domenica 24 febbraio 2013

II di quaresima, della Samaritana


Sovente, per divertirsi, i marinai/catturano degli albatri, grandi uccelli marinai/che seguono, indolenti compagni di viaggio,/la nave scivolante sugli amari abissi ./Appena li depongono sulla tolda,/questi re dell'azzurro, goffi e vergognosi,/lasciano cadere miseramente ai loro fianchi,/le grandi, candide ali, come ritirati remi./Com'è molle e goffo questo viaggiatore alato!/Lui, poco fa così bello, com'è brutto e ridicolo.
…/Assomiglia al principe delle nuvole il Poeta,/che sfida le tempeste e si prende gioco dell'arciere,/ma esiliato in terra, fra gli scherni,/le sue ali di gigante gli impediscono di camminare.

Mi piace pensare che la Parola che ascolteremo di domenica in domenica in questo tempo particolarissimo che è la Quaresima, se lasciamo che dilaghi la nostalgia per quello che siamo e si è perso per poi mettere mano ad un serio processo di conversione, sia un cammino che accende le luci su quelle situazioni – sempre le stesse, sempre quelle più fondamentali, sempre quelle più insidiose - in cui la nostra libertà si imbriglia e stentiamo a spiccare il volo, proprio come l’albatros di Baudelaire, e ci convinciamo di non sapere più usare  quelle grandi ali che in realtà ci sono state donate per sfidare il cielo.

È evidente che questo scorcio biografico che Giovanni ci regala della Samaritana sia la perfetta parabola di una vita credente: non senza ironia se pensiamo a come un Giudeo giudicava questa gente; non senza stupore perché solo i piccoli e gli ultimi sanno cogliere i segni del Regno e ne fanno parte facendo crollare sotto il loro passo il sistema di un mondo che esclude chi sbaglia inchiodandolo al proprio errore con un giudizio incontrovertibile.
Questa donna lascia che la ferita di una vita giocata male a livello affettivo – forse all’inizio non per colpa sua, ma certo, poi, anche lei ha iniziato a starci al gioco diventando in apparenza sempre più cinica ma in realtà più vulnerabile e fragile – possa essere sanata dall’incontro con un uomo che finalmente le vuole bene ma non per possederla ma per liberarla, per quello che è più che per quello che può dare o soddisfare, per poi scoprire il vero volto di Dio che è Spirito e Verità, Padre che rincorre i suoi figli e fa breccia nel loro cuore con una sete d’infinito e di eternità, scopre chi è il Messia per poi diventare con la sua vita annuncio e infine testimonianza, portale perché anche altri possano darsi appuntamento con l’evento capace di ribaltare le sorti di una vita.

Il cuore del racconto è la guarigione della memoria. Oggi la Parola ci dice che se vogliamo spiccare il volo e conquistare i nostri sogni dobbiamo togliere le ancore da un passato che ci tiene legati e che ci fa paura. Perché anche se non ci pensi, anche se mascheri a te stesso e agli altri le tue ferite, in realtà ci costruisci sopra attimo dopo attimo la tua vita sgualcendola e rendendola fragile.
È successo proprio ieri. Un giovane mi ha raggiunto, ha voluto confessarsi, sono anni – mi ha detto – che non lo faccio. E poi, mentre molti fanno passare uno dopo l’altro i comandamenti per giustificarsi, lui mi diceva che li ha proprio traditi tutti. Ma alla fine, con una luce diversa negli occhi, ha aggiunto: ma io sono diverso, io non sono quello che ho fatto! Ecco la frase giusta di chi ha deciso di farsi guarire la memoria. Noi non siamo quello che facciamo, siamo molto di più. Ma devi lasciartelo dire, non può bastare ripeterselo, deve essere convincente chi ti guarda amandoti, deve rompere i lucchetti di quelle catene che ti serrano la gola, deve prometterti un futuro diverso, in altre parole, deve essere Gesù e con lui i fratelli di una comunità non di gente rigida ma di peccatori in conversione felici di fare spazio ad altri fratelli fragili come loro, pietre scartate che all’improvviso si sentono scelte per essere pietre d’angolo.

E mentre lascio che in questa settimana ognuno possa lasciarsi incontrare da Gesù e dargli appuntamento al crocevia della propria memoria, vorrei concludere dicendo che c’è anche una memoria collettiva, una memoria che condividiamo, una memoria di Chiesa che deve essere guarita. Giovanni Paolo II all’inizio della Quaresima dell’anno Santo aveva domandato perdono per il passato della Chiesa. Forse, in modo meno esplicito, anche Benedetto XVI più volte ha chiesto che la Chiesa possa cambiare rotta e radicarsi sull’unica roccia che è Gesù Cristo. Perché i segni del potere che spesso sostituiscono il potere dei segni, quelli secondo il Vangelo, il divario incolmabile fra noi e i poveri, la frantumazione fra la Liturgia e la Carità o il muro che gli adulti hanno costruito nei confronti delle nuove generazioni e infine l’irresponsabilità con cui i credenti hanno abdicato al loro impegno nella società strizzando l’occhio ad un’economia ingiusta che segna un divario fra il nord e il sud del mondo, alla logica della guerra, alla distruzione dell’ambiente sono una memoria zavorrata che deve essere liberata perché dilaghi la vita nuova che la prepotenza della Pasqua invoca.

domenica 3 febbraio 2013

penultima dopo l'Epifani

Signore, io non sono capace di pregare mai nessuno me lo ha insegnato! Anche adesso non so cosa dirti: Ma tu esisti? Se esisti perché non ti fai vedere da me. forse pretendo troppo: le vette il mare i fiori tutto il creato parlano di te ma io non sono capace di scoprirti. Dicono anche che l'amore sia una prova della tua esistenza: forse è per quello che io non ti ho incontrato: non sono mai stato amato in modo da sentire la tua presenza. Signore fammi incontrare un amore che mi porti a te, un amore sincero disinteressato, fedele e generoso che sia un poco l'immagine tua.

