domenica 29 gennaio 2012

Solennità della S. Famiglia di Nazareth




Con gli occhi di Maria

Io non so quel giorno che cosa gli è preso! Eravamo felici per quella settimana così intensa, così diversa, così lontana dalle solite prospettive di ogni giorno, anguste come le vie di Nazareth. Quella festa con i suoi riti, i suoi canti, quel viaggio, quell’affiatamento che vivevamo rendeva anche noi 3 tutti più uniti. E ne avevamo bisogno! Non era poi così lontano il tempo delle calunnie dei vicini, quei sorrisetti maliziosi delle donne di paese, quando mi spiavano a mezzogiorno al pozzo a prendere l’acqua con una pancia imbarazzante - per loro certo, non per me - e quei commenti “dice che le è apparso un angelo. Vedrai se nasce femmina come rideremo di gusto!”. Povero Giuseppe, anche il suo lavoro ne aveva risentito: i bigotti di Nazareth non gli portavano più i loro arnesi da riparare e non gli commissionavano più lavori importanti: “Del resto, se giusto era, avrebbe dovuto ripudiarla quella poco di buono!”. E così poco di buono giudicarono  anche lui!  No, proprio niente mi avrebbe preoccupata in quella festosa carovana al ritorno da Gerusalemme nella sua dodicesima Pasqua. Ma 3 giorni a non vederlo sono troppi anche se sai con chi viaggi e sai che nessuno avrebbe potuto fargli del male! Proprio al terzo giorno l’angoscia montava come un cavallo sbizzarrito. Mi prese le vene e iniziai a correre avanti e indietro chiedendo dove fosse e se qualcuno lo avesse visto. Mi prese la gola fino a dare un grido disperato a Giuseppe che inutilmente cercava di calmarmi: “dobbiamo tornare indietro!” quel figlio mio che non era nostro, quella carne destinata a qualcosa di grande mi era stata affidata e io, in quell’attimo, mi sentivo non solo sprofondare ma anche venire meno a una Promessa! Lo trovammo alla fine nel Tempio. Era lì con un accento da adulto seduto fra uomini dotti, di quelli che non danno retta ai poveri come noi, ma che a un ragazzo così non potevano non guardare con ammirazione e simpatia. Non so cosa gli avrei fatto: forse se la mano dolce di Giuseppe non mi avesse fermata uno scapaccione, come pochi gli ne ho dati, lo avrebbe proprio meritato. Gli urlai in faccia però tutta la mia rabbia, la mia paura, il mio terrore di averlo perso. Ma lui, calmo, come un adulto che ha già scelto la sua strada, mi replicò che così doveva essere, che in quel modo doveva andare, aveva un Padre a cui obbedire! No, figlio mio, non adesso, non ancora. È troppo poco il tempo che ti ho avuto con me. È troppo presto per darti in pasto a gente che non ti capirà e che ti ucciderà. Lascia ancora per un po’ – non so quanto ma sarà comunque troppo breve – che tu sia solo mio! E tornammo a Nazareth, niente è mai stato come prima da allora. Il mio Joshua era una bomba a orologeria destinata a deflagrare presto o tardi nella nostra casa. È il mistero di ogni uomo che chiede di affacciarsi alla vita. E io, come ogni madre, avrei dovuto ancora una volta farmi obbediente.



Con i nostri occhi

Luca solo per poco squarcia il velo del silenzio che avvolge i giorni dell’infanzia di Gesù: c’è un mistero che non può essere violato. Del resto la famiglia di Nazareth non fa cronaca, non ha la pretesa di assurgere agli annali della Storia dei potenti. Dio sceglie di abitare la storia dell’uomo nella più nascosta prosaicità e, proprio da questa prospettiva, ribalta ogni parametro: ciò che conta non sono le imprese quasi epiche ed episodiche ma la capacità di resistere e continuare a scommettere sull’amore giorno dopo giorno.

