domenica 19 maggio 2013

Pentecoste

Mi chiedi chi è lo Spirito…e io ti chiedo di aprire gli occhi, di indagare oltre l’apparenza, di non pensare che la realtà di riduca alla banalità di una formula razionale. Riposa per un attimo nella prospettiva del poeta che sa cogliere il tutto in un frammento, chiedi al profeta il suo cannocchiale che rende a portata di mano il futuro. E allora capirai non solo chi è lo Spirito ma ti accorgerai che è la forza che muove il mondo e, oltre i naufragi apparenti che dimorano sulla superficie, è la corrente sotterranea che ci sta portando verso il Regno.
Mi chiedi come fai a trovare queste lenti per vederlo all’opera…me lo chiedi perché i tuoi occhi si sono fatti miopi e ti sembra di dimorare in un tempo in cui prevale la disperazione, l’amarezza, la paura, il disincanto che ti ha fatto scordare le illusioni e non ti permette di scommettere più su nulla… La Parola di oggi è il sestante che ti permette di individuare la presenza dello Spirito, è come una grammatica per darti le coordinate del suo agire. E allora ti accorgerai che, ieri come oggi, lo Spirito è fuoco che scioglie il gelo del cuore e fonde ogni durezza; è vento che spinge la vela della tua vita; è colomba e sotto le sue ali trovi riparo; è sorgente freschissima che disseta la tua traversata nel deserto della vita.

-          Spirito è la Speranza che irrompe proprio quando il gioco sembra essere arrivato alla fine. Spirito è sorpresa, Spirito è capacità di rompere separazioni e costruisce ponti.
Questo me lo suggerisce la lettura di Atti. Erano chiusi in quel cenacolo, rattrappiti in paure e forse nella paura più grande, quella di aver buttato via la vita dietro ad un inganno. Al tramonto di un giorno che solo in apparenza era uno da aggiungere allo scorrere ineluttabile del tempo, in una stanza chiusa, lo Spirito sobbalza le loro coscienze. Al tornello della loro disperazione, Dio si dà nuovamente appuntamento con loro, proprio in un luogo e in un tempo che non immaginavano. Perché è proprio di Dio scrivere una riga in più quando noi mettiamo un punto definitivo su alcuni capitoli della nostra esistenza. E da quella stanza escono con un coraggio rinnovato. Parlano anche altre lingue. Ogni uomo deve sentire la Speranza che è rifiorita. Il muro che li separava dal mondo ora si fa ponte che li pone in comunicazione con tutti.
Quando senti che è finita, quando pensi di aver svenduto anche l’ultimo fiammifero che ti poteva scaldare è allora che lo Spirito entra nella stanza della tua disperazione e ti mette le ali. Quando hai voglia di barricarti dietro alle tue convinzioni e pensi che non ci sia più nulla o nessuno di buono per cui giocarti allora lo Spirito ti impone di andare oltre le tue stesse forze e trama con te una storia nuova di comunione.     

-          una Chiesa secondo lo Spirito è la casa dove la diversità è segno di bellezza.
È Paolo nella sua lettera ai Corinti a dirlo. Una volta che nella comunità si dà la comunione nella fede e ogni tuo fratello riconosce in Gesù il Signore, non devi avere più paura della diversità del tuo fratello: le differenze diventano varietà dei carismi e dei doni. E a te non è tolto nulla ma la ricchezza dell’altro, partecipata a te, rende anche te più ricco. La comunità è come i colori dell’arcobaleno: è lo steso raggio di luce che si fraziona in essi. La comunità è come una cordata: si è tutti in salita verso una meta unica ma ognuno ha il suo ruolo e non è vero che guida è più importante di chi sta nel mezzo o di chi deve chiudere. Quando nella comunità prevale l’omologazione che ti impone la maschera, quando in nome dell’unità si svilisce la diversità, quando non si sa più valorizzare il carisma anche del più piccolo dei fratelli, quando, per gelosia, si corregge con tono moralistico chi ti cammina accanto solo perché non comprendi il suo dono, allora impoveriamo la Chiesa e le imponiamo un respiro decisamente corto e affannato.

