martedì 1 novembre 2011

solennità di tutti i Santi


“È il 14 luglio. Tutti si apprestano a danzare. Dappertutto il mondo, dopo anni dopo mesi, danza. Ondate di guerra, ondate di ballo. C'è proprio molto rumore. la gente seria è a letto. I religiosi dicono il mattutino di sant'Enrico, re. ed io, penso All'altro re. Al re David che danzava davanti all'Arca. Perché se ci sono molti santi che non amano danzare, ce ne sono molti altri che hanno avuto bisogno di danzare, tanto erano felici di vivere: Santa Teresa con le sue nacchere, San Giovanni della Croce con un Bambino Gesù tra le braccia, e san Francesco, davanti al papa. Se noi fossimo contenti di te, Signore, Non potremmo resistere a questo bisogno di danzare che irrompe nel mondo, E indovineremmo facilmente Quale danza ti piace farci danzare Facendo i passi che la tua Provvidenza ha segnato. Perché io penso che tu forse ne abbia abbastanza Della gente che, sempre, parla di servirti col piglio da condottiero, Di conoscerti con aria da professore, Di raggiungerti con regole sportive, Di amarti come si ama in un matrimonio invecchiato. Un giorno in cui avevi un po' voglia d'altro Hai inventato san Francesco, E ne hai fatto il tuo giullare. Lascia che noi inventiamo qualcosa per essere gente allegra che danza la propria vita con te.” Madeleine Delbrel
Mi sembra che questo scritto ci offra l’approccio corretto per vivere questa festa. Proviamo ad accendere uno sguardo contemplativo: noi ora siamo in comunione con i santi…liberiamo la nostra gioia!
Lasciamoci rapire dal fascino della santità: perché anch’io voglio riscattare la mia vita dalla banalità, voglio essere qui e ora un prolungamento vivo del Signore Gesù, segnare con i miei passi questa storia in questo angolo di mondo che mi è chiesto di abitare
Lasciamoci prendere per mano dalla danza e lasciamoci attrarre dalla logica del Vangelo

In questa chiave allora vorrei sottolineare qua e là qualche aspetto delle letture ascoltate chiedendoci sempre chi è il santo.

Uno che porta impresso sulla fronte un sigillo di appartenenza: il santo è uno che sta a fronte alta nelle vicende della vita; perché teme Dio è un temerario, non ha timore di nulla e di nessuno, nemmeno di mettere in gioco la sua vita se il rischio è di perdere la logica del Vangelo e della carità. È uno che appartiene al Signore e per questo appartiene al mondo, in particolare si sente per i poveri della terra in mezzo ai quali il suo Signore ha deciso di abitare e anche per loro tiene alta la fronte, forte la denuncia, contro tutto ciò e contro chiunque schiaccia la loro dignità.

Uno che conta sull’amore di Cristo sapendo che nulla potrà mai separarlo. La santità non è opera nostra ma il lavoro nascosto, a tratti lento e a tratti accelerato, della Grazia in noi. È Gesù che non vuole smarrirci, che ci ha stretto un giorno la mano e ci ha dichiarate tutto il suo amore il ché significa per lui fedeltà alla nostra storia costi quel che costi. Proviamo a pensare alla nostra vita e ci sorprenderemo di scoprire come in molti tratti del nostro cammino se lui non ci fosse stato ci saremmo perduti, non avremmo avuto la forza necessaria per affrontare tanti guadi, non avremmo avuto il coraggio di compiere determinate scelte. La santità è giocare la nostra partita scommettendo sempre su di lui: si diventa allora più semplici, più liberi, più agili.

Uno che si lascia invitare da Cristo alla danza di una vita diversa, lascia che la sua vita abbia il profumo della beatitudine.  Quando leggiamo il brano delle beatitudini dovremmo evitare il rischio di usare una chiave moralistica, evitare cioè di sentirlo come un invito a impegnarci a vivere così! Non ce la faremmo mai! Quando Gesù parla dei beati parla di sé, è come se ci mostrasse la sua carta d’identità. E poi ci dichiara il suo piano rivoluzionario, ci dice che cosa accade quando lo accogli nella tua vita, che cosa fa lo Spirito in noi quando lo lasciamo lavorare. Un esempio per tutti: Beati i poveri in spirito. Gesù è il povero, non ha nulla se non quel pane quotidiano che il Padre ci dona, il necessario per non smarrire la propria dignità: questa non è una logica di pura privazione, non è amore alla povertà in quanto tale ma la convinzione che il di più farebbe smarrire questo rapporto filiale con Dio: Dio solo basta, il resto rischia di entrare con prepotenza nel cuore  e di fare da controaltare a Dio. La povertà di spirito è una dichiarazione di dipendenza da Dio, è dire che Dio solo basta per essere felici! E lui vuole che noi scopriamo il bello, la gioia, la beatitudine appunto di essere così. Così non si diventa per forza ma per la forza dell’amore che attrae e modella e cambia i connotati più profondi della nostra vita! La mancanza di povertà in noi, nella Chiesa, è un termometro che dice la fede: ecco perché fa così scandalo vedere una Chiesa ricca, opulenta, appesantita e quasi soffocate da troppi segni esteriori.

Facci vivere la nostra vita, Non come un gioco di scacchi dove tutto è calcolato, Non come una partita dove tutto è difficile, Non come un teorema che ci rompa il capo, Ma come una festa senza fine dove il tuo incontro si rinnovella, Come un ballo, Come una danza, Fra le braccia della tua grazia, Nella musica che riempie l’universo d’amore. Signore, vieni ad invitarci.

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