Vorrei che oggi si sentissero tutti benvenuti in questa chiesa. Chi è da molto che non vi entra,
chi lo fa abitualmente, chi per la prima volta. Non so i motivi che vi hanno
portato a lasciare le vostre case, feste ancora da preparare, trame di
relazioni che per l’occasione si stanno ricucendo: forse il desiderio di
rendere diverso questo giorno da tutti gli altri, forse la nostalgia di quando
a messa ci andavate con mamma e papà con il vestito della festa tirato fuori
per l’occasione; forse siete qui alla ricerca del senso di questo giorno così
particolare, forse per un po’ di pace in mezzo a tante corse affannate a cui la
vita ci costringe come quando incontri una fontana zampillante dopo aver
camminato a lungo sotto il sole. Prendete posto, non state scomodi, mettete da
parte per un po’ l’orologio che ci perseguita abitualmente. Benvenuti con
quello che portate in voi, con quel che avete nel fardello della vostra vita.
Immagino gioie autentiche, speranze di larghi orizzonti e alcune molto semplici,
sicuramente domande e angosce, qualcosa che vi batte nel cuore come un dolore
nascosto e di cui non trovate il senso, forse la sete per l’aridità, e tutti la
stanchezza per il cammino. Siamo gente semplice, come l’asino e il bue. Ma la nostra debolezza piace tanto a Dio e
lo innamora e così, possiamo prendere posto qui davanti, qui vicino al
mistero del Bambino di Betlemme, il Dio con noi.
Ho tre passaggi che vorrei con voi rimarcare, tre
perle preziose che la Parola di oggi ci consegna e che dobbiamo mettere nella
nostra sporta per renderla più carica, sono parole che vogliono strapparci alla
banalità a cui questo tempo e tutto quello che ci si muove attorno sembra
costringerci.
1 la visita di Dio nella nostra storia.
Luca ci dice il tempo e il luogo precisi in cui Gesù
nasce. È un tempo, come il nostro, dove fa
cronaca la storia dei potenti che vogliono stringere in pugno le sorti
della terra e in cui la storia dei
semplici fa da corollario spesso insignificante: giorni di fatica e di
obbedienza a un quotidiano a tratti difficile e a tratti pieno di sorprese.
Proprio in questo tempo Dio decide di
piantare i paletti della sua tenda, di volerci stringere a sé in un abbraccio
che è condivisione totale, comunione, vicinanza, prossimità. Creatura e
Creatore si danno appuntamento nella carne di quel bambino. Sotto i nostri
giorni scorre il fiume della Storia di Dio con noi, palpita un Regno in cui
sono sovvertite tutte le logiche del mondo e in cui ritrova valore e conta solo l’Amore. Cambia tutto se iniziamo a
considerare così il nostro tempo: ci sentiremo liberati dal peso di un nulla
che sembra volerci inghiottire alla meta delle nostre tante corse. Il tempo diventa
occasione di incontro con questo Dio per imparare ad amare ogni fratello, i
giorni carichi di dovere, se vissuti in questo abbraccio, sono occasione di
santità e dalle nostre case si sprigionerà un tale potenziale di novità da
sovvertire e da rivoluzionare l’intera città.
2 il segno paradossale. Il silenzio di Dio o la
presenza di Dio dove non ce lo aspetteremmo?
Questo è il segno: un bambino, piccolo, appena nato,
avvolto in fasce e che sta in una mangiatoia. Vorrei, se permettete, togliere
per un attimo la patina di poesia a questa scena e rileggerla in tutta la sua
scarna prosaicità. Provo a mettermi nei panni di Giuseppe e più ancora nei
panni di Maria. Perché a loro, in quella notte, non è apparso nessun angelo a
confortarli ma si sono sentiti addosso solo il rifiuto di mille porte sbattute
in faccia. Avevano il compito di dare a questo bambino un futuro, una dignità e
trovano solo lo squallore di una stalla dove appoggiare la loro stanchezza e la
vulnerabilità di questo cucciolo. Io credo che quella notte la loro gioia sia
stata velata di malinconia e di tristezza,
e si saranno chiesti con tutta probabilità dove fosse Dio e la sua onnipotenza, dove si fosse cacciata la promessa
del riscatto d’Israele, come mai tutto quel silenzio. E hanno stretto fra
le mani solo la fragilità di quel piccolo. Ma questo è ormai il modo di essere
di Dio. Fragile per essere accolto con
un atto libero e non per imposizione, debole ed è tolto per sempre il
pregiudizio di un Dio distante, giudice, nemico. Ritratto per farci spazio.
Ferito per prendere fra le mani tutte le nostre ferite e trasformarle in
feritoie di luce.
3 i pastori e noi come loro: più si è deboli e più
si è adatti all’amore trasformante di Dio.
E infine lo sguardo cade sui pastori, su questa
gente giudicata come poco di buono, abbruttiti come le loro bestie, distanti e
non poco dai precetti rituali della loro religione. Uomini che vivevano
confinati e che su di sé non nutrivano più speranza alcuna. Proprio per loro
quella notte il cielo si squarcia, sui loro destini segnati e sui loro
orizzonti chiusi, e, come a nessun altro è dato, assistono, loro ripiegati
nello squallore, al concerto più bello che l’umanità abbia ascoltato. Più si è deboli e più si è adatti all’amore
trasformante di Dio. Non c’è punto così basso in cui l’uomo sia caduto che
Dio non lo voglia prendere in braccio e portarlo a casa. E loro vedono il
segno, lo sanno interpretare e tornano nei loro villaggi carichi di una Parola
che non può essere trattenuta.
Buon Natale
fratello, perché buono è il Signore che nasce anche per te. Lui che è nato
circondato dai briganti e muore fra i ladri, lui che è nato nella povertà e si
è fatto povero perché, libero, oltre al Padre suo non desiderava null’altro,
lui che ci spiazza e ci sorprende è per te oggi il sorriso di Dio.