sabato 27 giugno 2009

quarta dopo Pentecoste

Nella nostra corsa lungo la storia della salvezza ci troviamo oggi di fronte ad un tema scottante che emerge già nelle prime pagine di Genesi, ben prima della vicenda di Abramo e di Lot ascoltata stamattina: il peccato, l’ingiustizia, il rifiuto dell’uomo a Dio e alla sua proposta di Alleanza. Tutta la storia d’Israele e anche della Chiesa può essere descritta come un alternarsi di luci e ombre: la luce è la presenza di un Dio che non si stanca dell’uomo e che continua ad amare testardamente la sua creatura al costo altissimo del perdono e ultimamente della vita del Figlio; luce è anche la vita dei giusti che si sono lasciati plasmare dalle mani abili del Padre come un vaso di argilla nelle mani del vasaio; ombra è la chiusura allo Spirito che diventa infine ingiustizia nei confronti dei fratelli, la storia di uomini che hanno smesso di guardare in alto, hanno tradito i desideri più grandi, hanno svenduto la loro dignità di creature rincorrendo il successo, il potere e l’avere. La lettura ci parla delle diverse reazioni dei protagonisti di fronte al male di Sodoma: Lot e Abramo uomini giusti che non si sono lasciati coinvolgere dall’ingiustizia contrapposti alla moglie di Lot che, con il suo voltarsi alla città, in un certo senso rimpiange quanto lasciato, forse la sicurezza, forse il benessere anche se provenivano da un male. Nella lettera Paolo ammonisce la sua comunità: avere ottenuto la salvezza in Cristo non li ha liberati dall’inclinazione a compiere il male, quello che si chiama concupiscenza, e la lotta contro il male si deve consumare anzitutto con se stessi ogni giorno con tenacia. Nella parabola raccontata da Gesù nel discorso escatologico del Vangelo di Matteo invece il male e il peccato da una parte sono il rifiuto del Vangelo e dall’altra l’inadeguatezza alle esigenze radicali della festa del Regno.
1 vorrei ora chiedermi con voi, interrogando la Scrittura, pensando alla nostra vita, qual è la radice del peccato. Il peccato è quando decidiamo con piena lucidità di contrapporci a Dio e alla sua Parola e questo avviene in pensieri, parole, opere e omissioni. Perché, pur sapendo che una cosa è sbagliata la facciamo? Perché, pur sapendo che il male non potrà che fare e farci male, noi lo scegliamo? Perché ci ritroviamo invischiati, a volte malgrado i nostri principi, in vicende che ci uccidono dentro? E così alla fine ci ritroviamo aridi, invecchiati, irrigiditi.
Penso che l’uomo scelga di contrapporsi deliberatamente a Dio perché talvolta a praticare la giustizia avverta la sensazione di un deficit di bilancio: i conti sono sempre in rosso e non tornano mai nell’immediato. Penso inoltre a quando assecondiamo la tentazione che a fare di testa nostra ci si guadagni, che Dio in fondo voglia tiranneggiare su di noi e ce ne sbarazziamo con facilità; penso che in noi, aldilà di tanti principi, urli forte la voglia di libertà ma intesa come assoluta, svincolata da tutto e da tutti. Penso che leghiamo la nostra felicità a cose che non vale la pena inseguire e dimentichiamo la nostra dignità, il nostro essere polvere di stelle chiamati a navigare