sabato 19 novembre 2011

2 domenica di Avvento - i Figli del Regno

Il tempo dell’Avvento e la sua doppia prospettiva

1 Non una patetica nostalgia del passato, ma un’immersione là dove le nostre radici affondano, nel Mistero cioè di un Dio che si fa carne, che un giorno ha violato quel confine fino ad allora invalicabile fra noi e Lui, che ha trasgredito ogni regola che impone distanza e rigida differenza e si è fatto come noi per vivere sulla sua pelle la vocazione di essere uomo, e diventare in tutto come noi e poi per prenderci per mano e per condurci in alto, per dirci che noi non siamo destinati a brancolare nella nostra pochezza ma il nostro destino è l’eternità e una vita che ha senso solo se vissuta nel segno dell’amore e che trova il coraggio di spezzarsi per l’altro. 2 ma questi giorni risvegliano in noi il desiderio dell’eterno, di andare incontro a questo Signore che, come è venuto e viene ogni giorno in mezzo a noi, tornerà e tirerà i cardini della storia con Giustizia e Misericordia: e allora sarà festa perché darà al suo Regno, la cui presenza scorre al momento nelle vene della nostra storia, al di sotto della cronaca apparentemente sfilacciata dei nostri giorni, i connotati della stabilità e dell’evidenza. Questo tempo riscatta il nostro presente e lo libera da ogni ripiegamento e dalle strettoie e ci ridona la speranza.

I figli del Regno

Nel percorso che il lezionario ambrosiano ci offre oggi sostiamo sul tema dei figli del Regno, in profonda connessione con il tema di domenica scorsa, con l’annuncio cioè del ritorno del Signore. Oggi ci viene messo fra le mani l’identikit di chi è il credente che attende la venuta del Signore; è come se aprissimo la carta d’identità dei figli di Dio che non hanno smesso di sperare nel ritorno di Gesù e ogni giorno vivono la speranza buona del Regno e che sono, appunto, figli del Regno.

La Parola che abbiamo ascoltato non ci fa rincorrere un insieme di moniti moralistici, come se ci venisse detto solo come dobbiamo comportarci. Il cristianesimo è molto di più: sempre, ai temi della morale, precede la dimensione spirituale, la certezza che Dio ci ha amato per primo, che c’è un dono di Grazia che anticipa anche la nostra decisione di accogliere il Vangelo. La prima azione per la nostra fede è una non azione, uno stare per accogliere un annuncio nuovo per la nostra esistenza. E solo dopo aver scoperto che il Signore ci ha visitato e ha fatto grandi cose in noi, che ha colmato il nostro bisogno di felicità con la sua presenza, che è perdono, misericordia, che trasforma le nostre ferite in feritoie di luce, che abita la nostra debolezza per renderla strumento della sua Potenza, noi possiamo affinare il nostro agire. Allora il primo dato sulla nostra ipotetica carta d’identità potrebbe dire pressappoco così: Figlio del Regno? Un incallito estatico! Uno che è vaso di creta ma con un tesoro prezioso che non è a sua disposizione ma che lo abita e lo trasforma di giorno in giorno.

E poi, in ordine sparso, con la pretesa di offrire niente di più che qualche suggestione, mi piace sottolineare che figli del Regno sono quelli che hanno fatto della vocazione profetica il ciglio fiero della loro vita…come Isaia, come Paolo, come il Battista. I credenti non possiedono ma sono posseduti da una Parola che non può essere taciuta, che ci rende paradossali: quando tutto sembra andare bene il profeta indica la piaga e chiede che sia guarita; quando l’inverno invece lo circonda, quando sembra si sia spenta ogni speranza, il profeta sa dare coraggio, sa indicare i germogli che già corrugano il ramo. Se siamo figli del Regno dobbiamo stare nella città ma a volte anche di fronte ad essa  con uno sguardo critico, con l’intelligenza di chi sa appunto leggere dentro alle situazioni e all’occorrenza parla o tace…perché anche certi silenzi sono molto eloquenti!

