sabato 30 maggio 2009

Pentecoste

In me
Attorno a me… e siamo già un noi
Oltre noi e abbracceremo il mondo intero
Credo sia questa la mappa che ci indica la Liturgia della Parola di quest’oggi, quasi una geografia dello Spirito che anzitutto dobbiamo assecondare, accogliere come un dono, da riscoprire e non tanto da costruire.
Ma vorrei prima di tutto esprimere un sogno: mi piacerebbe che questa chiesa vibrasse come il cenacolo in quel giorno, che la gioia di Dio ci rapisse, che quel fuoco, che il rito con la sua austerità ci promette di donarci, iniziasse a scottarci dentro, a sciogliere il gelo dei nostri cuori, a squarciare per noi tracciati di vita autentica, che la forza dello Spirito ci porti in alto, verso Dio, ci renda cioè estatici per poi sprofondare in mezzo agli uomini, ci renda cioè estroversi, colmi di una speranza incrollabile, con le mani pronte a piegarsi su ogni ferita dei nostri fratelli. Se il miracolo della Pentecoste si ripetesse anche oggi fra di noi scopriremmo così che non si può essere credenti dalle mezze misure, cristiani del modulo ripetuto stancamente, arresi alle nostre incertezze e ancorati alla banalità, ci scopriremmo invece avventurieri che amano andare controcorrente sfidando ogni limite.
Lo Spirito in noi.
Gesù promette il Paraclito ai suoi discepoli mentre l’Ora della Passione e della Gloria sta per consumarsi. Paraclito vuol dire certo Consolatore, ma di più Avvocato, chiamato a raccogliere e a schierarsi dalla nostra parte. Nel momento in cui Gesù sta per abbandonare il timone della Chiesa, di questa comunità che a fatica si era costruito, promette la presenza di questo Consolatore che renderà noi stessi capaci di condurre al largo, sui flutti della storia, la Chiesa. Lo Spirito è la presenza di Gesù in noi, è il Maestro interiore che ricorda a noi Gesù e costruisce in noi i suoi stessi tratti. Ci indica ad ogni passo cosa farebbe Gesù al nostro posto e ci rende capaci di imitarlo e di renderlo presente qui e ora incarnato in noi. Dunque siamo chiamati a discernere cosa realmente lo Spirito ci chiede e questo comporterà fatica perché nel nostro cuore si agitano sempre anche altri spiriti, quelli del Male, che tentano di ripiegarci sul nostro egoismo e tentano di convincerci che la verità sta tutta nel successo, nel possesso e nell’apparenza. Ma non dobbiamo mai avere paura: non siamo soli. Il nostro destino è la santità. Azzardiamo pure scelte alte e alternative. E quando sentiremo nel cuore la pace e la gioia allora saremo certi di aver camminato sui sentieri dello Spirito. E alla fine dimoreremo in quell’abbraccio d’amore che c’è fra il Padre e il Figlio e la nostra gioia sarà piena.
Attorno a me…e siamo già un noi.
Mi piacerebbe dare questo sottotitolo alla seconda lettura. Infatti lo Spirito che scende su di noi non permette mai che la nostra avventura sia un solitario. Lo Spirito ci conduce sempre in una comunità e ci invita a sederci e a mettere in gioco il nostro dono per il bene di tutti. Se pensiamo di poter fare a meno di questi fratelli di fede che incontriamo la domenica, che costruiscono con noi la nostra comunità, non stiamo ascoltando la voce dello Spirito. Se prevale in noi la voglia di criticare piuttosto che di costruire non stiamo combattendo una battaglia giusta. La comunità, come la intende Paolo, è l’espressione dello Spirito. I diversi sono chiamati a vivere assieme come i convitati di una stessa festa: è la convivialità delle differenze. La comunità non è l’amicizia ma un qualcosa di più grande. Gli amici si scelgono per un’affinità, i fratelli di fede li ritrovi accanto a te e sono da ascoltare, amare e con loro devi costruire su questa terra una angolo di Paradiso. La critica e il disappunto non devono mai essere più forti della passione con cui condividiamo la nostra fede. Il malumore deve diventare al massimo correzione fraterna ma mai distruttivo. Lottare contro la comunità e voltarle le spalle è chiudere la porta allo stesso Spirito. È la comunità il contesto in cui si manifesta lo Spirito e dunque senza l’altro io non potrei credere o comunque sarebbe un cammino tutto in salita e quasi impossibile da praticare.
