domenica 26 aprile 2009

terza di pasqua

Tempo pasquale: la Chiesa si diverte a fermare il tempo e a considerare 50 giorni un unico e grande giorno, forse perché l’accadimento della Risurrezione non può essere racchiuso nell’esiguità di 24 ore, forse per anticipare quello che sarà il mistero dell’eternità, quando non ci sarà più il tempo e vivremo nella comunione della Trinità, quando anche noi saremo risorti in Cristo.
Il percorso tematico di queste domeniche, che sono appunto di Pasqua, ci fa contemplare oggi e la prossima settimana il volto del Risorto: siamo inviatati a rimanere stupiti e sorpresi della novità di Cristo. Del resto non trovo modo migliore per esprimere la condizione in cui ci getta la nostra fede: siamo chiamati ad essere sorpresi, stupefatti, radiosi per un Mistero che ha sconvolto tutte le regole della storia. Nelle altre due domeniche ci prepareremo al dono dello Spirito e poi sarà Pentecoste.
Oggi vorrei soffermarmi sui primi versetti del Vangelo: non abbiate timore. Vorrei, a proposito, ascoltare anzitutto l’esempio di Paolo e dei primi cristiani sia nella lettura di Atti che nel brano dell’Epistola e poi, dopo esserci chiesti di che cosa noi possiamo avere paura, cercare nel Risorto e nelle sue parole una risposta.
Paolo e Sila hanno vinto ogni paura e, sebbene picchiati, torturati, incarcerati per amore di Gesù non si tirano indietro e gli danno testimonianza. Mi colpisce il loro canto in quella notte: forse noi avremmo pianto, saremmo rimasti immersi in un mare di perplessità, avremmo magari deciso in segreto di fare un passo indietro. E invece loro sono nella gioia, vivono in una sorta d’estasi un momento di panico. La testimonianza cristiana è proprio questa croce portata con gioia, è proprio la consapevolezza profonda che oltre il buio e la notte ci sono sempre la luce e l’alba. Il crinale che separa sofferenza e gioia, croce e risurrezione non è mai così marcato. Soffrire per amore di Gesù è per loro un privilegio, un discorso consumato nel silenzio ma molto più eloquente di tante parole se poi la guardia carceraria decide di abbracciare la loro stessa fede con il Battesimo. Paolo, nella sua riflessione ai cristiani di Colossi, conferma questa tesi: non ha paura di abbracciare la sofferenza piuttosto che rinunciare al privilegio di annunciare il Vangelo. Anzi, proprio questo suo essere simile al Cristo crocifisso conferma il fatto che sta camminando sulla strada giusta. Per i credenti il parametro del successo non si misura con gli indici di gradimento dei sondaggi o con il trend positivo come per la Borsa: se scegli di essere discepolo e apostolo del Crocifisso risorto anche tu devi mettere in conto l’impopolarità, il fallimento apparente, la sofferenza e, proprio perchè l’oro si prova con il fuoco e il seme per dare frutto deve morire, così non c’è fede senza il caro prezzo della croce. Qquesta logica spezza ogni paura e ha fatto di questi nostri fratelli maggiori delle colonne su cui oggi anche noi possiamo poggiare con certezza la nostra fede.
Ma veniamo ora a quel non abbiate timore. I discepoli, in quella cena che avevano presagito fosse l’ultima, avevano paura di perdere il loro Maestro e con lui il senso della loro fede, della loro scelta di seguirlo. Avevano paura di aver sciupato la loro vita dietro ad un sogno che si stava rivelando tragicamente diverso dall’abbaglio iniziale. Ed ecco la rassicurazione di Gesù: si separerà ma ritornerà; lui è la Via per raggiungere la Verità e la Vita che sono il mistero di Dio Padre che è Amore incondizionato per i suoi figli. La separazione che avverrà sarà lo spazio per i discepoli per rielaborare il senso vero del loro credere e per ritrovare nel Maestro di Nazareth il vero volto di Dio che abbraccia la sua croce per Amore e che, Risorto, cammina per sempre fra noi.
E noi di che cosa possiamo avere paura. Forse per gli stessi motivi dei discepoli. Anche noi abbiamo paura quando siamo al confine di qualche cambiamento e possiamo solo affidarci; anche noi abbiamo paura quando ci sembra di non vedere più accanto ai nostri passi le orme rassicuranti del nostro Dio. Abbiamo paura quando ci assale l’angoscia della morte, la nostra, con il suo carico di domande sul senso e la finitezza della vita, o quella di qualcuno di caro, vicino a noi. Abbiamo paura quando la fede si inoltra in una foresta di dubbi o entra in un mare di nebbia e ci sembra di aver perso la direzione; abbiamo paura quando le scelte fatte magari con il ciglio sicuro e spregiudicato della giovinezza ci portano sul crinale della sofferenza e ci sembra di aver sbagliato tutto. Non abbiate timore! In realtà se non vediamo Dio non è perché lui non ci sta più accanto ma, come dice quella splendida poesia brasiliana, è perché ci sta portando sulle spalle. Anche per noi, come per Gesù, la morte non è l’ultima parola ma solo la possibilità per affidarci totalmente al Padre nella convinzione che nella sua casa c’è posto anche per noi. Se la fede si fa dubbio non dobbiamo avere paura perché Gesù, che è la Via, a volte ci conduce per valli oscure perché non smettiamo mai di ricercare e di vivere appieno la nostra libertà. Non dobbiamo avere paura se iniziamo ad un certo punto a pagare al caro prezzo della croce le nostre scelte perché significa che sono vere e ci è chiesto di perseverare: questa è la vera forza.
Non abbiate timore! Il volto del Risorto allora è capace quest’oggi di sciogliere il groviglio del nostro panico e di restituirci ad una vita piena, senza ripiegamenti e tentennamenti, gioiosa di sciogliersi in pienezza perché in totale abbandono a lui.
Non abbiate timore! è anche quello che ripeteva papa Giovanni Paolo II al mondo intero. Solo Cristo sa cosa c’è nel cuore dell’uomo. Non avere paura di lui significa essere temerari, costruttori di un mondo nuovo.

