lunedì 24 dicembre 2012

Messa di Natale, Liturgia nella Notte

Il buio che avvolge nel silenzio ogni cosa, le nostre case e la nostra città fin sulle strade più trafficate, rende la notte il momento più adatto per meditare e contemplare. Non so se è per questa suggestione che la Liturgia ha scelto di proporre per questa celebrazione il prologo di Giovanni, così solenne nella sua cadenza, così austero e senza troppi spazi per la prosa del Natale che carichiamo di sentimentalismo; righe intense, poste all’inizio del IV Vangelo, in cui già è detto tutto di Gesù senza dare spazio ad una progressiva rivelazione del Mistero. Righe che centrano immediatamente il cuore della fede. Parole che ti pongono immediatamente con le spalle al muro e ti chiedono di schierarti.

Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda fra noi.
Verbo e carne: un ossimoro sconcertante. Una bestemmia per i cultori del sacro. Una sciocchezza per chi ama il potere e appoggia su Dio la sua autorità. Un paradosso a cui è difficile abituarsi. Il Verbo è Dio e noi Dio lo immaginiamo sempre e comunque oltre la nostra vita con i suoi disegni spesso contrapposti ai nostri, con la sua logica incomprensibile, con una durezza da piegare alle nostre esigenze, con un’onnipotenza che invochiamo per uscire dalle nostre strettoie, con un passo che ci fa nascondere quando la sua eco si avvicina, con un giudizio che ci fa tremare di paura.
La carne invece è debolezza, è pochezza, povertà, limite, finitezza, orizzonte chiuso costretto alle logiche dello spazio e del tempo. Noi siamo carne: passioni e pulsioni miste a razionalità; corpo che cresce, si esprime, ama e odia e infine muore; dipendenza assoluta dagli altri e dallo spazio e dal tempo.

Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda fra noi.
Da allora, del limite della carne, Dio sa tutto, guadagno faticoso di un’esperienza non sempre lineare. Gesù sa cosa significa piangere, gioire, offrire e ricevere tenerezza, soffrire per amore, conosce persino la seduzione della tentazione che ti porta su scorciatoie che poi non arrivano mai alla meta. Gesù dà valore alla carne anche di chi decide di incontrare il suo destino e sempre si mette in gioco per darle valore. E infine Gesù si scontra con la morte, ci mette le mani dentro, e dal di dentro le dona un significato nuovo, uno strumento di salvezza per l’altro.

C’è chi ha visto e ha girato altrove lo sguardo. C’è chi ha preferito chiudersi nell’indifferenza per non farsi toccare, per non ribaltare l’unità della misura di Dio e della propria vita. L’indifferenza infatti non turba la coscienza, non spinge a cercare oltre, non mette in discussione nulla, lascia ogni cosa a suo posto nella pace di chi si abitua a tutto.

Ma c’è chi ha visto e ha iniziato a credere e si è accorto che tutto poteva cambiare perché ha letto nella grammatica della carne di Gesù u n volto nuovo di Dio, cioè l’Amore che si è fatto prossimità, comunione, condivisione e una possibilità nuova anche per la sua vita: accogliere la luce di un Dio a te prossimo,  fa anche di te un figlio amato. Condizione nuova, da vertigine, squilibrata e per questo solo per gli audaci. Si tratta di convertire anche lo sguardo su di noi.