Oltre noi e abbracceremo il mondo intero
Infine lo Spirito ci spinge ad andare anche oltre quel noi che è la comunità e sbaraglia i chiavistelli delle nostre porte sbarrate al mondo. Lo Spirito vuole che la nostra testimonianza si riversi sui sentieri del mondo come i rivoli di una sorgente. E questa mi sembra l’immagine più bella per descrivere il miracolo raccontato nella lettura di Atti. I Dodici iniziano a parlare le lingue di chi abita in Gerusalemme e lasciano che ognuno intenda l’annuncio del vangelo nella sua lingua. Diversità che tornano a fondersi fra di loro in un unico messaggio: Pentecoste si trova al polo opposto di Babele. Sogniamo anche oggi una Chiesa che non ha timore di parlare il linguaggio dell’uomo per raccontare la buona notizia di sempre. Una Chiesa arroccata e sempre pronta a difendersi come in trincea non è secondo lo Spirito. Il mondo è come la pasta in cui scioglierci e da far lievitare. E l’abbraccio di testimonianza è il servizio più grande e più utile che possiamo rendere al mondo, un’aurora di pace che stenta ancora a levarsi nel buio in cui siamo immersi.

sabato 23 maggio 2009

settima di pasqua

A 40 giorni dalla Pasqua, Giovedì scorso, abbiamo celebrato la solennità dell’Ascensione di Gesù al Cielo. Il racconto biblico segna la fine delle apparizioni del Risorto con Gesù che sale verso il Padre mentre agli apostoli viene consegnato il mandato di annunciare fino agli angoli più estremi della terra il Vangelo che salva. In quel giorno si è aperto un tempo in cui anche noi siamo protagonisti nella Chiesa; si è inaugurata un’altra tappa della storia della salvezza che coincide con il mandato missionario che è stato messo anche nelle nostre mani. La spiritualità di questo tempo è dettata da due atteggiamenti che vorrei evocare con due immagini: lo sguardo al cielo e i piedi a terra. Il credente ha la testa fra le nuvole, tiene fisso lo sguardo in alto dove Gesù ci ha preceduto, sa che non tutto si consuma nella battaglia del contingente ma c’è un oltre che ci attende, c’è un qualcuno nelle cui mani rimettere il giudizio definitivo su di sé e sulla storia, in lui palpita una speranza che ha sempre la meglio su tutte le disperazioni, un punto sempre più in alto di ogni fatica. Il credente poi sa che da qual cielo un giorno Gesù ritornerà sulla terra e allora avrà inizio la festa del Regno. Per questo ogni tanto ci può rapire la nostalgia di vedere il volto del Risorto, di poterlo abbracciare, di lasciarci salvare da lui e guarire in ogni ferita più profonda del nostro cuore. Ma questo non basta. Il discepolo di Gesù è anche uno che ha i piedi ben ancorati sulla terra; proprio perché ha conosciuto Gesù e lo ha amato, si sente chiamato a darne un’immagine viva qui e ora, ad incarnare a modo suo i lineamenti del suo volto. La battaglia per rendere questa terra un po’ più simile al Paradiso ci appartiene. Il cristianesimo non è sterile spiritualismo e nemmeno profonda filantropia.
Mi sembrava giusto richiamare all’inizio dell’omelia di quest’oggi il contesto liturgico e spirituale in cui si colloca questa domenica sospesa fra l’Ascensione e la Pentecoste, anche per comprendere la Parola appena proclamata.