in acque sempre più alte, verso orizzonti di infinito. La metafora della distruzione di Sodoma è l’emblema più eloquente per dire che a inseguire il Male alla fine ti ritrovi distrutto, frammentato, con il cuore diviso, impietrito come una statua di sale che non può né muoversi e nemmeno comunicare. Quello che appariva come un orizzonte di libertà si rivela come una prigione, come un cappio che a poco a poco si stringe attorno alla gola. E si sprofonda nell’inutilità alla fine ci si accorge di non aver strappato la vita alla banalità.
2 Dice André Louf che due categorie di persone devono temere il giudizio di Dio, quell’ira che oggi ci viene raccontata in Genesi e che è descritta nella durezza delle parole di Paolo o nella Parabola di Matteo: i peccatori incalliti e anche i giusti incalliti. I primi sono quelli che hanno deciso, nonostante l’aver sperimentato il male e le sue conseguenze, di continuare a perseguirlo. Ma forse sono pochi. I secondi invece sono molto più numerosi e sono quelli che credono con arroganza di non aver bisogno di essere perdonati, sono quelli che, magari mascherandosi di devoti sentimenti religiosi o trincerandosi sfacciatamente dietro ad opere giuste, in fondo non hanno bisogno di Dio e bastano a loro stessi: assomigliano molto a chi, nella parabola, rifiuta l’invito alle nozze del Regno. In mezzo ci sono tutti gli altri: peccatori in conversione, uomini che conoscono la loro fragilità, persone che piangono nel segreto le lacrime amare dei loro sbagli, uomini e donne che ogni giorno cercano di lasciarsi guarire le ferite del loro cuore con la voglia di ricominciare daccapo. E Dio di fronte a questi è sorprendente nella sua Misericordia e continua a rialzarli dalle loro cadute, continua a versare l’olio della Grazia sulle loro ferite, sa aprire per loro sentieri impensati per riprenderli nel suo gregge, per loro si fa pazzo d’amore dimenticando anche le novantanove pecorelle che non hanno in quel momento bisogno di lui per raggiungere l’unica che si era smarrita. I peccatori in conversione sanno che basta la Grazia di Dio e la sua potenza si manifesta pienamente nella loro debolezza. Non abbiamo bisogno di giusti incalliti: la loro presenza nella nostra comunità la renderebbe inaccessibile e antipatica. Abbiamo bisogno di una comunità di fratelli che si sanno continuamente in conversione e per questo, fra di loro, sanno creare spazi di accoglienza verso chi cerca disperatamente il perdono per potere ricominciare.
3 Signore, io so di essere alla festa con un abito poco adatto. È di poco stile la mia atavica propensione a fare di testa mia per poi ritrovarmi più povero e più arido. È di poco stile la mia imprecisione, le ferite che a volte procuro ai miei fratelli per la mia supponenza; è davvero misera la landa solitaria delle mie gelosie, del mio egoismo e quella voglia di trattenere e stringere nel mio pugno tutto e tutti. Non mandarmi fuori: ti propongo un’alternativa anche se so che il tempo si è fatto breve. Dammi tu una veste ricamata con il perdono, con il tuo amore che non ha mai smesso di rincorrermi e di rialzarmi e allora sarò pronto per fare festa con te.