-          Lo Spirito rende presente in noi il Padre e il Figlio, lo Spirito lotta per noi, in noi e, talvolta, contro di noi per difendere la nostra chiamata ad essere come Gesù in tutto.
Questo brano di Giovanni, contestualizzato nel Cenacolo, durante l’Ultima Cena, racconta di cosa Gesù ci lascia ritornando al Padre: il comandamento dell’Amore. Amare l’altro e amare l’Altro sono il segno di chi ha conosciuto lui. Ma Gesù ci lascia anche chi ci prende per mano e ci guida su questo cammino tutt’altro che semplice: lo Spirito appunto. Quando nella tua vita senti una forza che ti spinge a fare come Gesù, a non consumare cioè nella banalità i tuoi giorni, una voce che ti suggerisce di fare tutto in sua memoria, quando senti lavorare in te l’Amore e senti la forza di resistere allora lo riconosci: è lo Spirito appunto. E allora ti accorgi che non sei  tu a remare ma tu sei vela su cui soffia lo Spirito e così le cose più belle non le hai guadagnate con i tuoi sforzi ma sono doni che ti vengono messi proprio da lui fra le mani. E qui il pensiero va a chi ogni giorno incontro sulla mia strada, uomini e donne che sono veri e propri capolavori dello Spirito; ogni volta che canto che i cieli e la terra sono pieni della tua Gloria mi appaiono i loro volti: sono quelli che amano facendosi dono anche quando l’altro non lo merita, sono storie di madri e padri, storie di figli; sono i malati che fanno della loro sofferenza strumento di salvezza per qualcuno proprio come Cristo in croce; sono quegli educatori che si accorgono che dalla debolezza può nascere qualcosa di grande e partono dai più piccoli per ridisegnare il futuro del mondo.

domenica 12 maggio 2013

settima di Pasqua

La scelta liturgica di riportare la data dell’Ascensione al giovedì della VI settimana di Pasqua, a 40 giorni dalla Risurrezione, non solo ci fa ripercorrere la precisa scansione del tempo secondo il racconto del Nuovo Testamento ma ci permette in questa domenica di sostare ancora sul significato dell’Ascensione prima di avviarci alla celebrazione della Pentecoste.

L’Ascensione al cielo è la metafora che Luca utilizza per dire che Gesù ha smesso di apparire e di istruire i suoi e che è tornato alla gloria del Padre, lì da dove il suo Mistero ha preso forma. Nessun passaggio della sua vita è stato casuale, nemmeno la croce; nulla è stato un incidente di percorso, un qualcosa di non voluto, ma era parte del tracciato di una parabola che profumava d’amore: proprio per amore Dio ha deciso di farsi uomo, per amore ha camminato sulle nostre strade, ha permesso che la polvere della terra sporcasse i suoi piedi, per amore a un certo punto ha deciso di ritrarsi e di consegnarsi, per amore il Padre lo ha risuscitato perché il seme morendo, spezzandosi, soffrendo doveva portare frutto.

Sotto un’altra prospettiva poi l’Ascensione ci rivela che Gesù è un vero maestro, uno che intuisce che ad un certo punto bisogna ritrarsi e sparire perché il discepolo possa camminare sui suoi piedi e percorrere un tratto di strada più lungo. Ho letto da qualche parte che:
i figli sono come aquiloni, passi la vita a cercare di farli alzare da terra. Corri e corri con loro fino a restare tutti e due senza fiato. Come gli aquiloni finiscono a terra, e tu rappezzi e conforti, aggiusti e insegni. Li vedi sollevarsi nel vento e li rassicuri, presto impareranno a volare. Infine sono in aria: gli ci vuole più spago e tu seguiti a darne e a ogni metro di corda che sfugge dalla tua mano il cuore ti si riempie di gioia e di tristezza insieme. Giorno dopo giorno l'aquilone si allontana sempre di più e tu senti che non passerà molto tempo prima che quella bella creatura spezzi il filo che vi unisce e si innalzi, come é giusto che si sia, libera e sola Allora soltanto saprai di avere assolto il tuo compito.
Il discepolo ha fra le mani la cassetta degli attrezzi riempita di tutti gli strumenti necessari: ora toccherà a lui scegliere quali utilizzare per essere fedele a quel Vangelo che lo ha avvinto. E dovrà farlo con tutta la creatività necessaria.