Anzitutto Atti ci presenta la comunità, subito dopo l’Ascensione, impegnata a scegliere uno che potesse sostituire Giuda, l’unico che nel vangelo Gesù ammette di aver perduto - in quella logica misteriosa per cui il limite che Dio dà alla sua onnipotenza è proprio la libertà dell’uomo, anche se volta all’autodistruzione – perché all’inizio della sua missione fosse intatta la struttura dei Dodici. Così la Chiesa poteva presentarsi al mondo nella forma che Gesù stesso le aveva dato: i discepoli guidati dai Dodici, richiamo simbolico del nuovo Israele. È una Chiesa che non vuole staccarsi dal modello che le ha consegnato Gesù ed è un richiamo anche per la Chiesa di oggi perché, nelle vicende della storia, non smarrisca quell’essenzialità che Gesù ha pensato per lei e non insegua altre forme, troppo umane, troppo impregnate di potere e ricchezza.
Nella sua lettera a Timoteo Paolo richiama, con un inno già in uso nelle prime comunità cristiane, il Mistero di Gesù che è passato fra noi ed è ora in Cielo. La nostra fede è tutta giocata su un equilibrio singolare fra Carne e Spirito, Umanità e Divinità. Abbiamo incontrato un Dio che è a noi vicino, che cammina in mezzo a noi pur restando sempre oltre a noi.
Vorrei però soffermarmi maggiormente sul Vangelo. Siamo al termine della lunga preghiera di Gesù nel Cenacolo poco prima della sua Pasqua, dell’Ora in cui sarà glorificato. E ora sta affidando i suoi discepoli al Padre. Sono parole altissime, siamo nel cuore della relazione fra il Padre e il Figlio. E noi camminiamo proprio in mezzo a loro perché Gesù stende le sue braccia fra noi e il Padre. Che cosa chiede Gesù per noi, dunque cos’è l’essenziale da preservare nella nostra vita in attesa del ritorno del Figlio.
Custoditi nel nome del Padre per essere una cosa sola. Sembra che la cosa che stia più a cuore a Gesù è che i suoi siano perfetti nell’unità. L’unione non è l’omologazione ma la convivialità delle differenze, proprio come è Dio, quando cioè ognuno sa valorizzare il carisma dell’altro e tutti trovano il loro posto. Unione non è risparmiarsi dalla dialettica ma è alla fine saper fare spazio all’altro e alle sue esigenze e alle sue prospettive. La comunione è un’arte che si impara anche dagli sbagli della storia. La Chiesa, che vive dai giorni dell’Ascensione e cammina verso il Regno, è spettacolo di unità. Per meno di questo si tradisce il desiderio profondo di Gesù. Ricordiamolo quando pensiamo anche alla nostra comunità e chiediamo perdono a Dio per quando qualcuno se n’è andato perché non accolto, giudicato, considerato perduto.
La pienezza della gioia. Gesù prega perché la nostra gioia sia piena nella certezza che lui ci ha preceduto per prepararci un posto. Il cristiano trabocca di gioia perché consegna nelle mani del Figlio il senso della sua storia. Non c’è tristezza più forte della gioia e su questo punto dovremmo spesso interrogarci per discernere se abbiamo incontrato il Vangelo o qualche altra parola mascherata magari di buon senso religioso.
Custoditi dal Maligno. Gesù non ci risparmia la battaglia che è stata anche la sua contro le forze del Male. Se ne parla forse poco. Ma il Male c’è e il padre è il Diavolo. Se decidi di abbracciare la via di Dio devi fare i conti con il Male che vuole distruggere, che vuole mandare a monte la tua partita, che usa mille e più armi per farti mollare il colpo.
Nel mondo come missionari. Gesù non ci toglie dal mondo anche se non vuole che gli apparteniamo, e non apparteniamo alla sua logica di potere, avere e apparire. Ma siamo chiamati a restare in questo mondo, a calcare la terra di tutti i nostri fratelli e a condividere il loro sudore come ha fatto lui. E’ vero anche per noi il mistero dell’Incarnazione e più sei di Dio e più sei chiamato a portare il suo nome sulla terra. Cambia, rispetto agli altri, solo lo stile. Profumati di Vangelo, con il cuore povero perché pieno della presenza dello Spirito, saremo per questo mondo una provocazione che muove all’interrogativo e ultimamente alla fede.

