domenica 25 dicembre 2011

Natale, messa del giorno

Mentre Giuseppe e Maria erano in viaggio verso Betlemme, un angelo radunò tutti gli animali per scegliere i più adatti ad aiutare la Santa Famiglia nella stalla. Per primo, naturalmente, si presentò il leone. “Solo un re è degno di servire il Re del mondo”, ruggì “io mi piazzerò all'entrata e sbranerò tutti quelli che tenteranno di avvicinarsi al Bambino!”. “Sei troppo violento” disse l’angelo. Subito dopo si avvicinò la volpe. Con aria furba e innocente, insinuò: “Io sono l’animale più adatto. Per il figlio di Dio ruberò tutte le mattine il miele migliore e il latte più profumato. Porterò a Maria e Giuseppe tutti i giorni un bel pollo!” “Sei troppo disonesta”, disse l’angelo. Tronfio e splendente arrivò il pavone. Sciorinò la sua magnifica ruota color dell’iride: “Io trasformerò quella povera stalla in una reggia più bella dei palazzo di Salomone!”. “Sei troppo vanitoso” disse l’angelo. Passarono, uno dopo l’altro, tanti animali ciascuno magnificando il suo dono. Invano. L’angelo non riusciva a trovarne uno che andasse bene. Vide però che l’asino e il bue continuavano a lavorare, con la testa bassa, nel campo di un contadino, nei pressi della grotta. L’angelo li chiamò: “E voi non avete niente da offrire?”. “Niente”, rispose l’asino e afflosciò mestamente le lunghe orecchie, “noi non abbiamo imparato niente oltre all’umiltà e alla pazienza. Tutto il resto significa solo un supplemento di bastonate!”. Ma il bue, timidamente, senza alzare gli occhi, disse: “Però potremmo di tanto in tanto cacciare le mosche con le nostre code”. L’angelo finalmente sorrise: “Voi siete quelli giusti!”.

Vorrei che oggi si sentissero tutti benvenuti in questa chiesa. Chi è da molto che non vi entra, chi lo fa abitualmente, chi per la prima volta. Non so i motivi che vi hanno portato a lasciare le vostre case, feste ancora da preparare, trame di relazioni che per l’occasione si stanno ricucendo: forse il desiderio di rendere diverso questo giorno da tutti gli altri, forse la nostalgia di quando a messa ci andavate con mamma e papà con il vestito della festa tirato fuori per l’occasione; forse siete qui alla ricerca del senso di questo giorno così particolare, forse per un po’ di pace in mezzo a tante corse affannate a cui la vita ci costringe come quando incontri una fontana zampillante dopo aver camminato a lungo sotto il sole. Prendete posto, non state scomodi, mettete da parte per un po’ l’orologio che ci perseguita abitualmente. Benvenuti con quello che portate in voi, con quel che avete nel fardello della vostra vita. Immagino gioie autentiche, speranze di larghi orizzonti e alcune molto semplici, sicuramente domande e angosce, qualcosa che vi batte nel cuore come un dolore nascosto e di cui non trovate il senso, forse la sete per l’aridità, e tutti la stanchezza per il cammino. Siamo gente semplice, come l’asino e il bue. Ma la nostra debolezza piace tanto a Dio e lo innamora e così, possiamo prendere posto qui davanti, qui vicino al mistero del Bambino di Betlemme, il Dio con noi.
Ho tre passaggi che vorrei con voi rimarcare, tre perle preziose che la Parola di oggi ci consegna e che dobbiamo mettere nella nostra sporta per renderla più carica, sono parole che vogliono strapparci alla banalità a cui questo tempo e tutto quello che ci si muove attorno sembra costringerci.

1 la visita di Dio nella nostra storia.
Luca ci dice il tempo e il luogo precisi in cui Gesù nasce. È un tempo, come il nostro, dove fa cronaca la storia dei potenti che vogliono stringere in pugno le sorti della terra e in cui la storia dei semplici fa da corollario spesso insignificante: giorni di fatica e di obbedienza a un quotidiano a tratti difficile e a tratti pieno di sorprese. Proprio in questo tempo Dio decide di piantare i paletti della sua tenda, di volerci stringere a sé in un abbraccio che è condivisione totale, comunione, vicinanza, prossimità. Creatura e Creatore si danno appuntamento nella carne di quel bambino. Sotto i nostri giorni scorre il fiume della Storia di Dio con noi, palpita un Regno in cui sono sovvertite tutte le logiche del mondo e in cui ritrova valore e conta solo l’Amore. Cambia tutto se iniziamo a considerare così il nostro tempo: ci sentiremo liberati dal peso di un nulla che sembra volerci inghiottire alla meta delle nostre tante corse. Il tempo diventa occasione di incontro con questo Dio per imparare ad amare ogni fratello, i giorni carichi di dovere, se vissuti in questo abbraccio, sono occasione di santità e dalle nostre case si sprigionerà un tale potenziale di novità da sovvertire e da rivoluzionare l’intera città.

