l'omelia è come un evidenziatore che scorre sulle pagine della Parola che di domenica in domenica la Sapienza della Chiesa ci offre
sabato 24 settembre 2011
IV dopo il martirio del Battista
“Se tu squarciassi i cieli”…è la speranza dell’uomo di sempre! Incontrare Dio, attendere che lui sciolga il nodo di mille e più domande di senso sulla vita, il mondo, la morte; un Dio che prenda per mano il nostro sogno di eternità e lo porti a compimento!
Noi siamo qui non solo con questa domanda ma anche con la certezza, forte a tratti oppure avvolta nella nebbia del dubbio e della paura, che questo Dio si è lasciato incontrare, ha calpestato anche la polvere della nostra terra, ci ha voluto raccogliere, ha reso la fede non solo uno slancio del cuore ma un accadimento, un evento, una relazione…per meno di questo non c’è cristianesimo, e forse sarebbe il caso anche di disertare questa Messa perché cambieremmo i connotati delle nostre liturgie in cui sappiamo passa il Signore risorto per chiamarci e invitarci a seguirlo.
In questo scorcio dell’anno liturgico in cui la nostra Chiesa riflette sul compimento della storia della Salvezza che si è data con l’incarnazione la vita e la Pasqua di Gesù, vorrei soffermarmi particolarmente sul brano di Vangelo. Siamo nel capitolo VI di Giovanni che si apre con il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci e prosegue con il discorso del Pane di vita, parole di rivelazione, in cui Gesù dice di sé di essere Pane, certezza di comunione, già ora e già qui vita eterna per chi lo accoglie. È un discorso a tinte forti, esigente, come trapela anche dalle righe di quest’oggi, che tuttavia si conclude nel peggiore dei modi: quei giudei, che pure avevano creduto in lui, comprendendo la portata delle sue Parole, lo abbandonano, lo lasciano solo con il gruppo dei 12, anche loro a corto di motivazioni ma, forse di più, con il coraggio di restare per comprendere e attendere.
Quella gente che aveva mangiato quei pani aveva frainteso il segno. Nel cuore cercava un Dio che saziasse il loro ventre, che accettasse il compromesso di dare per essere amato, onorato, temuto e rispettato. Quella gente era piena di religione ma con pochissima fede, cioè non pronta a slanciarsi in una relazione d’amore che si basa sulla confidenza e sull’abbandono. Voleva segni, voleva mettere a posto per sempre il dramma di tirare a campare, cercava salute, pane, una vita dignitosa…a loro non serviva il Dio della relazione, ma solo il dio, che è creatura della mente umana, che dà, riempie e prosciuga anche la bellezza della ricerca…e per un dio così sarebbe stati anche disposti a svendere la loro libertà, per un profeta così avrebbero fatto pure una rivoluzione armata e lo avrebbero reso loro re.
Gesù si oppone a tutto questo e avanza il suo modo di essere Dio e non di sembrarlo. Dio si avvicina all’uomo, lo interpella, suscita nel suo cuore il desiderio della relazione, vuole entrare in punta di piedi nel suo cuore, lì dove si prendono le decisioni più importanti, e dialogare con la sua creatura, tendergli la mano e indicargli la via per vivere la sua vita in pienezza. Non chiede di essere amato per ciò che dà ma per chi è! Comprendiamo allora perché questa prospettiva su Dio è difficile da accogliere perché ti mette in gioco in prima persona ed è esigente quanto la relazione con chi ami o con chi ti è amico. La relazione con Gesù ti apre uno scenario inedito di vita, esige che anche tu accolga la sua logica di condivisione – del resto Gesù moltiplica i pani dividendoli, anzi, condividendoli! – fino a dare la tua vita per il fratello, fino a perderti come un seme nella terra, fino ad allargare le tue braccia sulla croce come argine ultimo per la salvezza del mondo.