Perché chi si scopre figlio non può mettere a tacere quella nostalgia che ti fa alzare spesso lo sguardo verso il cielo e ti fa guardare con irriverente ironia ogni cosa che passa sotto il cielo abbandonando per sempre ciò che noi amiamo esasperare: denaro, potere e apparire.
Perché chi si scopre figlio non può più amare perdersi nella sua debolezza e renderla una giustificazione per opporre resistenza a un Dio rivoluzionario: Dio ama la tua fragilità e la rende strumento per la sua potenza.
Chi si scopre figlio si sente schiodato dai suoi peccati e chiamato, nel perdono, ad essere proiettato nel futuro.
Chi si scopre figlio rivendica per sé la forza che lo ha generato e si fa profeta per l’oggi, voce scomoda per i potenti e per chi vive di omissioni, consolazione infinita per tutti gli ultimi di questo mondo dalla cui parte è sempre preferibile stare.
Chi si scopre figlio legge dentro di sé tutta la possibilità del suo marchio di fabbrica e scopre che la vita ha valore solo se ti fai prossimo di chiunque incontri senza guardare alla sua appartenenza o ai suoi meriti, felice solo di chinarti su di lui per lavare i suoi piedi. Per dirla con Alda Merini Gesù è stato una grande catastrofe, ci ha avvicinati tutti l’uno all’altro. Dopo Gesù qualcuno ha imparato a guardarsi negli occhi, a porsi delle domande, a vedere che l’altro non era solo merce.
Chi si scopre figlio si sa cittadino del mondo, lotta per la pace e sa che questo mondo può essere un’isola che non c’è dove le armi vengono forgiate in strumenti perché nessun uomo muoia di fame e nessuno sia più soffocato nell’ingiustizia.

Perché sei qui fratello? Che cosa sei venuto a vedere, chi sei venuto a cercare? La notizia del Verbo fatto carne ci strappi all’indifferenza, al dovere di compiere un rito, alla routinarietà della nostra religione e ci consegni una vita diversa, meno comoda, decisamente però più autentica.  

domenica 23 dicembre 2012

divina Maternità di Maria-Domenica dell'Incarnazione


Abbiamo camminato con intensità in questo avvento. Abbiamo affinato il nostro sguardo e ci siamo lasciati inondare da una grande speranza perché il Signore ci ha ripetuto che non ci ha abbandonato, che la nostra storia è stata visitata, che ogni giorno, nelle pieghe più nascoste della nostra vita, possiamo rintracciare le orme del suo passaggio, e, ancora, che l’umanità accoglierà il suo Sposo perché non è orientata verso il nulla, verso un baratro apocalittico, ma verso un fine: l’incontro con lui. Abbiamo voluto trovare la mappa per vivere in coerenza nell’attesa della sua venuta perché il Signore ha deciso di vistare la nostra storia passando dalle nostre storie, di passare nella nostra città prendendo dimora in ognuno di noi. Nel sì di Maria questo mistero si compie: in lei il cielo e la terra si danno appuntamento per sempre. Vorrei sottolineare tre passaggi della Parola ascoltata, in particolare del Vangelo e poi, con semplicità, mettere nella nostra bisaccia di poveri pellegrini quelle intuizioni che ci fanno guadagnare un tratto di gioia che nessuno può strapparci.

La visita di Dio. Luca ci guida per mano e fotografa sempre più da vicino il luogo dell’accadimento che ha cambiato la storia. È in Israele, è nella Galilea, in un villaggio sperduto al nord, terra lontana dalla sacralità di Gerusalemme e ancora di più dalla frenesia politica di Roma, in una casa di poco conto dove vive una ragazza sconosciuta a tutti tranne che agli occhi di Dio. Dio guarda il cuore non l’apparenza; ciò che è importante ai nostri occhi lui lo considera un nulla: fa delle pietre scartate dagli uomini architravi di un nuovo edificio. Maria la piccola che Dio colma con la sua grandezza; Maria, promessa sposa dalle pochissime possibilità che diventa protagonista da cui dipende il sogno di Dio. Come il sole che sorge e invade con la luce ogni angolo, così quella casa ha ricevuto la visita di Dio. Una visita che è un annuncio. Vorrei fermarmi già qui. Nella prospettiva cupa che nutriamo di noi in noi, nella svalutazione costante in cui amiamo perderci, o a cui siamo nostro malgrado costretti, nella frenesia che ci regala solo pochissime isole di deserto per stare soli con Dio, spesso non ci accorgiamo di quanto noi valiamo ai suoi occhi. Più siamo deboli, più siamo piccoli, oppure più ci mettiamo dalla parte dei deboli e dei piccoli, e più Dio decide di raggiungerci, sceglierci, toccare la nostra vita, decide di non voler fare a meno di noi per costruire un mondo diverso, un angolo del suo Regno. Come Maria, diversi da Maria, ognuno con la sua vocazione, possiamo cambiare la storia. È un annuncio promettente, è un annuncio buono per le nostre vite troppo spesso ripiegate. E se iniziamo a credere che Dio chiama me e proprio me per quello che sono per comporre parte del suo mosaico allora diventiamo annuncio di Grazia e di Misericordia per i nostri fratelli assetati di speranza. Vorrei benedire Dio per tutti quelli che in questi giorni e in tutta la mia vita sono stati un lieto annuncio perché io non smettessi di sperare e continuassi a credere: dalle lacrime dei genitori appassionati all’opera educativa, uomini e donne che ancora sperano e lottano e investono sull’uomo, alla tenerezza dei nostri ragazzi che imparano a sognare in grande e mi fanno comprendere che non sono solo il nostro futuro ma sono in assoluto il presente, da chi ha dato senza trattenere e ora si accorge che i suoi sforzi non sono stati inutili.

