombono e i piccoli e i poveri pagano. La nota che Luca pone a margine di questo interrogatorio sembra volerci dire che anche loro due vivono lo stesso Mistero del loro Maestro: sono semplici persone in cui abita però una Sapienza che eccede, non semplicemente riconducibile allo studio e alla cultura. Anche loro agli occhi dei grandi sono pietre di scarto ma, nelle mani di Dio, sono seme per l’annuncio di un mondo nuovo. La Chiesa sa di poggiare tutta la sua forza su queste colonne: pochezza rivestita di grandezza, debolezza colmata di forza, sa di poter contare su uno Spirito che stravolge la logica del mondo e afferma la sua Verità su strade alternative. La rivoluzione del mondo è a opera dei poveri e già nelle vene della storia scorre questa storia di piccoli che sovvertono la logica dei potenti. La Chiesa di oggi è chiamata a convertirsi e a farsi sorella povera fra i poveri, a non strizzare l’occhio troppo spesso a chi regge le sorti del mondo, ai potenti e ai ricchi, ma con chi Dio pone come pietra angolare. Servire i poveri è imparare da loro e ritornare all’essenziale. Il resto è solo un servirsi dei poveri!

Paolo sembra fare eco a quanto appena detto mettendo in contrapposizione lo Spirito di Cristo che è altro dallo spirito del mondo. Siamo ormai prossimi alla Pentecoste. Invochiamo anche per noi quello Spirito che è come una lente che poniamo sugli occhi per giudicare tutto in modo nuovo. Il credente infatti non può scadere nei luoghi comuni, non può indugiare sui bilanci sempre troppo in deficit sulla società e sul mondo, c’è a volte una malinconia strisciante, che si abbraccia alla delusione e alla depressione, che invade troppo spesso le nostre comunità e le nostre case. Lasciamo agli altri il grigio, lo Spirito vuole custodire in noi un fondo di gioia e di speranza che sono come la brace che non si può soffocare.

E infine il Vangelo che è legato, come una progressione naturale, alle due letture precedenti. Il discepolo che diventa apostolo sa di poter contare sullo Spirito che Gesù ci lascia come Consolatore. Noi siamo intimamente consolati, tenuti sulle ginocchia del Padre e stretti da un abbraccio che non soffoca ma libera. Lo Spirito che sa insegnare al nostro cuore non solo ciò che è giusto e sbagliato, ma che ci fa eccedere nell’amore. Il cristianesimo non è semplicemente un moralismo, un’accozzaglia di precetti.

E infine noi abbiamo uno Spirito che placa ogni paura – e Dio solo sa a volte come queste paure ci afferrano e ci mordono, quasi da diventare patologiche: la paura di noi stessi e del nostro passato, delle nostre relazioni, del nostro futuro, la paura degli altri – e che ci conduce alla Pace, quella vera, sapere che il nostro nome è inciso sul palmo della mano del Padre e nulla lo può cancellare.

domenica 15 maggio 2011

IV domenica di Pasqua - giornata mondiale di preghiera per le vocazioni

Le vocazioni ovvero la Traditio e il modo di viverla.

Non si può essere cristiani senza una vocazione precisa, perché essa è il tuo modo di vivere la fede. Le vocazioni nel loro insieme sono come tessere di un puzzle che si compongono, complementari e diverse fra loro per rendere visibile al mondo il volto di Cristo. Un marito e una moglie che si amano e pongono la felicità dell’altro prima della propria, abbracciano la croce del servizio reciproco e del dono di sé dicono l’Amore di Dio che ama ciascuno nella sua specificità fino a dare la sua vita. Un prete o una suora, con la loro scelta di verginità, con la dedizione a una comunità a prescindere dalle condizioni di partenza dicono l’Amore di Dio per tutti. Due facce di una unica medaglia.