2 il segno paradossale. Il silenzio di Dio o la presenza di Dio dove non ce lo aspetteremmo?
Questo è il segno: un bambino, piccolo, appena nato, avvolto in fasce e che sta in una mangiatoia. Vorrei, se permettete, togliere per un attimo la patina di poesia a questa scena e rileggerla in tutta la sua scarna prosaicità. Provo a mettermi nei panni di Giuseppe e più ancora nei panni di Maria. Perché a loro, in quella notte, non è apparso nessun angelo a confortarli ma si sono sentiti addosso solo il rifiuto di mille porte sbattute in faccia. Avevano il compito di dare a questo bambino un futuro, una dignità e trovano solo lo squallore di una stalla dove appoggiare la loro stanchezza e la vulnerabilità di questo cucciolo. Io credo che quella notte la loro gioia sia stata velata di malinconia e di tristezza,  e si saranno chiesti con tutta probabilità dove fosse Dio e la sua onnipotenza, dove si fosse cacciata la promessa del riscatto d’Israele, come mai tutto quel silenzio. E hanno stretto fra le mani solo la fragilità di quel piccolo. Ma questo è ormai il modo di essere di Dio. Fragile per essere accolto con un atto libero e non per imposizione, debole ed è tolto per sempre il pregiudizio di un Dio distante, giudice, nemico. Ritratto per farci spazio. Ferito per prendere fra le mani tutte le nostre ferite e trasformarle in feritoie di luce.

3 i pastori e noi come loro: più si è deboli e più si è adatti all’amore trasformante di Dio. 
E infine lo sguardo cade sui pastori, su questa gente giudicata come poco di buono, abbruttiti come le loro bestie, distanti e non poco dai precetti rituali della loro religione. Uomini che vivevano confinati e che su di sé non nutrivano più speranza alcuna. Proprio per loro quella notte il cielo si squarcia, sui loro destini segnati e sui loro orizzonti chiusi, e, come a nessun altro è dato, assistono, loro ripiegati nello squallore, al concerto più bello che l’umanità abbia ascoltato. Più si è deboli e più si è adatti all’amore trasformante di Dio. Non c’è punto così basso in cui l’uomo sia caduto che Dio non lo voglia prendere in braccio e portarlo a casa. E loro vedono il segno, lo sanno interpretare e tornano nei loro villaggi carichi di una Parola che non può essere trattenuta.

Buon Natale fratello, perché buono è il Signore che nasce anche per te. Lui che è nato circondato dai briganti e muore fra i ladri, lui che è nato nella povertà e si è fatto povero perché, libero, oltre al Padre suo non desiderava null’altro, lui che ci spiazza e ci sorprende è per te oggi il sorriso di Dio.


domenica 18 dicembre 2011

domenica della Divina maternità di Maria


Omelia nella sesta domenica di avvento

In quest’ultima domenica dell’Avvento, tutta dedicata al mistero della divina maternità di Maria e al mistero dell’Incarnazione, vorrei con voi raccogliere dal brano di Vangelo, attorno a cui ruota tutta la Liturgia della Parola, qualche spunto, come se ci trovassimo su un campo ricco di fiori, uno più bello dell’altro, tutti profumati e di una rara delicatezza.

Quel giorno nel cuore di un’adolescenza che stava ormai per trasformarsi in maturità nel progetto stabile di essere una cosa sola con l’uomo che amava, in quel giorno in cui le apparso l’angelo che dall’immensità e dall’eternità di Dio è entrato nella piccolezza della casa di Nazareth, no, Maria non ha avuto paura. Lei, del resto, era abituata a leggere la Parola, aveva dimestichezza con il carattere di un Signore che, se pur Altro e distante, non si è mai risparmiato di gettarsi a capofitto nella storia di un popolo che amava e che si era scelto da sempre; di un Signore che, per inscrivere con traccia indelebile la linea dritta della sua presenza nelle tante linee storte dell’uomo, si è scelto spesso uomini e donne insignificanti e piccoli, molto spesso ragazzi, dialogando con loro e donando loro sogni dagli occhi del mondo giudicati miraggi improponibili ma che si sono rivelati alla fine pietre angolari da cui ripartire. E lei, Maria, ormai apparteneva a questa schiera, lei come gli altri, lei più degli altri.