Questo brano vuole essere, forse, solo un prologo di quello che sarà lo stile di Gesù: non si lascerà mai imbrigliare, percorrerà con decisione e caparbietà la sua strada, farà, costi quel che costi, la volontà del Padre suo. Il tentativo di emancipazione che qui ci viene raccontato è sinonimo di una libertà che si fa scelta di essere il Figlio che dona la sua vita per amore e proprio così rivela la Verità di Dio.

Infine con queste righe Luca vuole dirci dove Maria e Giuseppe e con loro, poi, i discepoli del Signore devono trovare Gesù se lo vogliono incontrare per davvero. Gesù non sta nella carovana ma nel Tempio a discutere delle cose del Padre suo così come non sarà imbrigliato negli schemi di una religiosità farisaica e precettistica ma oltre, dove la Legge si fa Amore; Gesù sta sempre davanti a Pietro e a tutti gli altri, è sempre oltre perché il suo Vangelo ha una logica che spiazza; infine Gesù non sta nel sepolcro ma è nella casa del Padre suo, è il vivente che, perché crocifisso, perché si è donato senza trattenere, ha vinto la morte.  

A questo punto mi chiedo  cosa questo brano centra con le nostre famiglie. Non sono ammesse riduzioni di sorta! Anche perché la famiglia di Gesù è davvero unica nella sua forma. Mi piace però prendere spunto da quanto detto e fare delle dediche

Vorrei che tutte le mamme e tutti i papà imparassero a non trattenere mai i loro figli, che smettessero di pre-occuparsi per loro (perché quel pre denuncia che prima di tutto ci sono loro e le loro attese da colmare) ma si occupassero seriamente della loro felicità mettendosi accanto come puntelli solidi nella roccia su cui i ragazzi possono appoggiarsi ma per compiere quella scalata che sarà comunque e sempre solo la loro.

Vorrei che tutte le famiglie che faticano a resistere nell’amore sentissero sul loro capo la carezza di un Dio che è tenerezza e a cui non sfuggono i piccoli gesti d’amore che fanno, alla fine, eroica la vita di ognuno.

Vorrei che tutti quelli che non sanno dove sia il Signore magari nel cuore del loro fallimento, anche familiare, sappiano che Gesù è sempre nascosto nella trama dei nostri giorni e con lui si può sempre ricominciare daccapo.

lunedì 9 gennaio 2012

Battesimo del Signore

L’uomo alla ricerca di Dio
Esiste una sola discriminante fra noi: c’è chi si è arreso e sclerotizzato, chi ha smussato per sempre ogni sogno e si accontenta della monotonia del quotidiano – e spesso questo accontentarsi genera frustrazione, ci si inacidisce verso tutto e tutti, ci mette di cattivo umore e ci rende costantemente critici – e c’è invece chi non si è arreso, c’è chi si sente pellegrino alla ricerca del senso dei suoi giorni. Che cosa cerchi uomo? Forse la salute, forse il benessere. Forse cerchi la felicità, vuoi fermare a tutti i costi contro la logica del tempo quegli istanti di pura felicità: sogni l’eternità! Cerchi l’amore da dare e da ricevere, soffri la separazione, quella di un giorno e quella per sempre: tu sogni l’infinito. Uomo, fratello, tu cerchi Dio!

Dio alla ricerca dell’uomo.
Questa è la storia dell’uomo di sempre. Questa è la condizione che ci lega a chi ci ha preceduto. Ma oggi ci viene detto che in un luogo dalle coordinate precise e ben rintracciabili, in uno scorcio della storia Dio si è affacciato, si è raccontato, si è fatto vedere, in una parola, si è rivelato. Molti sono i momenti di questa Epifania e unico è il denominatore di tutti questi: Lui è l’Appassionato alla ricerca della sua creatura. Dio rompe ogni distanza e si fa nostro compagno sulle strade della nostra vita, calca con le sue orme la scena dei nostri giorni, non tollera la nostra paura, vuole riscattarci da quella solitudine che ci rende randagi e vuoti, si mette come capofila per indicarci che la nostra vita ha senso solo se giocata per amore e non si perde nei meandri dell’egoismo. Il Creatore si fa creatura e ci tende la mano.      