sabato 18 aprile 2009

domenica in albis

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa (…) venne Gesù
Otto giorni dopo l’evento che ha sconvolto la storia, come un appuntamento irrinunciabile, Gesù ritorna in mezzo ai suoi. Mi piace immaginare che quella casa non solo si sia riempita di luce e di colore ma anche di profumo di vita, come un vento carico di sapori di primavera, e poi di suoni: le donne iniziarono a fare cerchio attorno a Gesù battendo i cembali e anche i discepoli si sono lasciati andare alla danza.
Da allora Gesù non è mai mancato nemmeno una volta all’appuntamento con noi, sua Chiesa, e ci chiama a stringerci attorno a lui nel segno della Parola aperta e spiegata e del Pane spezzato. Come sarebbe bello se anche la nostra comunità vibrasse di gioia, se ci sorprendesse un brivido perchè il Risorto è con noi, se anche noi sentissimo un bisogno irresistibile di danzare e fare festa e ci lasciassimo andare a quella felicità discreta di chi sa che la morte non è più l’ultima parola e anche davanti a noi, come per Gesù, si squarcia l’orizzonte dell’eternità. Ogni domenica è Pasqua, particolarmente in questo tempo di 50 giorni che la Chiesa ci fa vivere come se fossero un giorno solo, come un anticipo dell’eternità in cui non ci sarà più tempo, e allora usciamo dai nostri ripiegamenti, dalle nostre chiusure, dalle nostre paure e, come comunità, dai nostri schemi pastorali affannati, spesso giocati in difesa perchè di corto respiro! Cristo cammina con noi e questo è l’essenziale, il roveto ardente a cui ritornare per trovare poi l’iride della fantasia di nuove strategie per annunciare il Vangelo. Non c’è spazio per il pessimismo, a dire il vero, qui siamo anche oltre l’ottimismo: è la certa speranza che il nostro Capitano ha ben sicure le mani sul timone della nave della nostra vita e della sua Chiesa. Vorrei ora porre due domande ai protagonisti delle letture ascoltate raccogliendole così in un unico sguardo d’insieme per poi soffermarmi sulla figura di Tommaso lasciandomi aiutare da un’opera di Caravaggio. La prima domanda che rivolgerei a Pietro e Giovanni e anche a Paolo e a Tommaso è su che cosa ha rappresentato per loro la Risurrezione del Maestro. Ci risponderebbero che non in teoria ma in pratica per loro è cambiato tutto perché hanno compreso con il cuore che la morte di croce non è stata un incidente di percorso ma il modo che il Maestro ha scelto di amare sino alla fine e la Risurrezione del Crocifisso è il sì che il Padre ha pronunciato proprio su quella storia d’amore, è il soffio d’infinito e di eterno che ha dato vita al Figlio che non poteva restare nella tomba. Questa notizia li ha sorpresi, li ha fatti uscire fuori di sé dalla gioia e li ha proprio trascinati fuori dalle loro paure, dai loro ripiegamenti: Giovanni e Pietro non si vergognano di testimoniare Gesù in parole e opere anche al costo di soffrire; Paolo sa di essere stato perdonato e di essere diventato creatura nuova, nella prassi di ogni giorno chiamato ad incarnare il volto d’Amore del Signore e Tommaso si apre ad una nuova dimensione di fede e riconosce il suo Signore vivo e presente in quella comunità che