domenica 21 giugno 2009

terza dopo Pentecoste

1 Come avevamo detto domenica scorsa, il nuovo Lezionario, in queste domeniche che seguono la Pentecoste e fino all’inizio dell’Avvento, ci fa ripercorrere le tappe principali dell’intera storia della salvezza. E se la volta scorsa la nostra attenzione era stata richiamata a scorgere nella bellezza dell’intero creato la presenza del Padre, oggi siamo invitati a sostare sul Mistero dell’uomo e della donna, vertice dell’opera di Dio. Ambrogio, in un passaggio dei suoi scritti, afferma che Dio, dopo aver creato l’uomo, riposa perché si ferma quasi stupito a contemplare la sua bellezza – meritiamo lo sguardo estasiato di Dio! – e ha trovato chi rivestire di premura, di Grazia e di perdono.
2 Vorrei però partire nel mio commento alla Parola dalla pagina del Vangelo con una domanda tutt’altro che retorica: sull’amore fra un uomo e una donna, quella di Gesù, è una proposta praticabile? Ai suoi tempi era abbastanza normale porre fine ad un matrimonio con un atto di ripudio; la stessa Legge di Mosè normava la questione. Creò certamente scalpore la forza con cui Gesù dichiarava indissolubile il matrimonio se gli stessi discepoli, in privato, ritornano sulla questione per approfondirla, quasi che non avessero capito bene! E del resto, non solo di fronte al numero sempre maggiore di separazioni e di divorzi, ma anche a partire dalla nostra esperienza, ci sembra impossibile che l’amore sia destinato a durare per sempre. Ma cosa aveva in mente Gesù? Con un atto di autorità che poteva sembrare sfacciata, interpreta la possibilità del ripudio come una concessione alla durezza del cuore dell’uomo e richiama l’inizio della Creazione quando l’uomo e la donna sono stati dati l’uno all’altra per essere una cosa sola per sempre.
3 Non è bene che l’uomo sia solo. La cosa più triste che possa capitarci è la solitudine che non è tanto non avere qualcuno che ti ama, quanto piuttosto non avere nessuno da amare. Dio non ha creato l’uomo per la solitudine, per il monologo, per una sorta di egoistica autoreferenzialità ma lo ha destinato da sempre alla prossimità, al dialogo e alla comunione; proprio nella relazione sta la nostra possibilità di essere felici. Non basta a saziare la nostra ansia di vita nemmeno il possesso sull’intero creato, ma solo quando ami qualcuno e fai dono di te stesso in una prospettiva di eternità.
Ed ecco che sull’uomo scende un torpore e dalla sua costola viene plasmata una nuova creatura, metafora ineguagliabile per dire la somiglianza e la pari dignità. Uguali e diversi e per questo destinati ad attrarsi, comprendersi, amarsi e costruire giorno dopo giorno la loro storia di comunione. השא la donna, aperta alla vita come aperta è l’ultima lettera, accogliente, ostinata a perseguire i suoi obiettivi e dolce nel tessere le sue relazioni; שיא è l’uomo proteso oltre se stesso, forte ma allo stesso tempo debole e per questo bisognoso di sostegno. Uno completa l’orizzonte dell’altra, uno in un ruolo diverso dall’altra ma insieme vincitori nella partita della vita. Insieme, uno per l’altra, destinati ad essere una sola cosa nell’amore nelle molteplici sfumature dell’affetto e della tenerezza e dell’eros.
