Con la messa della vigilia siamo entrati nell’ottava del Natale ovvero otto giorni che possono essere considerati come un giorno solo, un arco di tempo che la liturgia gioca a farci vivere come un giorno solo: è troppo grande il mistero che è accaduto, l’evento di un Dio che si fa uomo e va incontro alla sua creatura in uno slancio di comunione e di totale condivisione, che non è possibile costringere la nostra contemplazione nell’esiguità di poche ore. E così il Natale viene approcciato sotto differenti prospettive fra cui quella di Stefano, di san Giovanni Evangelista o i ss. Martiri Innocenti . Dal 1 gennaio, dalla memoria della circoncisione del Signore, il tempo riprenderà a scorrere. Non c’è dunque da stupirsi se oggi non si celebra una messa domenicale, davvero una rarità per il rito ambrosiano, ma la festa di un santo. Stefano, a modo suo, ci racconta il Natale di Cristo.
Alcuni pensieri sparsi
Quasi non abbiamo ancora smesso di cantare le canzoni natalizie e il cuore è ancora commosso di fronte all’evento della nascita di Gesù che già si parla di morte, sangue, martirio. La scena è collocata nei giorni della comunità apostolica, nel tempo che segue la croce e la risurrezione del Signore. Cattivo gusto oppure altro? Nella morte di Stefano leggiamo chiaramente i tratti della morte di Cristo. Il Natale non è lontano dalla Pasqua. Così scrive in una preghiera don Luigi Serenthà
E' Natale, Signore, o già subito Pasqua? Il legno del presepe è duro, come legno di croce. Il freddo ti punge, quasi corona di spine. L'odio dei potenti ti spia e ti teme...quanti segni di morte, Signore in questa tua nascita, comincia così il tuo cammino tra noi, la tua ostinata decisione di essere Dio, non di sembrarlo. Grazie, Signore, per questa ostinazione, per questo sparire, per questo ritirarti che schiude un libero spazio per la mia libera decisione di amarti.
Quel bambino nato per noi non ha mai stretto le sue mani, le sue braccia le ha allargate definitivamente sul legno un giorno diventato uomo, non ha mai trattenuto nulla per sé ma si è dato tutto, senza risparmiarsi in nulla. Ha amato sino alla fine e ci ha detto che la gratuità arriva a dare anche la vita. E se vuoi essere suo discepolo, se vuoi essere dei suoi, non puoi troppo indugiare nello struggimento del canto degli angeli ma devi metterti in camino anche tu, amare nella tua vocazione senza risparmiarti in nulla. Un Dio così è radicale, avvincente ma anche esigente. Chi celebra il Natale deve essere messo di fronte alle conseguenze pericolose che stanno dietro l’adorazione di un bambino in una mangiatoia.
Dio che ti nascondi, Dio che non sembri Dio, Dio degli stracci e delle piaghe, Dio dei pesi e delle infamie, io ti amo. Non so come dirtelo, ho paura di dirtelo perché talvolta mi spavento e ritiro la parola; eppure sento che devo dirtelo: io ti amo! … Nella gioia di questo nascere, nello stupore di poterti amare, io accetto, io voglio, io chiedo che anche per me, Signore, sia subito Pasqua.
Un altro pensiero è per Stefano che, dicevamo, a modo suo, ci racconta il Natale di Cristo. La sua storia mi suggerisce il tema del rinascere. Stefano, non sappiamo bene come e quando, è uomo rinato in Cristo nel battesimo ma che è rinato, per fedeltà al Signore, anche nella disponibilità a servire e ad assumere l’incarico di diacono. È uomo dell’estasi, contempla i cieli aperti, è immerso in Dio. Ma è anche uomo estroverso, sprofondato fra i poveri della terra, perché non si può amare Dio che non vedi se non ami i fratelli a cui sei accanto. Fede e carità non sono mai elementi antitetici ma si richiamano sempre con urgenza. Spesso nascere alla fede fa nascere in noi lo slancio della carità autentica così come è vero che nel servizio all’altro sono nate storie di fede interessantissime. Infine Stefano rinasce anche nel suo martirio, rinasce al cielo, accetta che la Pasqua del suo Signore sia anche la sua. Se contempli il natale di Cristo non puoi non ri-nascere ogni giorno anche tu. Anzitutto questo vuol dire che in Gesù hai davvero la possibilità di ricominciare seriamente daccapo e che non c’è mai un punto fisso su cui puoi essere inchiodato, fossero anche gli errori più profondi e laceranti che ti porti dentro come un’ombra che hai vergogna tu stesso a guardare; ma poi questo vuol dire che dobbiamo rinascere alla maniera di Gesù, essere in questo tempo eco della sua presenza, segno che rimanda a lui, raggio della sua vita con la nostra fede attenta e la carità operosa.
E infine, sempre pensando a Stefano, mi colpisce molto il rapporto singolare che sta fra lui e Saulo che poi sarà Paolo. Stefano nemmeno sa che nel momento della sua morte, con quel modo di morire perdonando e donando la vita, sta seminando il vangelo in un uomo apparentemente chiuso e ostile. La testimonianza, se autentica e non moralistica, non è mai sterile. Il discepolo di Cristo sa che, come lui è rinato, deve generare altri alla fede. Solo qui si dà il compimento di una vocazione. Anche noi, fermi ancora davanti alla mangiatoia, abbiamo fra le mani un incarico e una responsabilità che nessuno potrà portare a termine al nostro posto: raccontare il vangelo alle nuove generazioni oppure dire questa Parola che salva a qualcuno ma in modo che lo Spirito agisca attraverso di noi in lui. Ogni volta che qualcuno nasce alla fede è ancora Natale sulla terra.