La Parola mi sembra ci consegni almeno tre indicazioni per non smarrire la nostra verità di discepoli e apostoli, pellegrini chiamati a fare di Gesù la nostra vita per l’oggi, gettati nella storia per viverla come uomini avvinti dalla buona notizia.

1 avere la testa fra le nuvole. L’idea me la suggerisce Stefano nella lettura di Atti…mentre lo accusano, gli si lanciano contro, lo uccidono, tiene fisso lo sguardo al Cielo. Credo che il discepolo debba portare dentro di sé una nostalgia profonda per il Cielo. Di tanto in tanto ci dovrebbe afferrare la malinconia, ma che in realtà è un desiderio, di poter vedere il volto di Gesù, di un giorno in cui la storia arriverà non alla sua fine ma al Fine che è l’incontro con un Signore buono che è tenerezza, perdono, misericordia. Ma non solo: avere la testa fra le nuvole significa avere la capacità di relativizzare ogni cosa sul parametro dell’eterno. C’è un relativismo che è dannoso ma ce n’è uno che ha ispirato la gioia dei santi, che ha smosso le follie degli uomini di Dio che profumavano di futuro e che agli occhi dei loro contemporanei erano solo dei perdenti. Infine, avere la testa fra le nuvole significa per il mondo inseguire un’isola che non c’è, lottare per un’utopia, avere una smodata passione per la poesia. Ma agli occhi di Dio significa darsi il parametro del Regno che già ora fiorisce sulla terra.

2 Testa fra le nuvole…ma piedi ben saldi a terra. Il credente, lo dicevamo prima, avanza di un miglio in più rispetto a chi lo ha preceduto perché asseconda la dinamica di un Regno che, pur se non ancora in modo definitivo, già cresce. E l’oggi attende uomini non disincarnati ma profondamente legati a questa terra, che, pur sapendo di non appartenerle, si sentono in dovere di lasciarla più bella di come l’hanno trovata. Uomini discepoli di un Maestro che si è incarnato nella storia e che ha continuato a incarnarsi sporcandosi sempre di più le mani con la storia. Il credente dunque parla di politica e magari la fa con il piglio di chi vuole servire, lotta per un’economia che sia etica, che non uccida la dignità dell’uomo, si interessa della sua città e non si tira indietro se qualcuno bussa alla sua porta, abbatte il muro dell’indifferenza perché sa che ogni uomo è suo fratello e ognuno ha diritto a piazzare i paletti della sua tenda nel suo cuore.

3 e infine, in particolare mi riferisco al Vangelo, il Maestro ci mette fra le mani un’altra consegna, luogo che deve diventare sempre più evidenza della nostra sequela a lui: la comunità. Una comunità e non semplicemente un gruppo perché la prima ha la forma della cordata mentre nel secondo c’è solo una meta comune e poco importa se ci si arriva assieme! Una comunità che deve portare come marchio di fabbrica quello brevettato a Casa Trinità dove i diversi si amano e l’uno è per l’altro; una comunità dove non posso pensare alla mia felicità senza quella dell’altro, dove accolgo l’altro non nonostante i suoi limiti ma a partire da questi, dove smaschero la mia debolezza nella certezza di essere amato per quello che sono, dove i piccoli sono realmente il cuore, la motivazione che attrae ogni scelta.