Tuttavia, e non possiamo nasconderlo, la prospettiva attuale sul numero sempre più scarso del clero o dei matrimoni apre uno squarcio sulla crisi attuale della nostra società ad educare i suoi giovani a scelte di definitività e anche la crisi di una Chiesa che forse, soffocata da un esistente da mantenere a tutti i costi senza discernere cosa è urgente da cosa è necessario – penso qui alle condizioni medie di vita di un prete e all’impossibilità diffusa di stare fra la sua gente e dunque, di conseguenza alla perdita della capacità di affascinare che susciti nuove vocazioni; di una Chiesa che, arroccata inutilmente e pateticamente talvolta sulla difensiva, non riesce più a comunicare la bellezza di una scelta di vita totalmente impregnata di Vangelo. La certezza è che il Signore continua a seminare la sua Parola, a chiamare oltre ogni paura i nostri giovani, a scommettere sull’uomo di oggi e a noi è chiesto di essere testimoni credibili nella nostra vocazione e anche educatori abili nel dare la mano alle nuove generazioni perché non abbiano paura di osare e di compiere scelte radicali.

1 io sono il buon Pastore

La dinamica del brano: nel cuore del Vangelo di Giovanni.

Dopo il segno del cieco nato, si apre questa discussione con i farisei sulla Verità di Gesù come Figlio di Dio. Proprio per affermare la sua verità Gesù prende in prestito da Geremia l’immagine del pastore: Dio è l’unico pastore d’Israele a fronte dei falsi pastori che si sono arricchiti a danno del popolo.

Cogliamo allora la portata ad alta tensione nel definirsi il Bel pastore, l’unico in opposizione a tutti gli altri presunti, compresi quei farisei altrove definiti come guide cieche o sepolcri imbiancati di cui bisgona certamente seguire la Parola ma non l’esempio.

Il Pastore CONOSCE, AMA, RACCOGLIE le sue pecore. Tre verbi che dicono tutto l’amore di Gesù per Israele.

Conoscere: parallelo nella Bibbia al verbo amare. Conoscere l’uomo è sapere che cosa sta dentro al suo cuore, è penetrare anche nelle sue zone d’ombra ma non per condannare, inchiodare, giudicare ma per liberare, aprire prospettive nuove, amare proprio a partire dai suoi limiti.

Amare: per Gesù è sinonimo di offrire la vita, tacere, lasciarsi spezzare perché questo è il segno più emblematico che la felicità dell’altro ti sta a cuore.

Raccogliere: il Bel Pastore intreccia i sentieri degli uomini che gli sono affidati, crea comunione, non lascia nessuno da solo a combatter e la battaglia della vita ma unisce i destini e le sorti di ognuno e ne fa una polifonia.

2 Noi, Chiesa, siamo suo popolo che vive di questa sua conoscenza e di questo amore: ognuno di noi è oggetto delle attenzioni e delle premure del Cristo. E mentre si prende cura di ognuno, ci restituisce ad un insieme che però non può mai dirsi chiuso, definito per sempre, chiamato costantemente ad aprirsi a nuovi fratelli. Oggi la Parola in questo tempo di Pasqua ci mette fra le mani il disegno originario del nostro essere Chiesa: siamo Chiesa se ci lasciamo amare da Gesù, anche oggi. Prima dei nostri progetti e delle nostre architetture pastorali, prima delle nostre analisi sempre a deficit di speranza sta un amore che ci supera e che ci riconcilia. Siamo Chiesa se ci lasciamo condurre non dove vogliamo noi ma dove soffia lo Spirito e comunque non sono ammessi immobilismi! Siamo Chiesa se ci sentiamo un insieme raccolto dal Bel Pastore: contro ogni verticismo perché l’unico riferimento è il Cristo ma anche contro ogni psicologismo: non siamo insieme perché stiamo bene fra noi, ma perché qualcuno ci pone uno accanto all’altro e ha la pretesa di comporre le nostre diversità. Siamo Chiesa infine se conserviamo nel cuore sempre un’apertura costante verso nuovi fratelli.