domenica 30 settembre 2012

5 dopo il martirio del Battista - per la festa di riapertura dell'oratorio di Berni e Bono

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico...
perdonami, Gesù, se oggi, il giorno della festa del nostro oratorio, non riesco a trattenermi ma mi va di prendere il senso della tua parabola storpiando il contesto. Ti prometto che non piegherò nulla a mio piacimento e poi, lo sai bene, questa gente che ho di fronte è molto in gamba e, nel caso, sapranno cestinare questa predica senza dimenticare quanto appena ascoltato. A questi patti, non puoi negarmi l’autorizzazione…

Un ragazzo scendeva da via Teramo a via Boffalora. Potrebbe anche essere da via Mazzolari a via De Pretis o San Vigilio. Voglio parlare di un ragazzo della Barona, uno qualsiasi, come i tanti che mi capita di incrociare in oratorio, in strada, sui corridoi della scuola, sui campi da gioco. Ad un certo punto, sulla sua strada, incrociò la noia. A differenza del protagonista del tuo racconto, che senza dubbio avvertì immediatamente il dolore e la paura, il nostro ragazzo non si accorse all’inizio di cosa gli stava capitando. La noia del resto è così. Ti afferra  e poco per volta ti rende freddo, insensibile, spegne ogni piccola fiamma di passione che può dare senso alla tua vita, ti spinge a salire in superficie e a restarci. E alla fine si ritrovò incapace di credere in se stesso, gli sembrava di vivere in un eterno presente senza passato e senza futuro, gli sembrava che anche alle amicizie non si potesse dar credito fino in fondo accettando così la logica del branco. Solo nel cuore, ogni tanto, ma solo quando di notte non riusciva a prendere sonno, gli sembrava di aver dentro uno strano richiamo a qualcosa di diverso, i poeti direbbero, la voglia di felicità.
Per caso sul suo cammino passò un sacerdote. Ma sarà per la fretta di correre ad uno dei tanti impegni che riempiono la sua fittissima agenda, sarà per la scarsa creatività del linguaggio, sarà per un senso di frustrazione profondo, ma non fece altro che rimbrottarlo. Per fortuna il ragazzo non capì molto di quanto gli veniva rimproverato.
Passò anche un insegnante. Aveva un bagaglio di conoscenza tale che avrebbe fatto trasalire di entusiasmo chiunque ma i suoi occhi non brillavano più come la brace. Aveva in bocca sempre lo stesso ritornello e le sue minacce erano ormai armi spuntate. “Come faccio a credere che vale la pena spendersi per quello che mi dici se tu sei il primo che non ci crede?” sembrava dire il ragazzo con uno sguardo di sfida.
Anche un anziano si accorse di lui ma vide e, ovviamente borbottando, passò oltre. Per lui i ragazzi erano ormai un universo misterioso e a tratti minaccioso. “Ma come si fa a buttarsi via così” – pensò – quando lui, alla sua età, già lavorava e non pensava solo a divertirsi.
Insomma, quel ragazzo, come il disgraziato della parabola, per molto, troppo tempo rimase un invisibile. Chiunque passava non faceva altro che mettere un mattone al muro che lo separava dal mondo e lo sommergeva nell’abisso, lontano dai salvati.
Ma un giorno incontrò un educatore. Forse era un prete, forse un insegnante, forse solo un uomo appassionato della vita. Si fermò senza giudicare, lo ascoltò, iniziò, certo non senza fatica, ad amare quello che il ragazzo amava, sapendo che era l’unico modo per condurlo ad amare ciò che amava lui. Ci volle del tempo ma il ragazzo pian piano si sentiva più forte e iniziò a sgretolare quel muro di insoddisfazione liberando la voglia di felicità. L’educatore gli insegnò che felice è chi si lascia possedere da ciò che è infinito ed eterno. Quando vide che iniziava a camminare sulle sue gambe, quando si accorse che c’era in fondo al cuore un amore che gli restituiva la passione e il gusto delle cose, l’educatore sparì dalla sua vita per sempre. E fu felice.

Potrei fermarmi qui aggiungendo che proprio quest’ultimo è l’educatore che si fa prossimo dei nostri ragazzi. E la questione ci riguarda perché proprio dalla passione educativa, dalla qualità con cui emergono figure educative fra noi, si denota la buona salute di una comunità.
Vorrei però tenere fermi tre pensieri e regalarli a chi oggi riceve il mandato di andare ed educare a nome di tutti i nostri ragazzi…

1 parti sempre da chi incontri e non dai tuoi schemi. È più difficile perché occorre ascolto e pazienza. L’oratorio deve modellarsi in base all’esigenza dei ragazzi. Ma avremo risposto alla chiamata di essere una rete gettata sul quartiere per incontrare molti, seguire tanti, accompagnare a Gesù alcuni.   

2 il prossimo sei tu! È indelebile la traccia che puoi lasciare nel cuore di un ragazzo. Se solo ci accorgessimo del valore dei nostri sì e scoprissimo come siano, per i ragazzi, porte spalancate al Mistero di Cristo proveremmo un brivido.

3 devi lasciarti tu per primo raccogliere da una cura premurosa, quella di Gesù per te. Perché alla fine è lui solo il buon Samaritano o, se preferite, il vero educatore che guarisce la tua ansia di felicità piegandosi sul tuo bisogno.

Un’ultima idea e questa la voglio regalare ai ragazzi e ai loro genitori. L’oratorio è un coacervo a volte inestricabile di proposte e di cammini, puoi passare da qui a là come ci si muove in un grande parco cittadino. Ma lo scopo è di incidere nelle fibre più profonde del tuo essere di imprimere nel tuo cuore un marchio di fabbrica che ti porterai dentro per tutta la vita: l’amore per l’altro, amarlo al punto di mettere la sua gioia sempre prima della tua. È anche il senso della fede.
Buon inizio a tutti, allora!

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