E noi quale Dio stiamo cercando? Forse è una domanda a bruciapelo, che ci mette con le spalle al muro, che interpella magari le nostre abitudini consolidate e le nostre certezze di fede. Rispondere a questa domanda però è necessario perché tutto, anche qui, vada avanti. Del resto la Parola deve scuotere la coscienza e suscitare interrogativi, forse più che offrire risposte falsamente rappacificanti!
Abbiamo sbagliato porta se stiamo cecando il pane e la tranquillità
Abbiamo sbagliato porta se stiamo cercando un futuro senza problemi
Abbiamo sbagliato porta se cerchiamo la soluzione dall’alto di qualche nostro problema
Abbiamo sbagliato porta se chiediamo denaro e prosperità
Abbiamo sbagliato porta se bussiamo per avere la salute, l’unica cosa che conta.
Del resto il Padre sa che di queste cose abbiamo bisogno e se solo ci accorgessimo che nulla ci manca del necessario saremmo anche più felici!
Questo è l’indirizzo per lasciarsi incontrare. Questa è la casa dove dialogare e stendere insieme a Dio l’itinerario del nostro destino. Qui di viene per farsi convertire lo sguardo, la mente e il cuore.
Qui si viene per apprendere la grammatica del Vangelo che inizia con la lettere a del verbo amare e termina con la coniugazione in ogni respiro dello stesso verbo.
domenica 18 settembre 2011
III dopo il Martirio del Precursore
"Uomini vanno a Dio
nella loro tribolazione, piangono per aiuto, chiedono felicità e pane,
salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte.
Così fan tutti, tutti, cristiani e pagani.
Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione, lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane,
lo vedono consumato da peccati, debolezza e morte.
I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza. Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione,
sazia il corpo e l’anima del suo pane, muore in croce per cristiani e pagani
e a questi e a quelli perdona".
salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte.
Così fan tutti, tutti, cristiani e pagani.
Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione, lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane,
lo vedono consumato da peccati, debolezza e morte.
I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza. Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione,
sazia il corpo e l’anima del suo pane, muore in croce per cristiani e pagani
e a questi e a quelli perdona".
Forse la mia omelia potrebbe chiudersi
qui, lasciando come unico commento alla Parola di oggi questa preghiera che
scrisse D. Bonhoeffer. In questo scorcio dell’anno liturgico in cui viene messo
al centro l’annuncio che Gesù è il compimento della storia della salvezza, oggi
in particolare, ci viene detto in che modo si compie questa rivelazione, nel
segno della forza che si fa debolezza per salvare ogni uomo, della potenza che
si fa crocifissa per abbracciare nel perdono ogni uomo.
Eppure il messia che Israele
attendeva doveva avere una tono differente. Proviamo a immaginare come poteva
essere letta, ad esempio, la pagina di Isaia che anche noi oggi abbiamo
ascoltato, nel contesto della Palestina ai tempi di Gesù, schiacciata dall’oppressione
politica e militare dei romani. Il Messia che tutti si attendevano, anche i
discepoli, era la manifestazione di un Dio guerriero, forte, intransigente, che
libera e spezza, che brucia e ridà dignità all’oppresso. Ma Gesù rifiuta questa
categoria, nella preghiera, immerso costantemente nel cuore del Padre, ha
maturato un modo diverso di essere Figlio di Dio. Non sarà il Messia re; non sarà
il Messia del giudizio ma il volto del Dio debole, prossimo all’uomo, del Dio
che si ritrae per fare spazio alla libertà. Il Dio che conquista uno ad uno i
suoi. È Il Messia che ad un certo punto, dopo aver gridato l’annuncio di un
Regno in cui gli ultimi e i piccoli sono amati dal Padre, decide per amore di
tacere e di lasciarsi crocifiggere. E proprio da questa conquista del cuore può
sgorgare la rivoluzione che, per dirla con Maria, “rovescia i potenti dai troni
e innalza gli umili”.
E io che Messia attendo?