aveva deciso di abbandonare. Tutti loro a noi oggi dicono che se abbiamo incontrato il Risorto niente in noi può essere più come prima. In noi dobbiamo accogliere la primavera di una nuova vita e avere il coraggio di bandire ogni paura, ogni tristezza, siamo chiamati in poche parole a vivere come dei sorpresi dalla Grazia, pronti a stupirci per qualche scherzo che il Risorto ogni tanto ama tirarci per farci vedere che è presente e non si è stancato di noi. Se ci concentrassimo più a cambiare noi stessi alla luce della Risurrezione piuttosto che avere sempre il ciglio di chi vuole imbracciare le armi per cambiare il mondo avremmo fatto la cosa più importante! La seconda domanda che vorrei rivolgere ai protagonisti della Parola di oggi è questa: come non si è esaurita la vostra gioia, come avete potuto vivere all’insegna della beatitudine? Ci risponderebbero che il modo migliore per moltiplicare la gioia è nel condividerla. Dividi per moltiplicare! Al nostro Dio permettiamo anche di stravolgere le regole della matematica! Se avessero trattenuto per sé la buona notizia della Risurrezione questa presto si sarebbe consumata in un sentimentalismo sterile. Invece è diventata fontana zampillante attraverso la loro testimonianza irrefrenabile e la loro corsa ha passato, di generazione in generazione, il testimone anche a noi. Se vogliamo vivere la beatitudine della Risurrezione anche noi dobbiamo salpare sul mare della testimonianza. E forse, se non l’abbiamo mai gustata, è perché non ci siamo mai sentiti in dovere di essere missionari. Ci sono schiere di giovani che si attendono da noi, e non solo a parole, l’annuncio della Verità del Risorto. E che aspettiamo per abbattere i muri di separazione e farci loro compagni? Lottare per la loro gioia moltiplica anche la nostra. E la vera gioia è proprio l’annuncio di Risurrezione.

Infine vorrei solo abbozzare qualche parola su Tommaso.
Mi lascio aiutare da Caravaggio e dalla sua opera che rappresenta proprio il brano ascoltato oggi. Anche nella nostra chiesa custodiamo un quadro manierista che replica lo stesso soggetto. C’è Tommaso assieme a Pietro e a Giovanni. Gesù afferra dolcemente la mano del discepolo incredulo e se la porta al costato e le dita penetrano la ferita. La sua incredulità diventa fede certa ed esplosiva. Mi chiedo perché assieme a lui ci siano anche Pietro e Giovanni: il primo rappresenta la Chiesa come Gerarchia, Istituzione; il secondo la Chiesa come comunione. Tommaso rappresenta la Chiesa fatta da tutti quelli che fanno fatica a credere ma che, nonostante tutto, si lasciano portare da qualche testimone ad incontrare il Risorto. E Gesù non lo rimprovera ma lo educa, lo conduce fuori dal suo buio, e lo porta a credere. Se noi ci sentiamo un po’ come Tommaso, a tratti dubbiosi, immersi nel buio del venerdì santo, appesi a quel grido Dio mio perché mi hai abbandonato a volte anche noi in bilico nel lasciare la comunità dei credenti perché ci sentiamo fuori posto, non sentiamoci a meno degli altri! Siamo i benvenuti! Il Signore ha per noi gesti di compassione e ci dà luce, fosse anche solo un poco che basta per attraversare a vista il mare della vita.