sabato 16 maggio 2009

sesta di pasqua


Mi piace pensare alle letture di oggi come ad un dittico: da una parte il Vangelo con la Promessa che Gesù fa dello Spirito ai suoi discepoli insieme alla certezza della persecuzione e della sofferenza a motivo del suo nome. E dall’altra parte, come un’esemplificazione, come una prova che le parole di Gesù si sono compiute a suo tempo, le due letture in cui Paolo deve difendere la sua fede contro i suoi connazionali di fronte al re Erode Agrippa e poi contro quei Corinzi che, dopo la sua partenza, avevano iniziato a dubitare della sua attendibilità come apostolo.
E allora con voi, quest’oggi, desidero osservare quest’opera soffermandomi sul primo e poi sul secondo quadro. Vorrei infine aggiungerne un terzo parlando di noi e della lotta che anche noi dobbiamo sostenere per essere credenti.
Anzitutto allora il brano di Vangelo. Dicevamo che ci sono due promesse legate fra di loro: verrà lo Spirito, e anche noi ne sentiamo il presagio avvicinandosi il grande giorno della Pentecoste, l’ultimo della Festa. Lo Spirito darà testimonianza a Gesù in noi, ci ricorderà le sue parole, cioè sarà nostro maestro interiore e ricomporrà, come l’abile mano di un pittore, l’armonia dei colori della fede fra di loro. Ci farà sentire come credibile e meritevole di fiducia l’accadimento della Risurrezione del Crocifisso. Ci farà vibrare alla luce della paradossale verità delle parole di Gesù. Ci aiuterà ad abbandonarci al Padre e a fare di lui, come Gesù ci ha insegnato, il segreto dei nostri fragili giorni e per questo ci riempirà di speranza eterna. Ci prenderà per mano e ci aiuterà ad amare fino alla fine, a stare completamente fuori di noi, rivolti a braccia aperte verso ogni fratello proprio come Gesù. Lo Spirito, insomma, traccerà sul nostro volto i lineamenti stessi di Gesù e ognuno, a modo suo, ne riproporrà qui e ora la sua immagine. Ma lo stesso Spirito ci sarà compagno nella testimonianza che sgorgherà dal nostro cuore come un fiume irrefrenabile. E se sei decisamente di Cristo andrai incontro all’accusa, alla persecuzione, alla croce perché il mondo da sempre, dai tempi del Giardino, preferisce altre parole, altri modelli, non lasciarsi avvicinare da questo Dio che è amore e per questo esigente nella relazione. La cosa più commovente è pensare che queste righe, ambientate nel cenacolo prima della Passione, con i discepoli in preda alla paura e allo smarrimento, sono state scritte a distanza di qualche decennio quando ormai la maggior parte di loro aveva già donato la sua vita sostenendo, pieni di Spirito, la lotta per il Vangelo.
Spostiamo ora lo sguardo e contempliamo la seconda parte del dittico. Il protagonista è Paolo. Oggi ci apre il suo cuore raccontandoci qualcosa di inatteso che è accaduto nella sua vita e che lo ha trasformato nel profondo squarciandogli prospettive inattese. L’accadimento è proprio l’incontro con il Risorto sula via di Damasco. Quel nome che lui perseguitava, quella notizia della risurrezione di un uomo che, a suo avviso, si stava diffondendo come una pericolosa bugia fra la sua gente, la fede in un Messia Figlio di Dio crocifisso, che aveva tutti le fattezze di una bestemmia, Gesù ora gli si è fatto accanto, si è lasciato incontrare, ha fatto irruzione nelle sue ostinate pretese e gli ha consegnato una nuova vocazione, la testimonianza a tutte le genti del Vangelo che salva. E poco importa della sua debolezza: ciò che conta è la potenza di Cristo che fa sgorgare dalla roccia più arida sorgenti freschissime. Per amore di Gesù ora lui è capace di abbracciare anche la croce. Lo Spirito gli fa da compagno in una vita che, definire avventurosa, è poco!