Dio aveva un sogno:  essere uomo, accorciare tutte le distanze che lo separavano dalla sua creatura, per rompere il sospetto di sempre, anche il nostro, antico dai giorni del Giardino dell’Eden, che lui sia in concorrenza con noi, che voglia privarci della nostra libertà, che lui sia un Dio di divieti e di censure, prima fra tutte, alla nostra felicità. Dio vuole fare solo alleanza con l’uomo, vuole dargli la mano per dargli quello che gli manca, quel compimento dei suoi bisogni più profondi e più veri e così lottare per la sua gioia.  Maria accoglie questo sogno fra i suoi sogni e lei per prima sente sulla sua pelle che Dio dona tutto e non toglie nulla. Il suo sogno di amare viene centuplicato, il suo essere madre ritrova un orizzonte nuovo, inedito ma molto più intenso. La sua voglia di essere dono per il mondo trova possibilità  perché Maria, come ogni giovane, sente che può dare al mondo ciò che altri non hanno ancora fatto e, dopo, nessuno mai farà. E il suo sì pieno di gioia è certezza di un compimento non atteso ma da sempre desiderato.

Dio non ha mai voluto smettere di entrare così nella storia dell’uomo. E se in Gesù troviamo la definitività della sua Rivelazione è anche vero che oggi continua ad entrare nella nostra vita dai contorni sfilacciati scegliendo noi e proprio noi, noi con la nostra debolezza e con la nostra pochezza, noi con i nostri sogni, e proprio a noi chiede, nella semplicità delle scelte di ogni giorno, di aggiungere un tratto in più alla storia della salvezza. Noi, come Maria, siamo chiamati a dire il nostro sì perché Dio possa continuare a dire di sì all’umanità. È sorprendente ma è proprio così: Dio non vuole fare a meno di noi per trasformare la nostra terra in un angolo di Paradiso. Come dalla casa di Nazareth, così dalle nostre case si può sprigionare un potenziale d’amore tale da rinnovare il mondo intero.

E da quel sì prende forma il Mistero dell’Incarnazione. Dio sceglie di imparare da una donna ad essere uomo.  Ora nel segreto del suo grembo che tesse la vita con ossa e carne, poi con la pazienza delle cure, con gli insegnamenti delle prime cose: i passi, il linguaggio, l’educazione dei gesti e del loro valore, della preghiera e dell’ascolto della Parola e con l’esempio di una vita spesa nell’operosità del lavoro. Gesù deve anche alla madre tutto ciò che poi è stato. Nella parola profetica che regala speranza ai poveri, nella denuncia dell’ipocrisia e del potere che, con la ricchezza, allontana l’uomo da ciò che più conta, nella cura per ogni uomo ferito, nell’insistenza a raccogliere ogni uomo, nel dono totale di sé fino a spezzarsi per i suoi possiamo forse intravvedere, in potenza, le parole che Maria sussurrava ai suoi orecchi nelle sere a casa loro e gli esempi che gli dava in ogni momento di quegli anni lontani.

Per questo non possiamo fare a meno di avere Maria anche noi per Madre per imparare ad essere uomini e donne alla maniera di Gesù.

Madre, sorella nostra, fatti accanto a ognuno di noi, donaci quelle parole e quei gesti di tenerezza che hai avuto con Gesù perché possiamo qui e ora essere un prolungamento della sua presenza, per riscattare la nostra vita dalla banalità in questo  tempo che si è fatto ormai breve.

domenica 4 dicembre 2011

4 domenica di Avvento - l'ingresso del Messia


Vado perché non reggo più la frenesia che scuote questa città.
Resto perché non saprei più obbedire a un ritmo diverso e, in quest’obbedienza, trovo a tratti la pace del cuore. Vado perché ai palazzi, alle strade, al traffico preferisco la solitudine affascinante del deserto.
Resto perché fra i palazzi, le strade, il traffico io trovo il mio deserto.
Vado perché la folla mi spaventa.
Resto perché in questa folla ancora ritrovo, ultimo fra gli ultimi, Gesù.
Vado perché non sopporto l’anonimato che rende grigia la gente di questa città.
Resto perché voglio strappare dall’anonimato qualcuno da amare.
Vado perché qui tutto mi pesa.
Resto perché,  se condividiamo i nostri pesi, tutto si fa più leggero.
Vado perché mi stanno strappando a poco a poco il futuro.
Resto perché il futuro sono io qui e ora con le mie scelte.

