Sovente, per divertirsi, i marinai/catturano degli albatri, grandi
uccelli marinai/che seguono, indolenti compagni di viaggio,/la nave scivolante
sugli amari abissi ./Appena li depongono sulla tolda,/questi re dell'azzurro,
goffi e vergognosi,/lasciano cadere miseramente ai loro fianchi,/le grandi,
candide ali, come ritirati remi./Com'è molle e goffo questo viaggiatore alato!/Lui,
poco fa così bello, com'è brutto e ridicolo.
…/Assomiglia al principe delle nuvole il Poeta,/che sfida le tempeste e
si prende gioco dell'arciere,/ma esiliato in terra, fra gli scherni,/le sue ali
di gigante gli impediscono di camminare.
Mi piace pensare che la Parola
che ascolteremo di domenica in domenica in questo tempo particolarissimo che è
la Quaresima, se lasciamo che dilaghi la nostalgia per quello che siamo e si è perso
per poi mettere mano ad un serio processo di conversione, sia un cammino che
accende le luci su quelle situazioni – sempre le stesse, sempre quelle più
fondamentali, sempre quelle più insidiose - in cui la nostra libertà si
imbriglia e stentiamo a spiccare il volo, proprio come l’albatros di Baudelaire,
e ci convinciamo di non sapere più usare quelle grandi ali che in realtà ci sono state
donate per sfidare il cielo.
È evidente che questo scorcio biografico che Giovanni ci regala della Samaritana sia la perfetta parabola di una vita credente: non senza ironia se pensiamo a come un Giudeo giudicava questa gente; non senza stupore perché solo i piccoli e gli ultimi sanno cogliere i segni del Regno e ne fanno parte facendo crollare sotto il loro passo il sistema di un mondo che esclude chi sbaglia inchiodandolo al proprio errore con un giudizio incontrovertibile.
Questa donna lascia che la ferita di una vita giocata male a livello affettivo – forse all’inizio non per colpa sua, ma certo, poi, anche lei ha iniziato a starci al gioco diventando in apparenza sempre più cinica ma in realtà più vulnerabile e fragile – possa essere sanata dall’incontro con un uomo che finalmente le vuole bene ma non per possederla ma per liberarla, per quello che è più che per quello che può dare o soddisfare, per poi scoprire il vero volto di Dio che è Spirito e Verità, Padre che rincorre i suoi figli e fa breccia nel loro cuore con una sete d’infinito e di eternità, scopre chi è il Messia per poi diventare con la sua vita annuncio e infine testimonianza, portale perché anche altri possano darsi appuntamento con l’evento capace di ribaltare le sorti di una vita.
Il cuore del racconto è la
guarigione della memoria. Oggi la Parola ci dice che se vogliamo spiccare il
volo e conquistare i nostri sogni dobbiamo togliere le ancore da un passato che
ci tiene legati e che ci fa paura. Perché anche se non ci pensi, anche se
mascheri a te stesso e agli altri le tue ferite, in realtà ci costruisci sopra
attimo dopo attimo la tua vita sgualcendola e rendendola fragile.
È successo proprio ieri. Un giovane
mi ha raggiunto, ha voluto confessarsi, sono
anni – mi ha detto – che non lo
faccio. E poi, mentre molti fanno passare uno dopo l’altro i comandamenti
per giustificarsi, lui mi diceva che li ha proprio traditi tutti. Ma alla fine,
con una luce diversa negli occhi, ha aggiunto: ma io sono diverso, io non sono quello che ho fatto! Ecco la frase
giusta di chi ha deciso di farsi guarire la memoria. Noi non siamo quello che
facciamo, siamo molto di più. Ma devi lasciartelo dire, non può bastare
ripeterselo, deve essere convincente chi ti guarda amandoti, deve rompere i
lucchetti di quelle catene che ti serrano la gola, deve prometterti un futuro
diverso, in altre parole, deve essere Gesù e con lui i fratelli di una comunità
non di gente rigida ma di peccatori in conversione felici di fare spazio ad
altri fratelli fragili come loro, pietre scartate che all’improvviso si sentono
scelte per essere pietre d’angolo.
E mentre lascio che in questa
settimana ognuno possa lasciarsi incontrare da Gesù e dargli appuntamento al
crocevia della propria memoria, vorrei concludere dicendo che c’è anche una
memoria collettiva, una memoria che condividiamo, una memoria di Chiesa che
deve essere guarita. Giovanni Paolo II all’inizio della Quaresima dell’anno
Santo aveva domandato perdono per il passato della Chiesa. Forse, in modo meno
esplicito, anche Benedetto XVI più volte ha chiesto che la Chiesa possa cambiare
rotta e radicarsi sull’unica roccia che è Gesù Cristo. Perché i segni del
potere che spesso sostituiscono il potere dei segni, quelli secondo il Vangelo,
il divario incolmabile fra noi e i poveri, la frantumazione fra la Liturgia e
la Carità o il muro che gli adulti hanno costruito nei confronti delle nuove
generazioni e infine l’irresponsabilità con cui i credenti hanno abdicato al
loro impegno nella società strizzando l’occhio ad un’economia ingiusta che
segna un divario fra il nord e il sud del mondo, alla logica della guerra, alla
distruzione dell’ambiente sono una memoria zavorrata che deve essere liberata perché
dilaghi la vita nuova che la prepotenza della Pasqua invoca.