E ora permettermi di aggiungere un altro quadro, la nostra vita. La prima cosa che vorrei tratteggiare è il fondamento di tutto. Se vuoi essere testimone di Gesù devi anche tu lasciarti rapire dallo Spirito, devi anche tu farti trovare da Cristo e iniziare ad amarlo alla follia. Altrimenti, ogni impegno di testimonianza diventa sterile moralismo. Se non hai negli occhi la luce di chi ha incontrato il Cristo, se non palpiti di gioia, se non bruci nella fiamma d’amore dello Spirito poca importa dirsi credenti. Ma questa non è un’avventura da poco. Infatti anche oggi il mondo si opporrà alla tua gioia con la sua logica, a volte apertamente in contrasto con la fede, ma molto più spesso con convinzioni subdole e calcoli raffinati e per questo affascinanti. E penso a chi fra noi, in nome della fede, sul posto di lavoro o a scuola deve sostenere battaglie, perché non si china al compromesso. Penso a chi è per la vita, per la famiglia, per l’oggettività dei valori e si trova schiacciato nella morsa del relativismo. Penso a chi fa scelte di carità e non molla la presa anche se gli altri lo giudicano folle. Penso a chi fa della logica dell’accoglienza dei più deboli e degli stranieri, scritta a chiare lettere sulle pagine del Vangelo, un motivo di vita e non si fa piegare dalla paura dello straniero e non tace di fronte alle ingiustizie, anche se a compierle è uno Stato che si dichiara di diritto e magari finge di ispirarsi alle radici cristiane.
Coraggio! Come ci dice la Parola, come ci ricorda l’esempio di Paolo, per dare frutto si deve soffrire, morire come un seme. Per provare l’oro si usa il fuoco. E se alla fine avremo resistito, beati noi!
Il pensiero infine va a questi bambini che ricevono oggi la prima comunione. Anche per loro c’è un sentiero tracciato fatto di amore per Gesù, dopo che lui avrà riempito del suo amore il loro cuore, e di testimonianza. Siamo disposti ad accompagnarli? Siamo disposti a raccontare tutta la verità e fargli percorrere il sentiero in salita della fede? Perché di cristiani dalle mezze misure non sappiamo che farne, perché proprio per una posta in gioco così alta li abbiamo portati qui sull’altare.

domenica 10 maggio 2009

quinta di Pasqua

Oggi, in questa V domenica di Pasqua, si danno appuntamento alcuni avvenimenti che colorano la nostra celebrazione e la rendono particolarissima. Anzitutto è la festa patronale. Auguri, cara Parrocchia: quasi 500 anni di storia e non sentirli! Perché è sempre attuale la tua vocazione di essere presenza del Dio che salva in mezzo alle case del nostro quartiere; sprofondata nella storia dell’uomo ma con il dito puntato all’orizzonte, ad indicare la Stella Polare che è Gesù con la sua sfrenata voglia di amare e di raccogliere nella sua mano la trama complessa dei nostri giorni per darci consolazione e pace; con la tua certezza che in te non si esaurisce la creatività del Regno di Dio ma tu sei chiamata a leggerne e interpretarne i segni nel palpito della vita delle nostre famiglie.