Volevo solo dare voce e condividere le mie sensazioni, contraddittorie certo, che emergono quando penso alla città e mi penso cittadino in un angolo di una trama complessa e gigante.
E mi sento autorizzato a farlo oggi, in questa IV domenica di avvento, perché contempliamo Gesù che entra a Gerusalemme, che decide di terminare il suo cammino fissando i paletti della sua tenda proprio nella grande città, di voler affondare le sue radici lì dove l’uomo corre, lavora, prega, si incontra, progetta il futuro. Qui Gesù porta a compimento la sua incarnazione condividendo con noi anche la morte, abitandola per poi trasformarla in vita dal di dentro.

Questo brano è tipico della tradizione ambrosiana e vuole ricordarci che Gesù, come è entrato nella città, e anche oggi, in modo nascosto continua ad abitarla nel cuore di chi crede, nelle vene nascoste della storia, così ritornerà alla fine del tempo. Nel primo atto sotto i segni della piccolezza e del nascondimento, nell’ultimo atto nella gloria di un giudizio che unirà verità e misericordia, giustizia e pace. E così anche noi, che ci sentiamo a tratti piccoli e smarriti nella corsa della nostra città, sappiamo che il nostro tempo è destinato ad approdare non al nulla ma all’incontro con il Signore. E cambia tutto pensarsi come risucchiati dal buio oppure dirigersi verso la luce, sapendo che tutto è per il nostro bene e per la nostra gioia, con in mano una mappa dettagliata tracciata con l’inchiostro della Speranza.

Vorrei  quest’oggi trovare con voi, in una sintesi approssimativa della Parola ascoltata e ispirandomi a un testo del cardinale C.M. Martini, qualche indicazione su questa mappa. Come dobbiamo abitare noi la città nell’attesa della venuta di Gesù, volendo noi essere un prolungamento vivo e agile (Madeleine Delbrel, il ballo dell’obbedienza in Noi delle Strade) della sua presenza, custodendo la sua memoria, sapendoci accompagnati da lui? Cosa è essenziale e non va smarrito. E ho pensato a queste 5 indicazioni

L’amore per la preghiera, per il deserto. Se attendiamo la salvezza da qualche riforma, da qualche progetto innovativo, da uomini forti capaci di promettere utopie, rischiamo di restare delusi. La città la salva chi osa concedersi spazi di contemplazione, chi dà alla nostalgia del cielo il suo tempo migliore, chi sta con Gesù per ascoltare la sua Parola e farsi cambiare giorno dopo giorno il cuore per poi rituffarsi a capofitto nell’ordinario con occhi nuovi, mani pronte a servire e a dare la vita per amore. E Gesù sapeva ogni mattina, molto presto, uscire dalla città per ritirarsi a pregare, a gettarsi a capofitto nel dialogo cuore a cuore con il Padre. E questo era il segreto della sua gioia discreta che contagiava e lo rendeva così luminoso.   

La bellezza dell’amicizia. La città tende a seppellire nell’anonimato. L’amicizia che nasce dalla condivisione di qualche passione comune, rende l’altro un dono prezioso per la tua vita. Sono i piccoli gruppi di amici che voltano le spalle al mondo che lo salveranno (C. Lewis, I quattro Amori). Anche Gesù esce da Gerusalemme per rifugiarsi a Betania e trovare nel cenacolo di quell’amicizia la forza per donare la sua vita.

La forza della profezia e dei segni. Il cristiano non può firmare deleghe in bianco a nessuno e sgravarsi della responsabilità di rendere più bella, più simile al Paradiso la sua città. Deve porre segni che indicano soluzioni al problema, deve essere libero di dire la sua Speranza o di denunciare la logica che calpesta la dignità dell’uomo. Bisogna porre segni profetici che inquietino la falsa pace delle coscienze e che dicano un futuro alternativo. Proprio per dire la sua voglia di essere il Messia piccolo, povero, nascosto Gesù sceglie di mostrarsi su un asino.

Il coraggio del dialogo. In una città sempre più complessa e articolata il credente oggi è l’uomo del dialogo, dell’incontro ma non per fare sintesi ma per accogliere l’altro nella sua vita, per dare spazio alle domande e per cercare sinceramente con i fratelli la Verità.

La bellezza dell’accoglienza. E infine, l’ultimo atteggiamento che vorrei richiamare, è quello dell’accoglienza, di fare spazio dentro di sé e nella propria vita e, perché no, nelle nostre case, all’altro. Nell’altro c’è sempre un dono di Dio e per me e l’occasione per incontrarlo e amarlo. Mentre fai spazio a lui in realtà fai spazio proprio al Signore. Mentre hai paura di perdere, e in realtà accogliere è sempre un po’ perdersi, ti ritrovi più ricco, inaspettatamente si schiude un orizzonte di senso che non immaginavi. Accogliere il povero, metterlo al tuo livello nella tua vita, dilata a dismisura la libertà e la gioia.