sabato 11 aprile 2009

Pasqua di Risurrezione


Quanto vorrei che la nostra comunità, formata da volti noti o da pellegrini che approdano a questa chiesa soltanto oggi per santificare la festa di Pasqua – a cui do il mio più affettuoso benvenuto e che spero si sentano immediatamente a casa – vibrasse come la comunità di Gerusalemme, come quel cenacolo in cui la disperazione si è trasformata in danza, le porte chiuse per la paura e il dolore si sono spalancate su un orizzonte nuovo e inatteso di luce, in cui è riemersa la fede come una fiamma dalla brace che non si era mai spenta. Surrexit Dominus vere, alleluia! E passa in mezzo a noi con le sue mani ferite d’amore ma splendenti di luce a toccare i cuori desolati, ad asciugare le nostre lacrime, a lenire i nostri dolori, a sorreggere le nostre croci, ad accarezzare i nostri visi stanchi. Surrexit Dominus vere, alleluia! E non ha sguardi di rimprovero, non ha parole dure ma un sorriso che accorcia le nostre distanze, un abbraccio che riscalda la nostra tiepidezza, una mano stretta che ci rialza dalle nostre cadute, una luce improvvisa che illumina il buio della fede in cui spesso ci sentiamo immersi. Se solo ci accorgessimo di questo passaggio di Gesù chi fermerebbe più la nostra gioia, chi metterebbe più un freno alla nostra corsa! Per la nostra storia, per la storia della nostra comunità e della Chiesa intera e per la vita, la speranza e la gioia del mondo penso che sia cruciale fare l’esperienza di incontro con il Risorto. La nostra fede non è un’accozzaglia di idee filosofiche di un Dio lontano e troppo immagine delle nostre speculazioni e dei nostri ragionamenti; la nostra fede non è un insieme rigido di precetti – la Legge certo c’è ma sta su un piano decisamente secondo – la nostra fede è l’incontro con un Signore la cui presenza palpita anche oggi nella nostra storia, ha la pretesa di afferrarci per mano e di condurci in alto, fino alle vette della santità, della piena conformazione a lui.
La Parola ascoltata, sotto diverse prospettive, ci racconta proprio di questo incontro con ilo Risorto. Atti ci dà una descrizione quasi formale dell’abbraccio fra Gesù e gli Undici riuniti a Gerusalemme in attesa dello Spirito. Corinzi ci racconta dell’apparizione del Risorto ad una numerosa assemblea e poi in privato a Paolo. E infine il Vangelo racconta di quell’incontro, il primo, in quella mattina al Sepolcro con Maria.
Questi racconti hanno in comune, mi sembra, almeno tre aspetti:
1 l’incontro con il Risorto cambia la vita dei protagonisti. Gli Undici da disperati si aprono alla Speranza del Regno e del dono dello Spirito. Paolo da persecutore e, come dice lui stesso, aborto d’uomo, diventa apostolo fino a dare la vita per il Vangelo. Maria, in lacrime, chiamata per nome, riconosciuta dal suo Maestro, raccolta dal suo dolore, si apre ad una gioia inedita e, prima quasi paralizzata dal dolore, ora si mette a correre e a gridare ai suoi fratelli di aver incontrato il Signore vivo.
2 La risurrezione squarcia l’intelligenza chiusa dei protagonisti e li porta a credere che la croce davvero non è stata un incidente di percorso ma la scelta del Maestro di amare sino alla fine i suoi perché l’amore è proprio smisuratezza, non ha regole, si gioca completamente per dare frutto. E la Risurrezione di quel Crocifisso è il sì di Dio proprio a quella storia d’amore, è l’intervento del Padre sul suo Figlio che non poteva restare in potere della morte.
3 chi ha incontrato il Risorto deve diventare testimone di questo evento. La gioia che ti dà la sua presenza non la puoi trattenere altrimenti si esaurisce fra le mani. Più la condividi e più si moltiplica.
Anche noi siamo chiamati a fare la stessa esperienza degli Undici, di Paolo e della Maddalena. Incontri il Risorto nella tua vita quando ti sorprende una luce improvvisa proprio nel buio delle tenebre, quando sotto il peso della tua croce invochi la forza e misteriosamente la trovi sempre ad ogni mattino, quando si apre una relazione che pensavi chiusa, quando senti che la sua tenerezza asciuga le tue lacrime, quando anche il nostro cuore e la nostra mente comprendono un qualcosa in più del nostro Dio e lo sentiamo non distante ma compagno di viaggio, quando ti senti schiodato dal peso di una colpa e ti senti risollevato, amato per quello che sei e non giudicato, quando decidi che non puoi fare a meno di questa celebrazione settimanale in cui il Risorto riempie di senso la nostra vita con la sua Parola e spezza il suo Pane per indicarci la via dell’Amore che ci ha salvato, quando inizi anche tu ad amare qualcuno solo in nome di Gesù e proprio quando non se lo merita.
E se abbiamo incontrato il risorto anche per noi non può mancare un nuovo slancio di testimonianza. Il mondo, inchiodato alla sua vecchiezza, il nostro mondo sospeso sulla drammaticità del nulla, in fondo attende, come un deserto l’acqua, la nostra parola di risurrezione, il nostro vento di primavera.