E poi oggi è fra noi p. Rocco Baione. La sua presenza discreta e costante per tanti anni è stato per noi un riflesso della cura del buon Pastore per il suo gregge. Pensando a te e a tutti i miei fratelli più grandi nel ministero mi viene in mente la favola suggestiva dell’albero e di un bambino. All’inizio si incontrarono quasi per caso e il bambino amava appendersi ai suoi rami per dondolarsi e l’albero, anche se ogni tanto sentiva spezzarsi qualche ramo, era felice della sua gioia. Cresciuto, quel bambino chiese all’albero i frutti per venderli e comprare cose per divertirsi. E l’albero non trattenne nulla per sé e riempì le mani del bambino ormai cresciuto. Passò del tempo e venne ancora il bambino che ormai era un uomo. L’albero si sentì riempire di gioia. Voleva una casa per abitarvi con sua moglie. E l’albero lo invitò a tagliare i suoi rami. Passarono ancora molti anni, il bambino era ormai anziano ma non così tanto e volle costruire una barca per fuggire da tutto e da tutti. E l’albero gli fece dono del suo tronco. Un giorno a quell’albero, diventato ormai solo un ceppo, tornò il bambino di un tempo, stanco della vita, con la sola voglia di sedersi e riposarsi. E l’albero, che non poteva dargli quasi più nulla, lo invitò a sedersi e ancora si sentiva felice. Il segreto di un ministero riuscito è accogliere in noi il dono della Parola, essere pervasi della presenza di Cristo e poi non trattenere nulla per sé.
E infine, l’ultima coincidenza è la celebrazione della Prima Comunione di un gruppo di 23 nostri ragazzi. Gesù farà comunione con voi, ci tiene cioè a darvi ciò che è suo, vuole piantare i picchetti della sua tenda in voi perché vi ama. Il suo corpo è per voi, il suo sangue è un’Alleanza, una mano unita alla vostra e che continuerà a cercarvi anche quando vi dimenticherete di stringerla. Non credete a nient’altro: Dio vi ama teneramente, dona tutto e non pretende nulla. E stare con lui è l’unica possibilità per strappare alla banalità i nostri giorni. Di questo annuncio ne siamo oggi, qui davanti a voi, tutti responsabili e così questo non sarà solo un rito: questo azzardo di una Chiesa che mette fra le vostre mani il suo tesoro più prezioso diventerà una scommessa sul futuro della nostra comunità.
E ora vorrei chiedere alla Parola di oggi, quando siamo ormai oltre la metà della festa di questo tempo pasquale e si intravvede all’orizzonte il Mistero della Pentecoste - e in effetti la Parola inizia proprio da questa domenica a preparare il nostro cuore al dono dello Spirito - qualche segreto che dia profondità alla nostra vita.
Leggendo in Atti la testimonianza di Stefano, la lucidità con cui legge la Storia della Salvezza, la schiettezza con cui mette a tacere i suoi interlocutori penso al segreto delle aquile. L’aquila non ha paura di spiccare il volo, di raggiungere come nessun altro le altezze del cielo, è tutto al contrario dello struzzo che corre goffamente e mette la testa sotto la sabbia! E proprio perché vola così alta, l’aquila non perde di vista le sue prede e si fionda sopra loro. Ecco: bisogna volare alto, lì dove ci porta lo Spirito, avere orizzonti esagerati, per poi non lasciarci sfuggire i particolari, le sfide del quotidiano in cui siamo invitati a giocarci con franchezza. Più fai di Dio il senso dei tuoi giorni e più sei capace di leggere la storia e di affrontarla da protagonista. Più temi Dio e Dio solo e più sarai un temerario nei confronti di chiunque. E costi quel che costi porterai l’annuncio del Vangelo di Verità ai confini del mondo.
Ascoltando la Parola di Paolo invece penso al segreto del caleidoscopio. Fissi l’occhio nella fessura di un cilindro e scopri all’interno un mondo di colori e di forme sempre nuove. Lo Spirito di Dio che ci è stato donato è capace di aprire al nostro sguardo orizzonti sempre nuovi di Grazia se siamo tentati di ripiegarci su noi stessi o di arrovellarci sui nostri problemi e sulle nostre paure. Lo Spirito ci fa vedere nell’altro non più uno straniero, un nemico, ma un fratello da amare e nella sua diversità leggiamo i carismi che costruiscono il bello della comunità. Lo Spirito sa aprire al nostro sguardo a volte disperato la certezza della Risurrezione e ci fa vedere accanto a noi il Dio che salva. Vorrei, come un augurio e un appello alla nostra responsabilità, che questo segreto appartenesse sempre più alla nostra comunità. Cambierebbe tutto anche fra noi se fossimo fratelli aperti a Dio e accoglienti fra noi oltre ogni paura, se fossimo impregnati di Spirito e per questo capaci di speranza, portatori di gioia.