Un Dio che si rivela a noi in modo del tutto paradossale.
Ma se pensi alla voce di questo Dio come ad un tuono, se credi il suo agire come un terremoto, come una forza che penetra e sconquassa hai sbagliato idea. Questo Signore si rivela a noi in modo del tutto paradossale: lui, al grido, preferisce il silenzio; al clamore dell’apparire, sceglie il nascondimento; alla potenza e alla violenza preferisce la povertà e la piccolezza, la sua forza è la sua debolezza. Eccolo oggi in fila fra i peccatori lungo le sponde del Giordano. Non è diverso dagli altri. Si è messo in cammino per andare incontro al suo popolo e stare, dimorare, abitare la condizione di tutti gli uomini con la pretesa però di cambiarla dal di dentro. Oggi è lì dove tutti attendevano una parola dal profeta capace di illuminare di senso la loro vita. Sta al principio del cammino di conversione, dove l’uomo in tutta libertà decide di fare spazio nel cuore a Dio. Una voce e un segno lo indicano.  

Se lui si fa tuo compagno di viaggio allora scopri il potere di diventare figlio di Dio. Questo in fondo è il senso della sua presenza. Che quella benedizione che si sente dal cielo su di lui diventi anche la tua. E non dobbiamo fare nulla: non la si merita in nessun modo, la si accoglie come un dono gratuito e la si centellina giorno per giorno. Noi siamo figli benedetti del Padre, noi siamo gli amati, noi siamo preziosi e valiamo tutto l’amore di Dio. Ci piace pensarlo per gli altri, stentiamo a crederlo fino in fondo, lo riteniamo impossibile per noi. No, metti sul naso le lenti della Grazia e scopri oggi che la tua ricerca ha trovato un approdo, Dio cerca te e proprio te, quando gli lasci spazio nella tua vita. Te e proprio te con le tue zone d’ombra, con quei mostri che ti porti dentro e che hai paura anche a chiamare per nome, con le tue ferite, con quel poco che sei e che hai nella tua bisaccia, non c’è punto così basso che tu non sia raccolto e portato in alto al riparo delle sue ali.

Vorrei provare a dire cosa accade quando ti scopri Figlio amato
Alle persiane delle tue finestre, al mattino, non picchia solo la luce ma è la Grazia che ti dà la sveglia.
Quando ti alzi hai il sorriso di chi sa che nulla può accaderti che Dio non lo permetta.
Il bicchiere sulla tua tavola non è mai mezzo vuoto e nemmeno mezzo pieno, è quel che ti basta per saziare la tua sete. Lo specchio smette di piangere perché tu vali. Il vicino di casa, proprio lui che non tolleri più; il portinaio che ti dice il suo buongiorno forse troppo rituale per sembrare vero; chi ti circonda sul bus e sembra toglierti l’aria; la cassiera al supermercato che non sorride mai, il giovane che ti siede accanto e fa discorsi così vuoti; l’altro che ti fa compagnia ben sigillato nella sua macchina lungo il traffico è figlio amato quanto te, è fratello e non  un nemico e tu, perché figlio, sai che il padre te lo ha donato per fare più ricco il tuo bagaglio. Il lavoro si fa partecipazione ad un disegno che ha le coordinate del Regno di Dio. E con l’altro ti senti Chiesa, comunità dove ci si accoglie e ci si ama al punto di perdonarsi ogni cosa.  E in ogni respiro ti ritrovi prezioso, insostituibile.  E sentirai in te crescere l’amore. E questo amore è come la gioia: non te la fabbrichi con le tue mani ma la ricevi e devi donarla anche agli altri se non vuoi perderla. È il miracolo di una benedizione!