venerdì 10 aprile 2009

venerdì santo


Ritorno ai piedi di questa croce come ogni anno.
Il silenzio varrebbe più di molte parole
Sono inutili parole mistificatorie di fronte al tuo dolore
Sono inutili i discorsi di chi pensa di aver capito tutto di te perché su questo legno che tu hai deciso di abbracciare s’infrange ogni immagine di Dio che io mi sono costruito
Dio, per me, non può patire e tanto meno morire
La tua croce mi fa paura e mi scandalizza
La mia logica che vorrebbe risolvere tutto ora, tutto qui, non arriva a comprendere e tanto meno sa descrivere il perché di questo spargimento di sangue, questo chinare il capo di fronte a chi ti ha spogliato di ogni dignità e ha voluto toglierti di mezzo come un peso inutile, cancellarti perché pericoloso per i nostri schemi.
Non so nemmeno dire perché hai dovuto morire per togliere il mio peccato, io che mi trovo sempre nella palude di tanti sbagli e di tante piccole scorciatoie e compromessi con il male.
Silenzio, solo questo serve

Ma ad un tratto un bagliore mi rapisce, forse lo stesso che ha gettato in ginocchio il centurione e lo ha illuminato fino a riconoscerti Figlio di Dio proprio nel vederti morire così.
L’onnipotenza di Dio non è possesso, non è disporre di tutto secondo un insindacabile giudizio, non è stritolare tutto. Questo è un pensiero umano, troppo umano.
Dio è onnipotente perché ha deciso di gettarsi nella nostra storia e ha voluto condividere con noi, sue creature, ogni cosa, compresa la morte. La sua Onnipotenza è spogliarsi di tutto e farsi povero con noi.
Di fronte alla croce allora alzo le mani e riconosco che mi è più utile un Dio così perchè compagno di viaggio, perché ha poggiato i suoi piedi sulla stessa mia terra e ha lasciato impresse con chiarezza le sue orme in modo che lo possa seguire.