E infine nel brano di Vangelo, in questa preghiera che Gesù leva al Padre e con cui ci trascina con sé a mete altissime, in cui ogni Parola sarebbe da centellinare leggo il segreto dell’albero. Tanto è più alto e maestoso, e così è capace di dare ombra a chi si rifugia sotto i suoi rami, tanto profonde sono le sue radici. Quello che si vede è grazie ad una profondità invisibile. Ciò che conta è il cuore. Bisogna radicarsi in Dio, mettere casa nel Mistero del suo Amore. Lascia che lui ti conosca e ti ami, lascia che la sua Parola riempia le tue mani, lasciati portare alle sorgenti della Misericordia e allora sarai un uomo riuscito. Se le nostre radici non si nutrono dell’acqua freschissima che è Cristo presto ci pieghiamo e diventiamo rigidi, aridi. Ma se non tagliamo queste radici e abbiamo il coraggio di restare allora, proprio come un albero maestoso, faremo ombra e daremo pace ad ogni nostro fratello. E questo è l’augurio che faccio ai ragazzi della prima comunione. La comunione di oggi sia la comunione con lui per tutta la vita. e grazie perché oggi lo ricordate anche a noi.

domenica 3 maggio 2009

quarta di Pasqua


Il Risorto, che è apparso a Maria e ai discepoli confermandoli nella fede, non ha mai smesso di darci appuntamento di settimana in settimana. Domenica scorsa lo abbiamo contemplato come la nostra Via, Verità e Vita e oggi come il buon Pastore.
Ma, prima di sottolineare qualche passaggio della Parola proclamata, vorrei soffermarmi sul tema della preghiera per le vocazioni che unisce oggi l’intera Chiesa. Pregare perché ogni giovane trovi la sua vocazione è un gesto di carità profondo. Non si può essere uomini riusciti senza un progetto di vita da abbracciare: è come se una nave non avesse una rotta da seguire e stesse in balia delle onde; è come se si guardasse il cielo e si desiderasse spiccare il volo senza però mai trovare il coraggio; senza progetto la vita è vuota, è solo trascinata, drammaticamente ripiegata sul presente e sul contingente; senza la vocazione anche la fede non ha senso perché resta un astratto insieme di regole e precetti. Al tema della vocazione è legata la felicità dei nostri giovani. Ma nessuno può scoprire la sua vocazione senza un qualcuno che si faccia suo compagno di viaggio e, pazientemente, gli tenga la mano sulla spalla nei momenti difficili o lo aiuti a interpretare i segni della direzione precisa che deve scegliere. Ecco perché non possiamo fermarci alla preghiera, ma questa giornata è un appello alla nostra responsabilità educativa. Se forse i giovani non sanno più fare scelte definitive, se forse li attanaglia un senso di vuoto che li rende disperati, talvolta cinici, se ci sembrano così tristi e il loro cuore sembra che non batta più per ideali altissimi è anche perché noi adulti abdichiamo al nostro ruolo educativo e non abbiamo più il coraggio di farci loro maestri, alziamo muri aldilà dei quali stanno vite che faticano ad uscire dal bozzolo e aldiquà stiamo noi con il nostro perbenismo di persone riuscite. Il nostro oratorio è un cortile promettente, pieno di giovani ma, troppo spesso vuoto di adulti che stiano lì con loro e per loro…se solo qualche adulto in più mi tendesse la mano e mi dicesse di voler imbarcarsi nell’avventura educativa! Daremmo vita a mille percorsi che accenderebbero mille sorrisi, non verremmo meno, come talvolta mi capita di pensare, al vero compito educativo dell’oratorio che è proprio accompagnare un ragazzo a spiccare il volo nel cielo della vita!