Ancora, figli del Regno sono quelli che si sentono in un costante cammino di conversione, che sanno di non essere mai arrivati, che si sentono sempre sproporzionati rispetto al Vangelo e, con estrema docilità, si lasciano correggere. Sanno che Dio sa suscitare anche dalle pietre figli di Abramo e proprio per questo mettono il loro cuore indurito come pietra, perché il tempo che scorre rischia di indurire anche i sogni più accesi, nelle mani abili di un Signore che fa sgorgare fiumi dalle rocce. E, quello che accade a loro è vero per ogni uomo: i figli del Regno guardano con estrema tenerezza le persone che li circondano, in modo particolare i piccoli e i semplici, tutti quelli che faticano a vivere in coerenza, e non sono mai arrabbiati con nessuno. Dio è all’opera nella storia proprio per raccogliere sotto le sue ali, nella tenerezza della sua mano ogni creatura.

Infine, i figli del Regno sono persone che percorrono il sentiero di umiltà che il Battista indica, la via della piccolezza, di quella presunzione ostinata che Dio non ci salva per merito ma per Grazia per cui si smette di voler contare agli occhi degli uomini, per rendere conto personalmente a lui e a chiunque chiede conto della loro speranza.          

domenica 6 novembre 2011

Cristo re dell'universo

Il contesto in cui nacque questa festa…

Era l’epoca dei totalitarismi: uomini dotati di grande carisma, di indubbia capacità demagogica e forti di quello che oggi definiamo populismo, che altro non è che la delega su tutto a uno solo da parte delle masse, stringevano fra le mani le sorti della storia. Il loro era un potere in apparenza destinato a non tramontare, sorretti dall’ideologia di questo o quel colore politico, affermato con la violenza quando occorreva. Contrapposta stava la sapienza di un Papa che proprio non sospese mai il suo giudizio e mai si tirò indietro nell’esprimere la sua critica, Pio XI,  e con lui della Chiesa. Forse sembrava azzardato, controcorrente, sicuramente imbarazzante ma, proprio perché la speranza va annunciata contro ogni speranza, era necessario dire che Cristo era l’unico vero re con tutta la sua paradossalità fatta di vita che si fa servizio, amore che si spende per tutti gli ultimi della terra fino a scegliere di nascondersi fra di loro, di gioia raccolta nella povertà, di beatitudine vissuta nella quotidianità, di denuncia fino a pagare con la morte di ogni ingiustizia che ferisce la dignità dell’uomo. A distanza di anni da quell’epoca così tragica possiamo solo riconoscere il valore profetico di un’intuizione che si è fatto insegnamento nella scuola popolare che è la Liturgia.

…e la sua attualità

Di tempo ne è passato molto, siamo in uno scorcio di storia dove, per tanti motivi culturali, è difficile pensare che possano riaffermarsi quei totalitarismi ma credo sia terribilmente attuale dire la scomoda verità di Cristo contro quei poteri definiti forti, come una certa politica o economia, oppure occulti, nascosti come la criminalità e la mafia, che ancora si oppongono come sistema all’uomo e alla sua vocazione ad essere felice, libero, appagato, aperto al futuro e perciò anche al Dio della vita. Celebrare Cristo re è occasione per salire all’opposizione e gridare che non è giusta un’economia che affama oltre i 3/4 dell’umanità; i credenti devono dire qualcosa contro chi difende allo stremo un modello capitalistico basato sul consumismo per cui essere coincide con l’apparire; che sono sacrosanti i diritti di chi pretende una vita dignitosa per un lavoro, una casa, per progettare il futuro; bisogna denunciare nel nome del Vangelo che una politica che ha perso di mira il servizio del bene comune e continua a raggomitolarsi per difendere i propri privilegi sta affondando le speranze di tanti uomini e donne di buona volontà; dobbiamo spaccare il muro di diffidenza e di indifferenza e riappropriarci del nostro dovere e diritto di educare i nostri giovani soprattutto quelli più fragili che qui, proprio nel nostro quartiere, sono vittime della droga che li fa schiavi, brucia a poco a poco i loro sogni e li rende ostaggio della malavita. È altamente pericoloso celebrare questa festa…ci chiede uno sforzo di coerenza non indifferente!