Così scrive Agostino, un ragazzo rinchiuso a forza nel centro salesiano di Arese. Uno dei tanti. Aveva quattordici anni e chiesero a lui e agli altri compagni, in un campeggio in Valformazza, di comporre una preghiera. Morì a sedici anni. Chissà se finalmente riuscì a trovare qualcuno che gli volesse bene e che, senza troppe parole, gli raccontasse l’amore di Dio: l’amore, l’unica forza che attrae senza fare violenza, l’unica mano che ti modella senza deformare nulla, l’unica cosa che mette in ordine tutto senza spostare niente.

Detto così, forse, si comprende perché il lezionario ambrosiano ci obbliga a fare sosta sul tema della Misericordia e del Perdono in queste due domeniche che precedono la quaresima, il tempo in cui sei chiamato a riordinare la tua vita, a orientare nuovamente la tua libertà nella direzione dell’amore, a prendere fra le mani le tue scelte per renderle profumate di Vangelo, per mettere il lievito nuovo nella pasta della tua ordinarietà: non c’è conversione senza la percezione che chi ti chiama a cambiare è il Dio dell’amore.

E noi che Dio abbiamo incontrato nella nostra vita? Forse dovremmo mettere al bando per sempre l’idea tutta nostra di una santità che è solo diversità, alterità inaccessibile se non per sentieri inestricabili di faticosa ascesi.  L’avvenimento che ci precede è l’affacciarsi di Dio nella storia, il suo sporcarsi con la nostra vita, anche con le pagine più drammatiche e nauseanti delle nostre biografie; la sua santità - la sua diversità - è proprio l’amore che si colora di tutte le sfumature possibili, anche la rabbia e la gelosia ma che, in sintesi, è Misericordia, mano teso, perdono incondizionato. Proprio per questo Gesù, quando parlava di Dio, non ha trovato un modo migliore di chiamarlo se non Padre. Padre perché si assume il rischio di dare libertà, perché ti mette con le spalle al muro ma perché sa quanto vali, perché non solo ci vuole bene ma si inventa con una creatività tutta sua il modo per dimostrarcelo, perché non ti toglie nulla ma ti dona tutto e se cerchi la felicità, nella sua alleanza, tu ne trovi le coordinate.

Levi, Matteo, quel giorno si imbatte proprio in un Dio così. Penso, come capita molto spesso a noi, che lui fosse il primo a provare disgusto per la sua vita: noi infatti siamo i giudici più severi di noi stessi. La sua vita era fatta di molto denaro frutto in gran parte di corruzione e procacciato in modo illecito. All’inizio forse accarezzava l’idea che potesse bastargli, forse lo confortavano quegli amici che circondano i ricchi più per quello che hanno che per quello che sono; forse il giudizio dei benpensanti e l’odio della gente comune all’inizio era solo un fastidio. Ma alla fine anche lui si sarà sentito solo e con la voglia di dare un cambio di rotta alla sua vita ma gli mancava la forza o proprio qualcuno che davvero gli volesse bene. “seguimi”: ecco la promessa di un orizzonte diverso. Gli occhi di chi lo chiamava, fissi nei suoi, probabilmente brillavano di un amore mai sperimentato prima, un amore che dà sostegno a quella promessa. E solo allora si alza, riprende a camminare, sente che la sua vita può essere schiodata da un passato che non lasciava spazio al futuro ma solo a un presente malinconico. Gli occhi di Gesù…il racconto di quello sguardo avrà messo nel cuore a tutti i peccatori di quella città la voglia di incontrarlo per trovare riscatto e quella dignità di creature.

Vorrei che tutti noi incrociassimo questo sguardo. Saremo eterni analfabeti di Vangelo se non incontriamo il perdono di Dio, se almeno una volta nella vita non lasciamo che il suo perdono dia luce agli angoli bui che nascondiamo abilmente a tutti e in cui non vogliamo mai scendere per vergogna, se non lasciamo che il suo amore ci faccia fare la pace con quei mostri che abbiamo dentro. Dio cerca ogni giorno di abbattere il muro della nostra presunta capacità di salvarci con le nostre forze passando attraverso quegli spiragli che sono le nostre ferite e la nostra sete di felicità.

E quando avremo scoperto che è bello lasciarci salvare, amare per quello che siamo, potremo fare nostri i tratti di questa misericordia, essere figli che portano indelebile, come marchio di fabbrica, l’amore che salva. Ma questo è già il miraggio di una comunità, di una Chiesa, che non condanna ma che fa verità nella misericordia e che si fa casa accogliente per tutte le pietre di scarto di questo mondo.