sabato 21 febbraio 2009

omelia della domenica della penultima settimana dopo l'Epifania - la divina Misericordia


Ormai abbiamo iniziato a prendere dimestichezza con il nuovo Lezionario Ambrosiano e abbiamo colto che uno degli aspetti più caratteristici è quello di proporre dei temi piuttosto che seguire la lettura continua di alcuni libri della Scrittura. E così le due domeniche che precedono l’inizio della Quaresima, proprio per preparare il cuore a questo tempo sacro, mettono al centro il messaggio della Salvezza e del perdono di Dio.
Vorrei, prima di passare al commento del Vangelo ascoltato, dare qualche risonanza al tema anzitutto attraverso un’immagine. Se noi pensiamo al nostro rapporto con Dio come ad una corda ai cui estremi stiamo noi e Lui, il peccato è un taglio che noi diamo a questa amicizia, è staccarci dal suo Amore. Il suo perdono, che ci viene donato nella celebrazione della Messa e soprattutto con il Sacramento della Riconciliazione, è un nodo che noi e Dio stringiamo. Tuttavia, tagliando e annodando continuamente, la corda si accorcia e i due estremi si avvicinano. Ecco, Dio, con il suo perdono, ci avvicina a Lui. A Dio piace perdonarci, sembra sia fra le cose che meglio gli riescano! Lui è Dio perché non conserva il rancore, perché si getta dietro le spalle il nostro male, Lui ci libera dal peccato come gettando un anello in fondo agli abissi dell’oceano più profondo. Quando sperimentiamo il suo amore che arriva a riconciliare le ferite più profonde del nostro cuore su di noi scende la pace e ci culliamo nel suo abbraccio. È anche il messaggio che abbiamo ascoltato nella lettura del profeta Osea. Dio avvicina a sé il suo popolo in un rapporto tutt’altro che lineare fatto di peccati dell’uomo e fedeltà all’Alleanza promessa e mantenuta da Lui.
E ancora vorrei rivolgere a me e a tutti voi una domanda che reputo cruciale: ma noi, al perdono di Dio, crediamo sul serio? Penso infatti che sapremo davvero chi è il Padre, cos’è il suo Amore, cos’è il Vangelo e chi è Gesù che lo annuncia unicamente se avremo per una volta almeno in vita assaporato il suo perdono, se avremo sperimentato la riconciliazione profonda che ci schioda dalle nostre colpe e ci ridona la vita, che ci offre il coraggio di alzare la fronte e camminare a testa alta come figli. Ma a volte, proprio a partire dal fatto che per noi perdonare è difficile, e a stento ci riusciamo - in effetti per noi uomini ricevere e dare il perdono non è mai un punto di partenza ma sempre una meta da raggiungere - ci convinciamo di non essere meritevoli di perdono, ci assale un senso di disistima profonda, arriviamo a dubitare che Dio possa perdonare noi e proprio noi (gli altri magari sì) per quel peccato commesso in quell’occasione e che ci ha come paralizzati. Il Vangelo invece è la certezza che Dio è Padre e ti accoglie a braccia aperte. È la convinzione di valere per lui. E quando incontri un amore così grande non puoi che ricambiare con altrettanto amore.
E infine un’ultima riflessione. Se vuoi sentire il perdono di Dio prima devi sapere di aver sbagliato, devi essere cosciente di avere peccato, di aver tagliato quel filo di amicizia con Lui. Spesso non è raro sentire qualcuno dire, magari anche nel contesto della confessione, in fondo, io che peccati ho fatto! Certo, ripassando il decalogo, scorrendo l’elenco delle cose da non fare che a catechismo ci avevano insegnato fossero peccati, magari non troviamo nulla. Ma il cristiano, che vive nella Legge dell’Amore, sa che non basta non fare certe cose per essere in pace: deve agire, deve essere positivo, deve amare, sempre! È la parola annunciata con tanta forza da Paolo ai Galati che sembravano essere indietreggiati nel cammino della Salvezza e sembravano preferire la Legge alla Grazia. La fede in pienezza non è non oltrepassare i paletti che la Legge pone sul cammino della vita per non compiere il Male. La vera fede è vivere di Cristo, è essere simili a lui in ogni scelta. Il peccato è aver svilito in noi l’immagine del figlio di Dio, è non aver centrato l’obiettivo di vivere a sua immagine. Se è così allora, aprendo il cuore, scopriamo che vi abitano rancori che raggelano e che ci hanno portato a tagliare alcune relazioni; scopriamo che la nostra preghiera è arida ma non perché Dio è assente ma perché non è matura, non è guidata dall’ascolto della Parola; ci accorgiamo di non aver assecondato lo Spirito e di essere rimasti ancorati a noi stessi; sentiamo il peso dei nostri egoismi e i nostri tiepidi slanci di carità. Il senso del peccato - che è diverso dal senso di colpa che è solo sterile, che ci apre all’accogliere il perdono di Dio - nasce e matura nell’ascolto silenzioso della Parola e dal fare nostre, nella fatica del quotidiano, le scelte di Gesù.
E ora vorrei sottolineare con molta semplicità questa pagina di Vangelo che in sé è già molto eloquente invitando ognuno di noi a riprenderla lungo il corso della settimana e, perchè no, magari per prepararci a ricevere il Sacramento della Riconciliazione per entrare pronti in Quaresima.
La Pagina ci offre un dittico affrescato splendidamente. Da una parte il coraggio di questa donna che non ha paura a gettarsi ai piedi di Gesù, a sfidare il pre-giudizio di quei commensali, a chiedere in silenzio, con le lacrime sul volto, il perdono per i suoi peccati. E dall’altra c’è Simone che si ritiene giusto, chiuso in un orgoglioso sentimento di autosufficienza, che oltretutto si scandalizza di come Gesù si lasci toccare da quella peccatrice senza opporre rifiuto.
Penso che l’azzardo di questa donna non trovi commento migliore se non nelle parole di Gesù. Lei ama e per questo le sono perdonati i suoi peccati. E perché le sono perdonati i peccati ama ancora di più. Ha capito meglio di tutti chi è Dio e cos’è la Fede.
E noi non dobbiamo avere paura di tentare lo stesso suo azzardo. Dall’altra parte c’è un Messia buono che è pronto a spalancare le sue braccia e farci sentire, per quello che siamo e non per quello che dovremmo essere, figli amati, raccolti anche nel luogo più impervio in cui siamo caduti.

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