Gli spunti che ci offrono le letture

Un Dio che è Signore ma non si lascia imprigionare dagli schemi del Tempio, nella rigidità delle leggi del culto. Lui preferisce stare in mezzo alla sua gente, abitare accanto al povero come un povero e un pellegrino che sta sotto una tenda. Questo re non si lascia imbrigliare negli stereotipi o nei moduli già mille volte battuti; non si lascia adulare facilmente o tirare dalla parte di chi ha interessi da difendere. È estremamente libero. E poi vuole profumare di popolo, piangere le lacrime della sua gente, sorridere per la loro gioia, lottare sempre dalla lor parte sia quando c’è da denunciare il male sia quando c’è da sostenere come una pianticella smorta la speranza.

Un Dio che ha un regno altro di cui noi siamo fatti cittadini. Se ti sai di questo Dio, di più, se te ne innamori alla follia, non puoi che fare tue le sue scelte e la sua prospettiva.  Viene alla mente quella pagina della lettera a Diogneto in cui si dice che “i cristiani non si differenziano dal resto degli uomini né per territorio, né per lingua, né per consuetudini di vita. Infatti non abitano città particolari, né usano di un qualche strano linguaggio, né conducono uno speciale genere di vita…Abitano in città sia greche che barbare, come capita, e pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile. Abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è patria per loro, mentre ogni patria è per essi terra straniera…Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, sono superiori alle leggi…In una parola i cristiani sono nel mondo quello che è l'anima nel corpo.”

Un re che è verità che si contrappone a tutto ciò che è menzogna in uno scorcio in cui le tenebre stanno avendo il sopravvento, in cui la menzogna si è impadronita della storia. Cosa significa avere una verità: credo sia non smarrire la strada che Gesù ha tracciato, non svenderla, costi quel che costi, la certezza cioè che la vita ha valore solo se donata, spesa per il bene di un altro, solo se vissuta  a mani aperte senza trattenere nulla per sé!   

martedì 1 novembre 2011

solennità di tutti i Santi


“È il 14 luglio. Tutti si apprestano a danzare. Dappertutto il mondo, dopo anni dopo mesi, danza. Ondate di guerra, ondate di ballo. C'è proprio molto rumore. la gente seria è a letto. I religiosi dicono il mattutino di sant'Enrico, re. ed io, penso All'altro re. Al re David che danzava davanti all'Arca. Perché se ci sono molti santi che non amano danzare, ce ne sono molti altri che hanno avuto bisogno di danzare, tanto erano felici di vivere: Santa Teresa con le sue nacchere, San Giovanni della Croce con un Bambino Gesù tra le braccia, e san Francesco, davanti al papa. Se noi fossimo contenti di te, Signore, Non potremmo resistere a questo bisogno di danzare che irrompe nel mondo, E indovineremmo facilmente Quale danza ti piace farci danzare Facendo i passi che la tua Provvidenza ha segnato. Perché io penso che tu forse ne abbia abbastanza Della gente che, sempre, parla di servirti col piglio da condottiero, Di conoscerti con aria da professore, Di raggiungerti con regole sportive, Di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato. Un giorno in cui avevi un po' voglia d'altro Hai inventato san Francesco, E ne hai fatto il tuo giullare. Lascia che noi inventiamo qualcosa per essere gente allegra che danza la propria vita con te.” Madeleine Delbrel
Mi sembra che questo scritto ci offra l’approccio corretto per vivere questa festa. Proviamo ad accendere uno sguardo contemplativo: noi ora siamo in comunione con i santi…liberiamo la nostra gioia!
Lasciamoci rapire dal fascino della santità: perché anch’io voglio riscattare la mia vita dalla banalità, voglio essere qui e ora un prolungamento vivo del Signore Gesù, segnare con i miei passi questa storia in questo angolo di mondo che mi è chiesto di abitare
Lasciamoci prendere per mano dalla danza e lasciamoci attrarre dalla logica del Vangelo

In questa chiave allora vorrei sottolineare qua e là qualche aspetto delle letture ascoltate chiedendoci sempre chi è il santo.