Dopo averlo crocifisso si divisero le sue vesti tirandole a sorte
Ci sono momenti in cui anche noi ci sentiamo crocifissi e spogliati. Quando ci assale la malattia, quando capiamo che certe situazioni drammatiche si fanno croniche, quando lo sgomento dilaga nei nostri giorni e la paura diventa padrona, quando siamo soli e non compresi, quando ci inchiodano ad un pregiudizio. E anche attorno a noi quante situazioni di croce: stranieri a cui non è riconosciuta la dignità, giovani invisibili ai nostri occhi inchiodati ad un destino che li vuole sommersi nel nulla, e ancora, il pensiero va a tutte le vittime innocenti della guerra e delle ingiustizie. Sapere di avere dalla nostra parte un Dio crocifisso non solo ci consola ma ci risolleva dalla disperazione e ci dà la possibilità di riscattarci. La croce non è inutile se la vivi con la stessa intenzione di Gesù. Offrila per la salvezza del mondo. Fai della tua vita un Mistero di condivisione e allora avrà senso anche il tuo dolore.

Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?
E poi il silenzio. Quello di Gesù e quello di Dio. Pieno di dubbi e pieno di angoscia. Dio apparentemente distante. Di fronte alla morte di qualcuno di caro, di fronte al dolore innocente. Di fronte alla violenza che, priva di senso, impazza nel mondo. Quante volte anche per noi il buio della fede è condizione quasi normale. A stento abbiamo qualche consolazione spirituale, a stento sentiamo vibrare in noi la presenza di Dio. A stento avvertiamo il senso della fede. E camminiamo a tentoni, senza pretese di guardare troppo all’orizzonte, facendoci bastare il valore di ogni passo.
L’urlo di Gesù, la sua notte nella fede, non mi scandalizza ma mi libera da ogni ansia di perfezionismo nella vita spirituale. Non è peccato urlare contro il cielo, non è peccato non avvertire il senso della presenza di Dio, non è peccato gridare perché Dio si faccia sentire e vedere perché altrimenti non reggiamo più. L’urlo di Gesù raccoglie tutti le nostre grida quando ricerchiamo un perché che ancora stenta ad apparire all’orizzonte.

Emise lo spirito
Morte, dov’è la tua vittoria?
Ora che Gesù ha chinato il capo
Ora che hai coperto di pietà anche il nostro Dio
Ora che il mondo rifiorisce al soffio del suo Spirito e già sentiamo il vento della Risurrezione come una nuova primavera
riconosciamo che non sei nemica ma occasione di fede
paradossale amica che ci spalanca la vita eterna.