Il sì di Maria. Maria tentenna solo per un attimo, non manca di fede, avverte sulla sua pelle probabilmente solo il brivido di una grandezza che non le appartiene e che in effetti deve ospitare dall’alto. Ma non esita a dire il suo sì. E non lo fa con rassegnazione, non ama fare calcoli, non pensa neppure a possibili risvolti inquietanti. Sente che il suo Signore non può che essere per lei e mai la priverebbe di una gioia e che, anzi, le sta preparando una inedita, più grande, imprevedibile, sorprendente. Dio si piega sulla sua piccolezza, la sfiora e poi ci entra per aprire un orizzonte inimmaginabile che ha i contorni dell’infinito e dell’eterno. A volte noi, al contrario di Maria, corriamo a nasconderci come Adamo nel giardino delle nostre architetture esistenziali perché avvertiamo il passo di Dio nella nostra vita: siamo degli inguaribili scettici e degli istintivi dubbiosi pieni di sospetto. Dio è davvero per noi e quando bussa alla nostra porta non vuole rovinarci. Certo, ci trascina fuori dalle nostre chiusure, chiede un atteggiamento di fiducia ma poi ci conduce lontano e quello che desideravamo da soli alla fine ci appare come una piccola cosa rispetto alla sua Promessa. Noi vogliamo essere felici, vogliamo essere amati, sogniamo la pace, vorremmo non finire mai; e lui ci dona una gioia che resiste come brace anche quando passa dalla croce, ci dona un amore che non viene meno e che, per non consumarsi, ci fa dono per gli altri; lui è eternità che intravvediamo in ogni attimo sempre con più forza.

L’attesa di Maria e l’incarnazione. L’angelo lascia Maria e in lei inizia l’avventura della vita del Figlio di Dio. Il Vangelo non alza quasi mai il velo sui mesi dell’attesa, nicchia di straordinaria intensità per ogni donna e quindi anche per Maria. Inizia così l’incarnazione del Verbo, della contemplazione del Dio-uomo, tutti ossimori di cui, probabilmente, non sentiamo più la forza scandalosa. Dio si fa carne, Dio si fa prossimo a noi, Dio si fa uomo e si lascia accudire da una donna. È il sovvertimento di ogni schema religioso abituale, una bestemmia per la maggior parte degli uomini di sempre perché è più rassicurante credere che Dio stia in un orizzonte altro rispetto a me e che io gli stia sottomesso. Interpella invece la nostra libertà la fede in un Dio che decide di farsi tuo compagno di viaggio e che mette nelle tue mani ciò che è suo e prende il tuo per stringere alleanza e fare comunione. A noi non resta che adorare, parola che alcuni vogliono derivi da “ad-orem” il gesto di portare la mano alla bocca per lo stupore. Auguro a ognuno giorni carichi di stupore capace di sovvertire le nostre abitudini, capaci di restituirci l’inatteso anche di noi stessi.