giovedì 21 aprile 2011

omelia per la Messa in coena Domini

Nella notte in cui fu tradito

Non è una notte qualsiasi, questa. Fuori da quella stanza al piano superiore, oltre il recinto del Giardino degli ulivi, ci sono orecchi tesi per ascoltare e accusare, ci sono sguardi che spiano per fraintendere, ci sono piedi agili per correre e portare menzogna e violenza. È la notte che disconosce la Verità, è notte di sangue, è la notte dell’inganno e del complotto. È Giuda, uno dei Dodici, fratello nostro dunque, ideatore o solo strumento del tradimento. Il suo cuore rimane per noi un mistero inaccessibile e su cui non possiamo sentenziare. Chissà, forse si è sentito tradire da quel Maestro che lui credeva Messia e che ancora non aveva dato prova della sua forza. Con quella mossa voleva provocare, stare a vedere se alla violenza cieca Gesù si sarebbe opposto dimostrando ciò che realmente poteva. Pietro, anche lui non trova il coraggio di essere discepolo. E a quel fuoco acceso dai servi dice di non conoscere il suo Maestro. Forse è vero: non lo riconosce più. Anche lui si sente tradito nei suoi sogni di rivoluzionario, di discepolo di un Signore che finalmente avrebbe portato un nuovo ordine al potere e che ora si lascia stringere in catene. Anche la gente che lo ha venduto in nome di un falso ideale tradisce, gente che smarrisce i tratti di popolo per diventare branco feroce, folla che azzanna, senza memoria, perché preferisce consumare qui e ora la partita del riscatto. E Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese il Pane, lo spezzò, lo diede ai suoi e lega qui la sua presenza … nell’abisso del Male è amore che si spezza e si consegna perché per dire a qualcuno che gli vuoi bene sul serio, alla fine, il modo migliore è tacere e consegnarsi.

Prese il vino del calice, lo diede ai suoi e fa di questo il suo sangue che riconcilia. Mentre l’uomo barcolla nelle tenebre, ama assecondare il peccato, lo sbaglio, la morte lui si fa perdono offerto in modo incondizionato, si fa abbraccio che segna il passo della nuova Alleanza in cui ti riscopri figlio amato.

Questa è la rivelazione di Dio. Non c’è nulla di più da aggiungere. Il nostro non è il Dio del giudizio tremendo e implacabile, non il Dio feroce e guerriero, non il Dio che dispensa una giustizia troppo umana. È il Dio arreso e ritratto a far spazio alla sua creatura, il Dio che si fa servo, il Dio che si offre e non chiede nulla, a braccia spalancate ama ed è persuaso che solo l’amore attrae, avvince, cambia i tratti dell’amato e gli restituisce una dignità di creatura. È il Dio che scopre Giona, ostinato a non distruggere ma a dare fiducia, a schiodare dalla colpa, ad aprire sempre una strada nuova. Non c’è abisso così profondo che lui non possa raggiungere e in cui non possa riscattare l’uomo. È il Dio che Paolo annuncia alla sua comunità dove la preoccupazione per gli ultimi e i piccoli è segno di coerenza di fede, è segno evidente di un amore che si spreca anche per chi non lo merita o ai nostri occhi appare del tutto sconfitto.

E noi Chiesa questa notte ascoltiamo queste parole che scavalcano nel rito l’abisso del tempo e fanno presente qui e ora il Signore Gesù. Non possiamo farne a meno, rappresentano quel bagaglio che non possiamo smarrire e sono il marchio di fabbrica a cui ispirarci in ogni momento.

È la notte anche dei nostri tradimenti. Ammettiamo questa sera che abbiamo tradito il Signore. Noi comunità a corto di speranza in questo quartiere, chiusi nei vecchi moduli, che professiamo nella fede la Risurrezione e poi anneghiamo nel buio del quotidiano. Che ci diciamo figli dello stesso Padre e siamo restii a salutarci a vicenda, alziamo muri impenetrabili fra gruppi e fra generazioni anche se facciamo la comunione tutte le domeniche, non sappiamo porre segni profetici o crediamo di risolvere tutto in un attivismo faccendiero che di carità ha solo una facciata perché è una partita giocata troppo spesso in solitario e mai come primavera comunitaria.

È la notte del tradimento della Chiesa così ancorata a difendere l’esistente da non accorgersi più delle sfide che l’attendono al servizio dell’uomo, una Chiesa che vive di rigurgiti di tradizionalismo che dà risposte vecchie a problemi sempre nuovi. Una Chiesa sempre tentata di assecondare il potere dei forti come se non avesse più un Vangelo che grida Giustizia per tutti gli oppressi.

Ma c’è comunque un Vangelo che non possiamo tacere: Gesù si spezza per noi, non si stanca di mettersi così al centro e di ripeterci che noi valiamo la sua stessa vita. E così possiamo ricominciare daccapo. Stasera tutto è azzerato…arriviamo qui con il fiato grosso, l’Eucarestia ci rivela ciò che siamo anche nelle nostre zone d’ombra ma non chiude il gioco. Rimette la palla al centro e si dà via ad una nuova partita.

La nostra comunità è chiamata a rimparare alla scuola dell’Eucaristia, a lasciarsi definire da ciò che celebra.

Cristo come cuore, centro di tutto: è il principio contemplativo. Cosa significa che l’Eucarestia è la fonte e il culmine per la nostra vita e il nostro stile di comunità, l’ispirazione di ogni gesto che poniamo? Non dobbiamo mai stancarci di restare a bocca aperta di fronte al Signore e dimorare nel suo amore.

Una nuova trama per la nostra vita: l’Eucarestia al centro ci invita a spezzarci, a sprecare tutto di noi. Fare questo in memoria sua vuol dire esondare dai recinti sacri e vivere il quotidiano come piccoli che amano occupare l’ultimo posto e perdendosi danno sapore al mondo; significa accogliere e abbattere le barriere, servire come ridare dignità a ciò che è perduto.

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