domenica 5 aprile 2009

domenica delle Palme

Eccoci alla soglia della settimana santa in questa domenica delle Palme in cui ricordiamo la decisione di Gesù di salire per la festa di Pasqua a Gerusalemme. Sì, è venuto alla festa, non si è tirato indietro, i suoi passi si sono fatti anzi più spediti verso la sua meta sapendo che avrebbe pagato la sua fedeltà al Padre e al suo disegno di amore, che avrebbe trasformato con la sua passione silenziosa ciò che era male in bene, sapendo che il perdono avrebbe sigillato nuovamente l’Alleanza fra Dio e la sua gente.
Vorrei con voi oggi compiere due passi: chiedermi anzitutto perché la settimana santa viene detta anche autentica e poi lasciare che la Parola di oggi ci dia qualche indicazione, ci indichi, perché non ci smarriamo, il sentiero giusto da seguire perché la prossima Pasqua sia per noi tutti l’occasione per rinascere come creature nuove, per rilanciare la partita della nostra sequela e del nostro apostolato.
L’antico nome con cui la tradizione ambrosiana definisce questa settimana è autentica. Certo, nel senso che è modello per tutte le altre settimane dell’anno, come un marchio di fabbrica che si riproduce lungo lo scorrere del tempo per continuare ad attingerne Grazia. Certo, nel senso che è autentica la Parabola dell’amore di Dio che non ha risparmiato la vita del suo Figlio per noi. Ma mi piace pensare ad un altro significato, forse più introspettivo. Questa settimana ci mette davanti come uno specchio e ci chiede di guardarci abbassando le nostre maschere, di scrutarci in autenticità. Chi siamo davvero noi di fronte al Mistero dell’Amore di Dio? A che punto sono arrivato, aldilà di tanti ridondanti giustificazioni o autocommiserazioni, nella mia decisione di fare di Cristo il senso della mia vita. Oggi alla tavola di Betania o giovedì sera a quella del Cenacolo, scrutando di venerdì anch’io la croce da lontano come i discepoli smarriti oppure ai suoi piedi, domenica dinanzi al sepolcro vuoto chi sono davvero? In questi giorni c’è come una luce prepotente che è proprio l’amore di Gesù su di noi che non ci permette di nasconderci, non ci dà tregua, non stempera le linee del nostro carattere e della nostra fede ma le aggrava ancora di più. E allora forse non dobbiamo vergognarci di riscoprirci come Giuda pronti a tradire perchè troviamo scomodo un Messia inerme; non vergogniamoci ad essere come Pietro, buoni a parole ma incapaci poi di riconoscere nella croce il senso pieno della rivelazione di Dio; non vergogniamoci se anche noi come i due di Emmaus o Tommaso stentiamo a credere nella Risurrezione perché ci sembra irremovibile la pietra del sepolcro e inalienabile la dittatura della morte e della disperazione. La cosa che conta di più non è arrivare a questa settimana con il desiderio di emergere con le nostre false promesse, con i nostri bei discorsi di facciata, come se fossimo già arrivati, ma ancora una volta con il bisogno di farci sommergere dall’Amore di Gesù e comprendere che se siamo totalmente sgrammaticati alla scuola del Vangelo, il Signore non ha timore di sollevarci dalle nostre cadute e rilanciare il dado della partita della nostra fede.
E ora vorrei interrogare la Parola di questa domenica con un’identica domanda per tutti e tre i passi: qual è la strada giusta per vivere la Pasqua?
Lo chiediamo ad Isaia e alla sua lunga lettura che, attraverso l’immagine di questo misterioso servo sofferente, ci fa gustare il sapore della profezia di tutto quello che accadrà nei prossimi giorni, dalla condanna alla luce che va oltre la morte, con la sofferenza che giustifica Israele. Penso che il suggerimento sia lo stupore. Non viviamo i giorni della Passione come un rituale stanco,come un copione già noto, come se non ci fosse ancora spazio per la sorpresa. Dio saprà darci qualche nuova intuizione, qualche raggio capace di raccogliere il senso della fede e della nostra vita solo se gli lasciamo lo spazio necessario per sorprenderci. Del resto il binomio inscindibile croce-risurrezione non lo comprenderemo mai fino in fondo, sarà sempre inedito, continuerà a modellare il nostro immaginario di Dio per restituirci il suo volto autentico di Creatore appassionato per l’uomo, che ci ama da morire!
La seconda lettura penso ci dia un’altra indicazione preziosa per fare Pasqua: Ebrei raccomanda di tenere fisso lo sguardo sul Crocifisso per non stancarci nella corsa della nostra vita. Sarà Pasqua anche per noi se sapremo accogliere le nostre sofferenze come croci che unite alla passione di Cristo daranno salvezza al mondo. La corsa della vita nella fede può portarci alla stanchezza, noi sotto il peso delle nostre croci cadiamo e vorremmo gettare la spugna, vorremmo fare altro o essere altrove. Se però tendiamo le mani al Crocifisso ci accorgiamo che le nostre lacrime non sono inutili, il buio che a volte ci sovrasta è solo il preludio di un’alba di risurrezione che ci sorprende, comprenderemo che anche noi dobbiamo morire a noi stessi per dare frutto e che senza un sentiero aspro non giungeremo mai alle stelle.
E infine il Vangelo. Mi sembra di assistere ad un allestimento della scenografia dei prossimi giorni: condanne che si esplicitano, voci di popolo che si alzano, tradimenti che iniziano a consumarsi e veri gesti d’amore e di condivisione della Passione come Maria che unge i piedi di Gesù in vista della sua sepoltura. Penso che questa pagina ci inviti a schierarci, ad assumere la nostra prospettiva da cui assistere alla Pasqua. non restiamo indifferenti. A me piacerebbe, con un pizzico di coraggio, essere come Maria e con discrezione dire a Gesù che mi piacerebbe stargli vicino, che, anche se non lo comprendo, però voglio essergli amico e condividere il suo orizzonte, vorrei anch’io, diffondere con il mio amore, un profumo intenso di vita nuova.