4 A questo si riferiva Gesù: dunque non aveva intenzione di imprigionare nessuno con le sue parole ma piuttosto di richiamare la grandezza dell’amore di coppia e farci gustare tutto il suo fascino. Se un uomo e una donna si scelgono deve esserci una scommessa sulla definitività che ultimamente è tutela della verità del loro amore: ogni giorno si deve progettare l’amore anche quando si invecchia, anche quando dell’altro emergono tratti fino a poco prima sconosciuti, anche quando la passione viene meno per lasciare però il posto alla complicità e alla tenerezza. Come comunità dovremmo forse di più stringerci attorno a chi ha deciso di promettersi amore per sempre. Mi sembra che tanta fatica, giustamente, sia spesa nel preparare due fidanzati al matrimonio ma molto poco ci si occupi delle giovani famiglie pur sapendo che i primi anni sono un cammino in salita molto arduo, pur sapendo quanto l’arrivo di una nuova vita sia capace di rimescolare le carte in un rapporto di coppia, pur sapendo che ci sono momenti in cui bisogna compiere nuovamente un salto di affidamento l’uno nei confronti dell’altro e insieme in Dio il solo che può aprire orizzonti quando tutto sembra costringere a lasciare la partita.
Ma una pagina come quella di oggi ci obbliga a pensare anche a chi non ce l’ha fatta a portare avanti l’avventura di un matrimonio e ha deciso per una separazione o anche per il divorzio. Il Signore, come ci ricordava in una sua lettera il nostro Arcivescovo, è vicino a chi ha il cuore ferito. Le ferite, in queste situazioni, sono amare, profonde, difficilmente risanabili anche perché non è sempre vero che la colpa, se così si può definire, sta equamente da tutte e due le parti. E così non è sempre deprecabile chi fa seguire un nuovo rapporto al matrimonio ormai in frantumi dandogli magari una forma stabile. Sbaglia chi, magari anche nella Chiesa, interpreta questa pagina come una condanna e un giudizio: Gesù si è sempre astenuto dal farlo e amava lenire con la Misericordia la sofferenza dei cuori e sapeva distinguere sempre fra peccato e peccatore. La Grazia di Dio supera ogni caduta, ogni sbaglio, ogni fallimento e si rivela anche oltre i segni del Sacramento della Riconciliazione e della Comunione eucaristica: l’ascolto della Parola e la Carità, che è il vincolo della perfezione, sono due sorgenti a cui tutti dobbiamo attingere per essere immagine di Cristo. E così, mano nella mano, insieme, ognuno con i propri fallimenti e le proprie croci, ognuno con la sua bellezza di figlio di Dio, siamo chiamati a ricercare e a costruire il Regno dei Cieli.

