Si lasciavano alle spalle anni di cammino, una trama di incontri e storie e soprattutto la certezza di aver incontrato uno che avrebbe riscattato dalla banalità la loro vita.
A Gerusalemme, quell’anno, immaginavano che qualcosa di grande sarebbe accaduto. Chissà, forse una rivoluzione, forse una presa di potere, la cacciata dei romani e con loro di quei giudei traditori; forse il ribaltamento dell’ordine che avrebbe dimissionato per sempre la casta intoccabile dei sacerdoti, degli anziani e degli scribi. Ma il gesto del Maestro li lascia senza fiato. Il suo farsi piccolo, il suo ritrarsi fino ad assumere i tratti del servo smaschera i loro deliri di onnipotenza, la loro pochezza, le loro posizioni diametralmente opposte alle sue. Con l’acqua che cade nel catino scivola via un immaginario umano, troppo umano, di Dio: non un giudice dai tratti dispostici ma infinita debolezza piegata sui piedi della sua creatura perché solo la logica dell’amore disinteressato che si fa servizio attrae e avvince. Il nostro è il Dio che fa sì la rivoluzione ma non con il rumore assordante delle armi: vuole cambiare il cuore e trasformare dal di dentro il Male in Bene. Per questo Pietro alza la voce e si oppone, si rifiuta perché intuisce che deve convertire la sua idea di Dio e del suo Messia e poi deve farsi servo anche lui per essere davvero discepolo e apostolo.
Si arriva così, con il fiato un po’ grosso a questi giorni. La chiamano settimana autentica forse perché non puoi mentire a te stesso e ti devi lasciare incontrare dal Signore così come sei con le tue poche luci, le molte ombre e le ferite che sanguinano nel cuore, il bilancio della tua vita terribilmente in rosso.
Io, lo confesso, arrivo stanco, svuotato di me, con il peso desolante di mille e più frustrazioni per quello che vorresti fare e non sei capace, per quello che vorresti essere e ancora non sei, perché ogni giorno ti trovi a tradire in mille e più modi questa vocazione così alta che invece dovresti onorare. Mi consola solo il fatto di aver obbedito alla Chiesa. Magro resoconto per uno che continua a pensare a sé troppo in grande, che non ha ancora rinunciato a cullarsi nei suoi deliri di onnipotenza! Mi disarma un Signore che non mi chiede il conto, che mi chiama solo a convertire il mio sguardo su di lui, un Dio che passa e si mette a servirmi. Io non merito tutto questo eppure sento nel cuore la gioia di chi può sempre scommettere su un amore che non chiude la partita ma rilancia. E quando lo avremo capito non inseguiremo più la voglia di emergere con i nostri progetti ma ci sarà solo il desiderio di lasciarsi sommergere dalla sua Grazia. E troveremo pace, saremo felici di essere piccole creature rese preziose dal suo Amore e non pretenderemo nulla, vorremo solo farci anche noi servi, un’immagine sbiadita ma evidente della sua Presenza.
Oggi, come è tradizione, abbiamo lavato i piedi di questi piccoli amici. E fra loro ho immaginato fossero seduti tutti i bambini del nostro quartiere, i loro educatori, i loro genitori. La mia mente è andata oltre e fra i loro c’erano i piedini dei bambini del mondo intero, soprattutto dei più poveri, di quelli che stentano a vivere perché privati dei diritti fondamentali e fra tutti, il diritto di essere felici. C’erano i piedi anche dei bambini di Sarajevo…Avrei voluto lavare anche i piedi dei ragazzi e degli adolescenti e dei giovani della nostra comunità e fra tutti quelli dei ragazzi in difficoltà – non difficili come amava dire il mio amico don Vittorio – quelli per cui è nato l’oratorio e che con molta fatica incontriamo.
Essere servi delle nuove generazioni, ho pensato, che per me e per la nostra comunità e forse per la Chiesa intera significa farsi in 4
1 inginocchiarci, farci piccoli con loro, andare loro incontro, mettersi seriamente in ascolto di quello che hanno da dire e che sognano, abbattere quel maledetto muro che noi adulti abbiamo costruito e che li vorrebbe lontani, estranei, distanti. Spesso i ragazzi ci danno fastidio. Almeno nella nostra comunità troviamo il coraggio di sovvertire questa tendenza. Troppo spesso in questi ultimi anni abbiamo separato gli adulti dai giovani, le attività della parrocchia da quelle dell’oratorio quasi da creare un’incomunicazione distruttiva. 2 versare l’acqua tiepida del nostro amore, consegnare loro l’unica parola in grado di riscattare l’esistenza, la certezza cioè che Gesù li ama e che li considera un capolavoro, per loro ha un progetto che non può essere sciupato. 3 asciugare i loro piedi ovvero essere premurosi con loro. La nostra società non tratta bene i suoi figli: li esclude dal tavolo delle decisioni, li espropria del loro futuro, non dà loro gli strumenti per costruirsi, li pone quasi in uno stato di attesa infinita. Per noi non sia così, chiediamoci qui e ora cosa possiamo dare a questi nostri figli perché è affare nostro il loro futuro, ci devono stare a cuore.
4 ricalzarli cioè lasciarli andare per la loro strada, consapevoli che il futuro è il loro più che il nostro, lasciare che battano sentieri inesplorati . Ci costerà fatica ma la loro gioia deve essere anche la nostra. Scopriranno cose nuove e ringrazieranno chi li ha calzati e poi resi liberi.
Nessun commento:
Posta un commento