Non è banale chiederci oggi
qual è il volto di Dio che noi abbiamo in mente e lasciarci convertire dal
Vangelo ascoltato. Forse per tanto tempo per noi Dio è stato il Dio Giudice che
vede ogni cosa ed è pronto a punirci. Oppure forse per noi Dio è il Dio
distante che scrive a priori il cammino di ogni uomo non risparmiandoci la
sofferenza.
Forse è il Dio da piegare a
nostro favore con la nostra preghiera e la nostra buona condotta.
Il Dio di cui avere paura, da
cui guardarsi per non soccombere. Il Dio da tenere buono.
Questo è un Dio troppo umano,
troppo a immagine di noi stessi.
Oggi ci viene annunciato che Il
nostro è il Dio crocifisso, che
raccoglie l’ultimo, che è solidarietà infinita con l’uomo crocifisso, anche con
i miei dubbi e le mie paure, soprattutto con le mie ferite per renderle
feritoie di luce con il suo perdono e il suo amore.
Convertirsi a questo Vangelo
non è facile così come non lo è stato per Pietro e per gli altri discepoli. Perché
è molto più facile avere una legge e obbedire piuttosto che lasciarsi avvincere
nella propria libertà da Gesù ed essere docili. È molto più facile immaginare
una rivoluzione e prendere in mano le armi e sovvertire il potere dei forti
piuttosto che abitare dal di dentro le situazioni difficili e amare fino a dare
la vita. È molto più facile tracciare una linea e dividere il mondo in buoni e
cattivi piuttosto che amare anche chi non lo merita e per lui dare la vita come
unica possibilità per il suo riscatto.
Concludo soffermandomi sulla
Parola di Paolo. Anche lui, ad un certo punto della sua vita, ha incontrato il
crocifisso risorto ed ha dovuto ribaltare la sua idea di Dio. Ha trovato sulla
sua strada un Signore che fa della debolezza la sua forza e lo ha avvinto per
sempre rendendolo testimone instancabile, randagio per il mondo con un Vangelo
da annunciare per la gioia di ogni uomo. E Paolo risponde in modo tutto suo
alla domanda su chi è Gesù per lui. Sarebbe bello se anche noi questa settimana
rispondessimo alla stessa domanda.
Gesù, ogni giorno ho bisogno
di capire chi sei per me. Ti ho conosciuto come molti di noi fin da ragazzo ma
ti ho scoperto un giorno Messia piccolo e povero, ferito perché così io potessi
avvicinarmi a te con le mie ferite e lasciarmi guarire. E da allora ti cerco
ogni giorno in ogni fratello povero, la cui vita è spezzata e ti trovo in
effetti accanto a lui, pronto a fasciare le sue piaghe.
domenica 11 settembre 2011
II dopo il Martirio del Battista - spunti per una messa in memoria delle vittime di tutti gli attentati terroristici
1 il percorso liturgico. Tempo
dopo Pentecoste, occasione per ripercorrere la storia della salvezza,
accorgerci che la storia di Dio scorre come un fiume carsico nelle vene della
nostra storia e comprendere che noi siamo chiamati, con il nostro sì a Dio ogni
giorno, nelle scelte che danno forma ai nostri giorni, a scrivere ancora una
pagina in più di questa storia. In queste settimane stiamo riflettendo su come
Gesù, che ha calpestato la polvere delle nostre strade e si è incarnato
sporcandosi le mani con la nostra storia chiamando attorno a sé la sua Chiesa,
sia la pienezza della rivelazione di Dio, del suo presentarsi come Padre
all’umanità
Le letture di oggi:
-
Il sogno d’Isaia si è compiuto: ha fine il tempo
della miseria, del lutto, della guerra. Il profeta, che sa scorgere sui rami
rinsecchiti dall’inverno i segni dei germogli, che sa annunciare speranza nel
cuore della disperazione annuncia il tempo nuovo in cui Dio farà pace con il
suo popolo che finalmente abiterà la terra. I cristiani vedono in Gesù e nel
suo Regno in cui i piccoli e i deboli trovano un riscatto il compimento di
questo miraggio antico.
