domenica 12 dicembre 2010

V di Avvento

Il nostro cammino in questo tempo di avvento, con questa domenica, arriva decisamente ad una svolta. Se infatti nelle scorse settimane abbiamo riflettuto sul Mistero di un Dio che ha mantenuto fede alle sue promesse affacciandosi sullo scenario della storia dell’uomo e che ritornerà nella sua gloria, con oggi vogliamo sentire il palpito dell’antico Israele, farci compagni di quella folla che attendeva la venuta del Messia: è come un gioco a tirare indietro le lancette del tempo perché in noi si accenda il desiderio di vedere il volto di Dio e poi stupirci di averlo incontrato in Gesù di Nazareth proprio come accadde oltre duemila anni fa ai giusti d’Israele. Solo se desideriamo vedere il Signore, solo se sentiamo di avere bisogno di lui in questo scorcio della nostra vita, solo se sapremo trovare in lui la sorgente che sazia la nostra voglia di infinito e di eternità, solo se capiamo che lui ci prenderà dall’alto per dare senso alla nostra gioia e alla nostra sofferenza sarà davvero Natale.

Tappa obbligatoria è la riva del Giordano dove predica e battezza Giovanni. Di lui si dice nel Vangelo che è il testimone della luce perché tutti credessero per la sua Parola oppure, nella lettura profetica, si dice che è il messaggero che prepara la via.

Giovanni chiedeva alla gente che accorreva a lui di cambiare vita, di allargare lo spazio della tenda del cuore per accogliere il Messia e il suo giorno. Anche a noi la sua voce ricorda che ci sono ostacoli del cuore che impediscono a Gesù di fare comunione con la nostra vita. La ricerca del potere, del successo e dell’apparire diventa altare su cui immolare la parte migliore di noi e ci fa dimenticare ciò che più conta. Questa è la radice del male che c’è nel mondo e nessuno di noi è escluso o può dirsi al riparo.

Giovanni era l’amico dello Sposo che ha saputo farsi da parte perché il suo popolo, come una sposa, incontrasse il Dio dell’Amore. Anche noi siamo chiamati a vivere il nostro incontro con Gesù come una sposa. Il nostro Dio infatti è anzitutto amore, ciò che meglio lo descrive è la metafora sponsale, è dono totale di sé senza risparmiarsi in nulla, non ha altri strumenti per avvincere la nostra libertà se non quello di un amore totale. E più lo ameremo e più lo conosceremo. Senza slanci estatici difficilmente comprenderemo la radice della nostra fede che è tutt’altro che moralismo sbiadito ma piuttosto avventura appassionante e coinvolgente che dà le ali al cuore.

Giovanni era un testimone e ci insegna a guardare non al dito ma a ciò che esso indica. Mentre Gesù passava lo chiama Agnello di Dio che toglie il peccato, il male che è in noi, dal mondo. A quelle parole alcuni dei suoi discepoli si staccano da lui e iniziano a seguire il maestro di Nazareth, avvertono che c’è in lui una promessa di felicità che il Battista non poteva donare. La gioia sta tutta nel poter essere persone nuove totalmente libere dal male che sfigura la nostra bellezza e la nostra dignità. Con Gesù anche noi possiamo ogni giorno ricominciare daccapo perché è uno che il nostro male, i nostri sbagli, quel senso di colpa che ci soffoca, se lo prende in carico e se lo getta alle spalle per sempre.

Ma credo che questa domenica abbia anche un altro messaggio da darci. Se oggi avremo ascoltato Giovanni e ci saremo lasciati portare per mano da lui all’incontro con Gesù, per riscoprire il suo volto, ci sentiremo noi stessi investiti del compito di diventare per qualcuno testimoni del Messia e della sua presenza nelle vene della nostra storia. Dobbiamo lasciare la chiesa in cui siamo entrati con una certa rapidità perché fuori c’è un mondo di persone che attendono la nostra testimonianza come il deserto l’acqua per poter fiorire. Non si attenderanno da noi una lezione, non una nota moraleggiante, vorranno scorgere sul nostro volto il sorriso di chi ha incontrato una Speranza per poter vivere.

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