domenica 21 giugno 2009

terza dopo Pentecoste

1 Come avevamo detto domenica scorsa, il nuovo Lezionario, in queste domeniche che seguono la Pentecoste e fino all’inizio dell’Avvento, ci fa ripercorrere le tappe principali dell’intera storia della salvezza. E se la volta scorsa la nostra attenzione era stata richiamata a scorgere nella bellezza dell’intero creato la presenza del Padre, oggi siamo invitati a sostare sul Mistero dell’uomo e della donna, vertice dell’opera di Dio. Ambrogio, in un passaggio dei suoi scritti, afferma che Dio, dopo aver creato l’uomo, riposa perché si ferma quasi stupito a contemplare la sua bellezza – meritiamo lo sguardo estasiato di Dio! – e ha trovato chi rivestire di premura, di Grazia e di perdono.
2 Vorrei però partire nel mio commento alla Parola dalla pagina del Vangelo con una domanda tutt’altro che retorica: sull’amore fra un uomo e una donna, quella di Gesù, è una proposta praticabile? Ai suoi tempi era abbastanza normale porre fine ad un matrimonio con un atto di ripudio; la stessa Legge di Mosè normava la questione. Creò certamente scalpore la forza con cui Gesù dichiarava indissolubile il matrimonio se gli stessi discepoli, in privato, ritornano sulla questione per approfondirla, quasi che non avessero capito bene! E del resto, non solo di fronte al numero sempre maggiore di separazioni e di divorzi, ma anche a partire dalla nostra esperienza, ci sembra impossibile che l’amore sia destinato a durare per sempre. Ma cosa aveva in mente Gesù? Con un atto di autorità che poteva sembrare sfacciata, interpreta la possibilità del ripudio come una concessione alla durezza del cuore dell’uomo e richiama l’inizio della Creazione quando l’uomo e la donna sono stati dati l’uno all’altra per essere una cosa sola per sempre.
3 Non è bene che l’uomo sia solo. La cosa più triste che possa capitarci è la solitudine che non è tanto non avere qualcuno che ti ama, quanto piuttosto non avere nessuno da amare. Dio non ha creato l’uomo per la solitudine, per il monologo, per una sorta di egoistica autoreferenzialità ma lo ha destinato da sempre alla prossimità, al dialogo e alla comunione; proprio nella relazione sta la nostra possibilità di essere felici. Non basta a saziare la nostra ansia di vita nemmeno il possesso sull’intero creato, ma solo quando ami qualcuno e fai dono di te stesso in una prospettiva di eternità.
Ed ecco che sull’uomo scende un torpore e dalla sua costola viene plasmata una nuova creatura, metafora ineguagliabile per dire la somiglianza e la pari dignità. Uguali e diversi e per questo destinati ad attrarsi, comprendersi, amarsi e costruire giorno dopo giorno la loro storia di comunione. השא la donna, aperta alla vita come aperta è l’ultima lettera, accogliente, ostinata a perseguire i suoi obiettivi e dolce nel tessere le sue relazioni; שיא è l’uomo proteso oltre se stesso, forte ma allo stesso tempo debole e per questo bisognoso di sostegno. Uno completa l’orizzonte dell’altra, uno in un ruolo diverso dall’altra ma insieme vincitori nella partita della vita. Insieme, uno per l’altra, destinati ad essere una sola cosa nell’amore nelle molteplici sfumature dell’affetto e della tenerezza e dell’eros.
4 A questo si riferiva Gesù: dunque non aveva intenzione di imprigionare nessuno con le sue parole ma piuttosto di richiamare la grandezza dell’amore di coppia e farci gustare tutto il suo fascino. Se un uomo e una donna si scelgono deve esserci una scommessa sulla definitività che ultimamente è tutela della verità del loro amore: ogni giorno si deve progettare l’amore anche quando si invecchia, anche quando dell’altro emergono tratti fino a poco prima sconosciuti, anche quando la passione viene meno per lasciare però il posto alla complicità e alla tenerezza. Come comunità dovremmo forse di più stringerci attorno a chi ha deciso di promettersi amore per sempre. Mi sembra che tanta fatica, giustamente, sia spesa nel preparare due fidanzati al matrimonio ma molto poco ci si occupi delle giovani famiglie pur sapendo che i primi anni sono un cammino in salita molto arduo, pur sapendo quanto l’arrivo di una nuova vita sia capace di rimescolare le carte in un rapporto di coppia, pur sapendo che ci sono momenti in cui bisogna compiere nuovamente un salto di affidamento l’uno nei confronti dell’altro e insieme in Dio il solo che può aprire orizzonti quando tutto sembra costringere a lasciare la partita.
Ma una pagina come quella di oggi ci obbliga a pensare anche a chi non ce l’ha fatta a portare avanti l’avventura di un matrimonio e ha deciso per una separazione o anche per il divorzio. Il Signore, come ci ricordava in una sua lettera il nostro Arcivescovo, è vicino a chi ha il cuore ferito. Le ferite, in queste situazioni, sono amare, profonde, difficilmente risanabili anche perché non è sempre vero che la colpa, se così si può definire, sta equamente da tutte e due le parti. E così non è sempre deprecabile chi fa seguire un nuovo rapporto al matrimonio ormai in frantumi dandogli magari una forma stabile. Sbaglia chi, magari anche nella Chiesa, interpreta questa pagina come una condanna e un giudizio: Gesù si è sempre astenuto dal farlo e amava lenire con la Misericordia la sofferenza dei cuori e sapeva distinguere sempre fra peccato e peccatore. La Grazia di Dio supera ogni caduta, ogni sbaglio, ogni fallimento e si rivela anche oltre i segni del Sacramento della Riconciliazione e della Comunione eucaristica: l’ascolto della Parola e la Carità, che è il vincolo della perfezione, sono due sorgenti a cui tutti dobbiamo attingere per essere immagine di Cristo. E così, mano nella mano, insieme, ognuno con i propri fallimenti e le proprie croci, ognuno con la sua bellezza di figlio di Dio, siamo chiamati a ricercare e a costruire il Regno dei Cieli.

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