domenica 14 giugno 2009

II domenica dopo Pentecoste

Il dono dello Spirito nel giorno di Pentecoste offre alla Chiesa un tempo per fare memoria del suo Signore e per incarnare nelle scelte di tutti i giorni, fino al suo ritorno, la logica del Vangelo: quel tempo sono i nostri giorni.
Anzitutto desidero studiare la mappa che il nuovo Lezionario Ambrosiano ci mette fra le mani per queste domeniche che seguono il mistero della Pasqua. Ci sono due punti fermi che fanno da cardine per i temi delle letture e sono rispettivamente la memoria del Martirio del Battista al 29 di agosto e la festa della Dedicazione della Chiesa Cattedrale alla III di ottobre. Le domeniche che precedono la memoria del martirio del Battista ci fanno ripercorrere l’intera storia della salvezza dalla Creazione al dono della Legge sul Sinai fino alle vicende di Israele al tempo dei Re e all’episodio dei Maccabei che non hanno esitato a dare la loro piuttosto che rinunciare alla fede per arrivare infine all’alba del Mistero dell’Incarnazione del Verbo. Le domeniche che seguono questa festa ci aiutano a cogliere la presenza del Verbo nella Chiesa e ci preparano a celebrare il giorno della Dedicazione. Così che da quella Domenica fino all’Avvento ascolteremo le parole che muovono la missione della Chiesa di annunciare la Parola fino agli estremi confini della terra.
È una corsa rapida attraverso l’intera Scrittura: è un dono poter ascoltare in abbondanza la Parola anche in passaggi magari inediti. Ascoltare poi la Storia della Salvezza significa aprire gli occhi e imparare a guardare oltre ogni apparenza la presenza di Dio nella nostra vita. Nelle vene della storia, delle nostre tante storie, scorre la Storia di un Dio che non ci abbandona e che ci è Padre, di una Luce, la sua, che vince ogni ombra, di una roccia a cui poter aggrapparsi senza temere di scivolare nel baratro del nulla, di una Verità in nome della quale scegliere in una prospettiva di definitività e secondo parametri diversi rispetto a quelli del mondo.
Oggi la Parola ci chiede di porre attenzione alla Creazione. Dio l’ha ordinata con estrema Sapienza e Bellezza; fra le sue righe c’è la grammatica dell’Amore del Padre che Gesù ci ha annunciato nel Vangelo e proprio per questo attraverso di essa tutti gli uomini, come ci ricorda Paolo nella lettera ai Romani, anche se non conoscono Cristo, possono cogliere la traccia della presenza di Dio. La Parola della Creazione è aperta anche per noi per stupirci della Bellezza di Dio e per poterci fidare della sua bontà e imparare ad essere anche noi uomini d’amore. Vorrei sottolineare con estrema forza questo rapporto che c’è fra il Bello e il Buono. Per educare alla Bontà di cuore si deve passare attraverso la Bellezza. Forse le nostre città sono crocevia di tristezza, forse dilaga fra i nostri ragazzi la violenza e la paura, forse il nostro respiro si riempie d’affanno e non riusciamo a scorgere un orizzonte promettente anche perché siamo circondati da cose brutte e ci permettiamo di sovvertire le regole della Creazione. Invece possono avvenire veri e propri miracoli, per esempio in ragazzi in difficoltà, quando si trovano sotto l’immensità di un cielo stellato oppure nello spettacolo della natura incontaminata o anche di fronte alla Bellezza che l’uomo ha replicato nell’Arte. Forse ci è capitato di stupirci di fronte ad un tramonto mentre siamo affacciati alla finestra di casa nostra e il cielo si tinge di mille sfumature; forse ci è capitato di rimanere senza fiato di fronte alla maestà di qualche monte o all’immensità dell’orizzonte del mare: è allora che il cuore si placa e riscopre la sua dignità di creatura ma senza paure ma con il desiderio di abbracciare quel Dio che ci ha regalato tutto questo ed essere qui e ora immagine del suo volto d’amore.
Mi piace pensare che anche Gesù fosse innamorato della Creazione perché spesso prendeva da qui spunto per annunciare il Vangelo. Un esempio è la pagina di oggi. Gesù guarda gli uccelli del cielo e chiede anche a noi di fidarci del Padre che non ci fa mancare nulla e così i gigli del campo e la loro bellezza e, perché noi valiamo più di loro e il Padre si prende cura di noi suoi figli, ci chiede di stabilire la giusta scala di priorità: cercate il regno di Dio e il resto ci verrà dato in aggiunta. Vivere secondo il Vangelo è bandire ogni forma di ansietà, è stanare nel nostro cuore quei pensieri che ci fanno paura perché ci fanno credere di essere soli e abbandonati al nostro destino di morte. Il cristiano sa che Dio è all’opera nel mondo, nella storia, nella nostra vita e non ci manca nulla altrimenti il Padre già ce l’avrebbe dato. E così si galleggia come un turacciolo sulle correnti dell’acqua: talvolta si può andare sotto per la pressione della vita ma alla fine si ritorna sempre a galla. Salutare ogni mattino con questa certezza ci permette di sorridere al mondo intero e ci fa scoprire che nulla accade per caso ma tutto è per la nostra felicità.
Oggi la nostra parrocchia celebra la festa in famiglia. Don Ezio e la comunità di allora l’aveva pensata per ribadire che la Parrocchia è una famiglia formata da tante famiglie, ognuna con la sua storia, ognuna con le sue bellezze e anche le sue difficoltà. La Parola di oggi ricorda anche alle nostre famiglie di non temere perché Dio non dimentica nemmeno uno dei suoi figli e mi piacerebbe che questa parola fosse una carezza per tutte le famiglie che si trovano nella sofferenza, nella crisi e sul baratro della povertà. Ma questa Parola ci chiede di essere insieme comunità che promuove il Bene e il Bello per ogni famiglia perché, se un rinnovamento nel nostro mondo può esserci, questo non può che passare dalle nostre famiglie.