-
La risurrezione dei morti, una speranza che
entra con prepotenza nello scorrere dei nostri giorni. Il dono che Cristo ha
fatto all’uomo è la certezza della risurrezione, il superamento dell’ostacolo
più angosciante che è la morte.
-
La vita piena nell’amore, la vita di Dio. Nel
vangelo è come se leggessimo la carta d’identità di Gesù. Chi è, da dove viene,
quali sono i segni particolari che lo contraddistinguono…lui è dal Padre e il
Padre è il segreto dei suoi giorni, della sua gioia, del suo agire profetico
che ha ribaltato ogni schema rigido su Dio.
Il già e il non ancora. Quando
è avvenuto tutto questo. Se è già accaduto perché il nostro tempo sembra così
lontano dal sogno di Isaia? Non è ancora accaduto? I nostri occhi non vedono:
la memoria di quello che è accaduto nell’11 settembre di 10 anni fa, questo
senso di precarietà che si è impadronito della nostra vita, la guerra che nasce
dalla voglia di sicurezza e dalla sofferenza ma che ha generato altra sofferenza e
instabilità e poi il grido dei poveri che spesso le nostre politiche e i nostri
sistemi economici affamano e che
rappresentano la vera leva del terrorismo. Già e non ancora sono in un
equilibrio instabile che è la nostra vita, la nostra storia.
Quale via ci indica la Parola
ascoltata per abitare questo tempo così sospeso?
1 abitare questa nostra storia
e la sua complessità. Come a Israele anche a noi è chiesto di saper accogliere
l’alba nel cuore delle tenebre. Abitare la notte prepara il cuore alla luce del
mattino, chi conosce lo sgomento del buio sa gustare il dono della luce. In
questo scorcio della storia così precario, così buio non sono ammesse fughe
indietro, barricate, pregiudizi, inutili addebiti di colpa che rendono nemico
chi è diverso solo perché tale. Dobbiamo affinare lo sguardo profetico di chi
sa scorgere l’alba e anticiparla con una conversione personale, uno stile di
vita sobrio che annuncia un tempo nuovo, solidale con gli ultimi della terra
che non hanno scelto di nascere in paesi dove si muore di fame e dove sono
ridotte le possibilità di riscatto. E forse non saremo noi a godere della luce
del mattino perché non sappiamo quanto ancora dureranno queste tenebre ma
avremo lavorato per il bene dei nostri figli e per un mondo più giusto che
siamo chiamati, come un imperativo, a lasciare nelle loro mani.
2 essere segno di
Risurrezione, essere segno di vita a immagine di Cristo risorto, rifiutare cioè
la morte e la violenza che la genera. E se questo vuol dire condannare chi
semina la morte addirittura in nome di Dio, vuol dire anche spegnere tutte le
micce di violenza che sono disseminate nel nostro parlare, nella nostra
quotidianità, nei nostri giudizi, nelle nostre relazioni più prossime e che
potrebbero, trascinate a lungo e non controllate, portare ad uno scontro di
civiltà dagli esiti negativi imprevedibili. Bisogna puntare sull’amore e sulla grammatica dei suoi segni perché solo
l’amore dà vita e il segno più forte di questa logica si chiama perdono.
3 Il Mistero di Dio è la
comunione che rende una cosa sola tre Perone diverse. È la comunione il segreto
che Gesù ha voluto raccontarci, che portava inciso nel cuore come un marchio di
fabbrica e che tentava in ogni momento di realizzare. Il lessico della
comunione parte dalla A di accoglienza che rispetta la diversità ma promuove
sentieri di dialogo e di integrazione. La vita in pienezza è proprio il
miraggio di un mondo dove osiamo dirci fratelli.
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