Prima che
Se fra le mani avessimo il contratto di quel giorno troveremmo questi dati: a firma di Dio e Israele, davanti al cielo e alla terra, testimoni autorevoli, viene oggi data in Sichem al popolo la terra dove scorre latte e miele, nulla di più desiderabile. Dio si impegna ad esserci, a non dimenticare, a portare sul palmo della sua mano la sua gente, come una madre, a prendersi cura dei suoi figli, a lottare per loro. Israele si impegna a dimenticare gli idoli e a servire Dio solo.
Guardiamo meglio chi sono gli attori di questo contratto. Dio è colui che c’è stato, c’è e ci sarà come aveva promesso a Mosè nel giorno della chiamata al roveto ardente. È lui che vuole questa Alleanza, che chiama Israele a scegliere perché non impone nulla ma vuole assenso suscitando libertà. È un Dio che pone con le spalle al muro il suo popolo perché non tollera l’inerzia.
Israele oggi s’impegna con generosità, con sincerità. È un popolo che ha sentito forte la tentazione di servire gli idoli che altro non sono che l’immagine di noi stessi, qualcosa di manipolabile; a differenza di Dio non pretendono la relazione, non chiedono di cambiare il cuore. Sappiamo che questa tentazione si affaccerà anche dopo questo giorno a Sichem e che questo contratto sarà più volte spezzato.
Il vangelo fa da risonanza a questo brano. Anche Gesù mette con le spalle al muro i suoi. Questa volta in gioco c’è l’accogliere o meno le esigenze forti, dure, della sequela. Stare con Gesù non può mai essere per inerzia e il Vangelo non è mai per le masse – Gesù non ha mai badato alla logica del numero – ma delle singole coscienze che si confrontano con esso e decidono di farlo proprio. Gesù ha appena concluso il discorso del Pane di vita, ha appena dichiarato di essere lui Pane spezzato, amore che non si risparmia in nulla e si dona totalmente. Lui è il Messia non della rivoluzione ma della debolezza, della croce, della vita che si offre. E chiede comunione, pretende che chi sta con lui sia come lui, abbracci la via piccola della sconfitta che agli occhi di Dio è vittoria sul mondo. Chi è stato con lui ora deve fare i conti, deve capire bene ed ecco perché si tirano indietro in molti, tranne i Dodici che accettano la sfida, forse non capiscono fino in fondo, ma comunque vogliono mettersi in gioco.
E anche noi anzitutto oggi lasciamoci mettere con le spalle al muro come singoli e come Comunità. Liberiamoci dall’inerzia anche semplicemente chiedendoci perché siamo qui ora, perché crediamo, perché ci diciamo cristiani: è tramontato per sempre il momento in cui come popolo non possiamo non dirci cristiani, è finita per sempre l’epoca del cristianesimo di massa e proprio per questo è uno scorcio splendido della storia perché valorizza la scelta delle singole coscienze di aderire al Vangelo.
Inoltre facciamo i conti e chiediamoci da che parte vogliamo stare, se accogliamo in noi la logica disinteressata di servire il mondo fino a dare la vita. Con Gesù non ci sono vie di mezzo.
E infine risvegliamo l’orgoglio di un’appartenenza a questa Chiesa. Nonostante tutto, nonostante le ombre, nonostante le persone, in questa Chiesa noi troviamo Gesù Cristo e senza saremmo smarriti.