Uno che porta impresso sulla fronte un sigillo di appartenenza: il santo è uno che sta a fronte alta nelle vicende della vita; perché teme Dio è un temerario, non ha timore di nulla e di nessuno, nemmeno di mettere in gioco la sua vita se il rischio è di perdere la logica del Vangelo e della carità. È uno che appartiene al Signore e per questo appartiene al mondo, in particolare si sente per i poveri della terra in mezzo ai quali il suo Signore ha deciso di abitare e anche per loro tiene alta la fronte, forte la denuncia, contro tutto ciò e contro chiunque schiaccia la loro dignità.

Uno che conta sull’amore di Cristo sapendo che nulla potrà mai separarlo. La santità non è opera nostra ma il lavoro nascosto, a tratti lento e a tratti accelerato, della Grazia in noi. È Gesù che non vuole smarrirci, che ci ha stretto un giorno la mano e ci ha dichiarate tutto il suo amore il ché significa per lui fedeltà alla nostra storia costi quel che costi. Proviamo a pensare alla nostra vita e ci sorprenderemo di scoprire come in molti tratti del nostro cammino se lui non ci fosse stato ci saremmo perduti, non avremmo avuto la forza necessaria per affrontare tanti guadi, non avremmo avuto il coraggio di compiere determinate scelte. La santità è giocare la nostra partita scommettendo sempre su di lui: si diventa allora più semplici, più liberi, più agili.

Uno che si lascia invitare da Cristo alla danza di una vita diversa, lascia che la sua vita abbia il profumo della beatitudine.  Quando leggiamo il brano delle beatitudini dovremmo evitare il rischio di usare una chiave moralistica, evitare cioè di sentirlo come un invito a impegnarci a vivere così! Non ce la faremmo mai! Quando Gesù parla dei beati parla di sé, è come se ci mostrasse la sua carta d’identità. E poi ci dichiara il suo piano rivoluzionario, ci dice che cosa accade quando lo accogli nella tua vita, che cosa fa lo Spirito in noi quando lo lasciamo lavorare. Un esempio per tutti: Beati i poveri in spirito. Gesù è il povero, non ha nulla se non quel pane quotidiano che il Padre ci dona, il necessario per non smarrire la propria dignità: questa non è una logica di pura privazione, non è amore alla povertà in quanto tale ma la convinzione che il di più farebbe smarrire questo rapporto filiale con Dio: Dio solo basta, il resto rischia di entrare con prepotenza nel cuore  e di fare da controaltare a Dio. La povertà di spirito è una dichiarazione di dipendenza da Dio, è dire che Dio solo basta per essere felici! E lui vuole che noi scopriamo il bello, la gioia, la beatitudine appunto di essere così. Così non si diventa per forza ma per la forza dell’amore che attrae e modella e cambia i connotati più profondi della nostra vita! La mancanza di povertà in noi, nella Chiesa, è un termometro che dice la fede: ecco perché fa così scandalo vedere una Chiesa ricca, opulenta, appesantita e quasi soffocate da troppi segni esteriori.

Facci vivere la nostra vita, Non come un gioco di scacchi dove tutto è calcolato, Non come una partita dove tutto è difficile, Non come un teorema che ci rompa il capo, Ma come una festa senza fine dove il tuo incontro si rinnovella, Come un ballo, Come una danza, Fra le braccia della tua grazia, Nella musica che riempie l’universo d’amore. Signore, vieni ad invitarci.