sabato 6 giugno 2009

SS. Trinità

3=1…Forse è un gioco matematico i cui conti non tornano mai? Forse una dottrina astrusa per gli addetti ai lavori: Trinità non di una sola Persona ma di un sola Sostanza? Forse una complicazione del cristianesimo: che importa se c’è un Padre, un Figlio e lo Spirito santo, perché, in fondo, l’importante è pregare Dio! Forse non ci resta che alzare le spalle e ammettere che la Trinità è un mistero di cui difficilmente comprenderemo qualcosa.
…ma se è vero che tutto quello che Gesù ha rivelato è per noi, per la nostra salvezza, per la nostra gioia, per la nostra realizzazione come creature, allora anche il Mistero della Trinità deve dare forma alle nostre scelte, deve essere come una sorgente d’acqua freschissima per la nostra vita, deve dare colore alla nostra fede.
3=1 non è un gioco matematico ma la Verità di Tre Persone che sono una per l’altra, una al servizio dell’altra, capaci di donarsi definitivamente, totalmente senza risparmiarsi in nulla fino al punto di essere una cosa sola; 1x1x1 fa sempre 1! E così il mistero della Trinità ci insegna che il segreto di una vita riuscita non sta nell’assommare ricchezza, potere, apparenza ma nel dono che sai fare agli altri della tua vita: sei creatura formata a immagine e somiglianza di Dio e per questo chiamato a stare costantemente fuori di te, verso gli altri, per gli altri!
La Trinità non è una dottrina per gli addetti ai lavori: Dio è Una sola Cosa ma in tre Persone distinte. E proprio perché sono diversi sono una Cosa sola e proprio perchè sono una Cosa sola sono diversi. La differenza per Dio non è opposizione ma principio di comunione. Così il mistero della Trinità ci insegna che anche noi siamo Chiesa, una sola cosa, comunità radunata attorno al Crocifisso-Risorto nella diversità di ognuno; siamo un arcobaleno di colori chiamati ad accogliersi e ad amarsi nella loro diversità. La comunione non è opera delle nostre mani, non è neppure un punto di partenza ma è dono della nostra fede nella Trinità, meta da raggiungere non senza fatica.
E se è vero che l’importante è pregare Dio bisogna ribadire con forza che il nostro Dio ha questo volto ben preciso: Padre, Figlio e Spirito santo. Lo Spirito palpita in noi e ci conduce per mano ad imitare in ogni attimo della nostra vita il Figlio Gesù, a fare nostre le sue scelte e, proprio per questo mistero di imitazione, anche noi facciamo diventare segreto della nostra vita l’Amore immenso del Padre e su di lui iniziamo a scommettere in una prospettiva di eternità.
Vorrei ora passare a commentare i 3 brani ascoltati oggi immaginandoli come una carta d’identità che Dio ci mette fra le mani per non smarrire la verità del suo volto.
Nella prima lettura Mosè fa esperienza del passaggio di Dio. E’ uno dei brani forse più suggestivi di Esodo. Dio mentre passa mostra di sé solo le spalle e rivela il suo Nome. Il Nome di Dio è salvezza per Mosè e per tutto Israele: come dicevamo prima non c’è nulla che Dio non riveli di sé che non sia per la nostra salvezza e felicità. E se vuoi cogliere i suoi segni nella tua vita, se vuoi scorgere dove ha preso dimora la Trinità in te e attorno a te, devi guardare le orme del suo passaggio nella tua storia. La fede si alimenta nella memoria. E oggi, se abbiamo il coraggio di rientrare in noi stessi, possiamo proprio alzare il nostro inno di lode al Figlio che ci ha dato lo Spirito e non ci ha abbandonati ma ci ha messi sulle spalle del Padre soprattutto nelle ore più difficili che abbiamo vissuto.
Nella seconda lettura Paolo parla della differenza fra la vita secondo la carne e la vita secondo lo Spirito. La prima porta in sé il marchio della morte e della distruzione - la carne è il peccato quindi è l’autonomia solitaria ed autoreferenziale - la seconda è vita. Lo Spirito infatti ci dona la vita stessa di Dio e quindi anche noi ci scopriamo figli amati aldilà dei nostri limiti e della nostra debolezza proprio come Gesù; quando ci sentiamo crocifissi, sul baratro della disperazione e della morte è allora che il Padre si mette all’opera e non ci lascia soli.
Infine il brano di Vangelo, in uno degli scorci del discorso d’addio nel cenacolo, ci presenta lo Spirito come il Paraclito Consolatore che renderà testimonianza all’annuncio di Gesù e del suo essere Figlio. Lo Spirito inoltre ci darà la forza di essere testimoni di questo annuncio: sulla faccia del mondo, in un tempo e in uno spazio precisi, non solo si è affacciato ma ha conficcato i paletti della sua Tenda il Signore della storia nella carne del Figlio Gesù. Noi crediamo non a un Dio fatto a immagine e somiglianza dell’uomo ma ad un Uomo che per la sua vita e soprattutto la sua Morte e Risurrezione non possiamo non pensare che fosse Dio! L’enigma Gesù è la Parola forte che abbiamo il dovere di annunciare al mondo per la sua salvezza e la sua gioia e a lui bisognerà tornare quando saremo assetati di Verità o di Speranza.