I versetti del Vangelo di oggi seguono l’espressione con cui Gesù si definisce il buon Pastore: io Sono il buon Pastore. Lui, cioè, è il Figlio fatto carne del Dio di Israele che aveva promesso al suo popolo di dimorare fra loro come un pastore che, a differenza dei sacerdoti, dei re o dei falsi profeti, non avrebbe pensato al suo interesse ma solo al bene del suo gregge. Gesù è il pastore che conosce le pecore, cioè le ama, le sa distinguere, non le tratta allo stesso modo, sa dare loro un nome e conosce la loro storia prendendola fra le mani; queste pecore si fidano e lo seguono ascoltando la sua voce. Nessuna di loro andrà perduta e saranno rivestite con l’abito dell’eternità. È bello per noi scoprirci amati così dal nostro Dio; è bello, soprattutto nei momenti in cui ci sentiamo soli o non sappiamo dove sta la meta dei nostri giorni, scoprire che la mano del Pastore non viene meno e che magari ci sta portando sulle sue spalle; è bello sapere che c’è un orizzonte di eternità che ci è promesso e che nulla e nessuno potranno strapparci. Gesù è l’unico vero Pastore. Nessun altro può avere la pretesa di sostituirsi a lui. Al massimo si può essere un riflesso della sua guida, si può essere un’eco della sua voce che ci chiama a seguirlo. Questo gli apostoli lo sapevano bene. Paolo, che a Troade compie questo miracolo, non smette di celebrare l’Eucarestia perché la vita che è ritornata nel giovane Eutico sgorga freschissima proprio nella presenza del Risorto nel Pane spezzato e nella Parola predicata. Timoteo, giovane vescovo di una comunità, deve continuamente far riferimento a Gesù e in lui trovare il principio della sua autorevolezza.
Noi sacerdoti, in comunione con il Vescovo, non siamo altro che testimoni della presenza del buon Pastore, deboli strumenti nelle sue mani grandi, portatori di un tesoro in vasi di coccio. Ogni tentativo di superarlo è inutile, ogni tratto dispotico e autoritario è fuori posto e rischia di essere fuorviante. Con la nostra vita, in particolare con l’annuncio della Parola e nella celebrazione dei Sacramenti, nel tessere pazientemente la trama di una comunità, siamo chiamati ad incarnare questo tratto di Gesù che guida il suo popolo verso un oltre sempre inatteso. Mi sento oggi di chiedere scusa a voi, comunità amata e che ho l’onore si servire, per quando la mia vita non è stata sufficientemente limpida da lasciar penetrare la luce del Risorto su di voi. Quando sono diventato prete ho scelto un brano della 2 Corinzi: la mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza. Quando scorgete i tratti della mia debolezza non fermatevi a questa ma amate chi sa fare, con la Potenza della sua Grazia, grandi cose anche attraverso strumenti deboli e inadeguati come me.
Insieme però alla comunità noi sacerdoti siamo chiamati ad ascoltare la voce della sua presenza e a raggiungerlo lì dove si trova. Il sacerdote vive il carisma della sintesi ma non è la sintesi di tutti i carismi come purtroppo spesso accade. La comunione fra preti e laici, la scoperta e la valorizzazione dei ministeri, la certezza che ci accomuna un sacerdozio è ancora da realizzarsi. Sarà per questo che la vita del prete è sempre più appesantita da cose che non gli spettano? Sarà per questo che spesso appariamo così stanchi e la nostra vita, più che una promessa, il compimento di un sogno, ai nostri giovani sembra un incubo? Se oggi preghiamo perché molti giovani e molte ragazze scelgano di consacrarsi a Dio e ai fratelli completamente, permettetemi di dire che bisogna pregare prima per i sacerdoti e i religiosi perché la loro vita sia più semplice, più bella, più affascinante. Ma anche questo ci spinge ad assumere, ognuno per la sua parte, una precipua responsabilità.