perdonami, Gesù, se oggi, il giorno della festa del nostro oratorio, non riesco a trattenermi ma mi va di prendere il senso della tua parabola storpiando il contesto. Ti prometto che non piegherò nulla a mio piacimento e poi, lo sai bene, questa gente che ho di fronte è molto in gamba e, nel caso, sapranno cestinare questa predica senza dimenticare quanto appena ascoltato. A questi patti, non puoi negarmi l’autorizzazione…
Un ragazzo scendeva da via Teramo a via Boffalora. Potrebbe
anche essere da via Mazzolari a via De Pretis o San Vigilio. Voglio parlare di
un ragazzo della Barona, uno qualsiasi, come i tanti che mi capita di
incrociare in oratorio, in strada, sui corridoi della scuola, sui campi da
gioco. Ad un certo punto, sulla sua strada, incrociò la noia. A differenza del
protagonista del tuo racconto, che senza dubbio avvertì immediatamente il dolore
e la paura, il nostro ragazzo non si accorse all’inizio di cosa gli stava
capitando. La noia del resto è così. Ti afferra
e poco per volta ti rende freddo, insensibile, spegne ogni piccola fiamma
di passione che può dare senso alla tua vita, ti spinge a salire in superficie
e a restarci. E alla fine si ritrovò incapace di credere in se stesso, gli sembrava
di vivere in un eterno presente senza passato e senza futuro, gli sembrava che
anche alle amicizie non si potesse dar credito fino in fondo accettando così la
logica del branco. Solo nel cuore, ogni tanto, ma solo quando di notte non
riusciva a prendere sonno, gli sembrava di aver dentro uno strano richiamo a qualcosa di diverso, i
poeti direbbero, la voglia di felicità.
Per caso sul suo cammino passò un sacerdote. Ma sarà
per la fretta di correre ad uno dei tanti impegni che riempiono la sua
fittissima agenda, sarà per la scarsa creatività del linguaggio, sarà per un
senso di frustrazione profondo, ma non fece altro che rimbrottarlo. Per fortuna
il ragazzo non capì molto di quanto gli veniva rimproverato.Passò anche un insegnante. Aveva un bagaglio di conoscenza tale che avrebbe fatto trasalire di entusiasmo chiunque ma i suoi occhi non brillavano più come la brace. Aveva in bocca sempre lo stesso ritornello e le sue minacce erano ormai armi spuntate. “Come faccio a credere che vale la pena spendersi per quello che mi dici se tu sei il primo che non ci crede?” sembrava dire il ragazzo con uno sguardo di sfida.
Anche un anziano si accorse di lui ma vide e, ovviamente borbottando, passò oltre. Per lui i ragazzi erano ormai un universo misterioso e a tratti minaccioso. “Ma come si fa a buttarsi via così” – pensò – quando lui, alla sua età, già lavorava e non pensava solo a divertirsi.
Insomma, quel ragazzo, come il disgraziato della parabola, per molto, troppo tempo rimase un invisibile. Chiunque passava non faceva altro che mettere un mattone al muro che lo separava dal mondo e lo sommergeva nell’abisso, lontano dai salvati.
Ma un giorno incontrò un educatore. Forse era un prete, forse un insegnante, forse solo un uomo appassionato della vita. Si fermò senza giudicare, lo ascoltò, iniziò, certo non senza fatica, ad amare quello che il ragazzo amava, sapendo che era l’unico modo per condurlo ad amare ciò che amava lui. Ci volle del tempo ma il ragazzo pian piano si sentiva più forte e iniziò a sgretolare quel muro di insoddisfazione liberando la voglia di felicità. L’educatore gli insegnò che felice è chi si lascia possedere da ciò che è infinito ed eterno. Quando vide che iniziava a camminare sulle sue gambe, quando si accorse che c’era in fondo al cuore un amore che gli restituiva la passione e il gusto delle cose, l’educatore sparì dalla sua vita per sempre. E fu felice.
Potrei fermarmi qui aggiungendo che proprio quest’ultimo
è l’educatore che si fa prossimo dei nostri ragazzi. E la questione ci riguarda
perché proprio dalla passione educativa, dalla qualità con cui emergono figure educative
fra noi, si denota la buona salute di una comunità.
Vorrei però tenere fermi tre pensieri e regalarli a
chi oggi riceve il mandato di andare ed educare a nome di tutti i nostri
ragazzi…
1 parti sempre da chi incontri e non dai tuoi
schemi. È più difficile perché occorre ascolto e pazienza. L’oratorio deve
modellarsi in base all’esigenza dei ragazzi. Ma avremo risposto alla chiamata
di essere una rete gettata sul quartiere per incontrare molti, seguire tanti,
accompagnare a Gesù alcuni.
2 il prossimo sei tu! È indelebile la traccia che
puoi lasciare nel cuore di un ragazzo. Se solo ci accorgessimo del valore dei
nostri sì e scoprissimo come siano, per i ragazzi, porte spalancate al Mistero
di Cristo proveremmo un brivido.
3 devi lasciarti tu per primo raccogliere da una
cura premurosa, quella di Gesù per te. Perché alla fine è lui solo il buon
Samaritano o, se preferite, il vero educatore che guarisce la tua ansia di felicità
piegandosi sul tuo bisogno.
Un’ultima idea e questa la voglio regalare ai
ragazzi e ai loro genitori. L’oratorio è un coacervo a volte inestricabile di
proposte e di cammini, puoi passare da qui a là come ci si muove in un grande
parco cittadino. Ma lo scopo è di incidere nelle fibre più profonde del tuo
essere di imprimere nel tuo cuore un marchio di fabbrica che ti porterai dentro
per tutta la vita: l’amore per l’altro, amarlo al punto di mettere la sua gioia
sempre prima della tua. È anche il senso della fede.
Buon inizio a tutti, allora!