1 Che cosa ci ha portato qui oggi? Che cosa ci ha spinto a lasciare il nido rassicurante in questo giorno di festa, a lasciare il nostro mondo per mettere piede in un posto altro, per ritrovarci con altre persone che non consociamo? Se è la forza di un precetto forse è troppo debole. Se è la nostalgia di un rito che dica che oggi è davvero un giorno di festa forse rimarremmo sulla soglia del mistero. Se è la sete di ricerca di una Parola vera siamo sulla buona strada. Mi piacerebbe anzitutto, prima di entrare a sottolineare qualcosa del Vangelo ascoltato, richiamare in ordine sparso qualche idea sulla risurrezione di Gesù. La sua Risurrezione non è una questione come tante altre per la nostra fede ma rappresenta la chiave di volta, è il caso serio del nostro credere e della nostra vita, è la discriminante che traccia il crinale fra la disperazione e la speranza. Perché se è vero che Gesù è risorto dai morti, uno, almeno per ora, è tornato in vita dal regno delle tenebre e ci racconta che la morte non è l’affacciarsi sull’abisso del nulla ma un passaggio verso un oltre che profuma di eternità; se è vero che quel Cristo che hanno incontrato i discepoli della prima ora adesso noi lo possiamo incontrare vivo, cammina con noi, e, se anche i nostri occhi non lo vedono, ma si sa che le cose essenziali sono invisibili agli occhi; se è vero che il suo cuore palpita in un corpo che mantiene tutti i tratti della nostra umanità, allora cambia tutto. Noi non siamo di fronte ad una dottrina piena di norme e precetti, noi non siamo oggetto di una verità che ci viene data dall’alto e da accogliere con atteggiamenti che potrebbero sfiorare il fondamentalismo: noi crediamo in un tu vivo, in un Signore che si fa incontrare vivo al crocicchio delle tante occasioni che la vita ci dona, la fede cristiana è l’evento di un incontro fra noi e il Cristo. E ancora, se Gesù fino a ieri stava morto, immobile, senza parole e senza azioni, chiuso nella drammaticità e nel silenzio carico di mistero, oggi crediamo che il Padre non lo ha abbandonato, ma gli si è fatto accanto e sulla sua storia d’amore ha pronunciato il suo sì, ha dato fiato al vento di primavera che fa rinascere il seme caduto in terra in un germoglio di vita nuova. Gesù porterà per sempre sulla sua pelle i segni del dolore e noi amiamo credere in un Dio che conosce bene la sofferenza, che non ci è distante, non guarda cinico dall’alto il dramma della nostra vita ma si fa fratello nel nostro cammino. Eppure la Risurrezione ci dice che sofferenza è stata riscatta perché colmata di amore, assume con lui un senso una direzione ed è solo l’attimo penultimo, una parentesi di tenebra prima di un’eternità di luce. Oggi è spezzato il silenzio di Dio, quel silenzio che, nel sabato santo ha fatto accomodare mettendo a proprio agio i nostri fratelli increduli o che stentano a credere, anche chi di noi vive consumato dal dubbio. La voce del Padre che risuscita il suo Cristo dai morti dice a chi è nel buio della fede che c’è sempre un motivo in più per credere e con lui la partita non è mai chiusa. Accogliere come una sor-presa, come un qualcosa che appunto ti rapisce dall’alto, la notizia della risurrezione spalanca per noi la prospettiva sul cielo. Gesù è sceso agli inferi ma non c’è rimasto. Ha preso per mano uno ad uno chi era smarrito, lontano, inchiodato alle sue tenebre, ma non è rimasto lì, è salito verso l’alto, e con lui tutti i giustificati. Anche questo appunto ribalta drasticamente la prospettiva sulla nostra vita. Possiamo essere scivolati nell’abisso più profondo, possiamo esserci cacciati nell’inferno più angoscioso ma Gesù è venuto a prenderci per mano e ci schiude un orizzonte altro, alto come il cielo.
2 A sostenere la nostra riflessione, a dare indicazioni alla nostra fede, oggi abbiamo ascoltato questo brano di Vangelo, mirabile nella sua struttura e nella sua delicatezza. È l’incontro del Risorto con Maria di Magdala, una donna che aveva molto amato Gesù dal giorno in cui l’aveva resa libera; l’unica ad essere rimasta al sepolcro dopo che con Giovanni e Pietro aveva constato che il corpo non c’era più. Il suo amore deve però fare un salto di qualità, la sua grammatica deve aggiornare i verbi passando dal tempo passato al presente e coniugando anche al tempo futuro: Gesù non solo c’era ma c’è e sarà compagno di viaggio dell’uomo di sempre; non solo è stato riscatto per la sua vita, non solo le ha restituito dignità ma fa ancora così oggi e per sempre lotterà per la sua creatura. Ci sono almeno tre passaggi che scandiscono il suo incontro con il Risorto, passaggi paradigmatici anche per il nostro incontro oggi con lui. Gesù la chiama per nome, Le restituisce speranza La invita a correre verso i suoi discepoli stringendo fra le mani un annuncio carico di promessa, una corda che non si è ancora arrestata. Se oggi vuoi incontrare il risorto ascolta nel silenzio la sua Parola che chiama per nome te e proprio te, creatura preziosa tanto quanto la sua vita. Gesù porta inciso sul palmo della sua mano il nostro nome e si fa vicino, a volte tirandoci qualche scherzo, a ognuno per accendere una vita di fede che è un’avventura incredibile. Lo senti che ti chiama ora e vuole te e proprio te?
Anche a noi Gesù ridona speranza: credere nella sua risurrezione apre una prospettiva nuova sul mondo e non ci è più permesso piangere su noi stessi o comprometterci con una visione fatalistica della storia: i nostri giorni sono abitati da una luce nuova e va bandita ogni disperazione.
Infine il Risorto chiede anche a noi di correre, di andare spediti oggi, subito, verso i nostri fratelli. La fede nel Risorto è come un fuoco che per allargarsi deve contagiare anche gli altri altrimenti si spegne troppo in fretta. E così sul mondo danzerà una Parola piena di senso, diversa, attesa come l’acqua in un deserto.