L’annuncio del vangelo alle genti, l’accoglienza di nuovi popoli nella Chiesa. Mi colpisce il tema di questa domenica sospesa fra un mandato missionario ricevuto settimana scorsa e la prossima festa di Cristo Re in cui sottolineeremo il primato di Gesù sulla storia e sul mondo. Allargare sempre i paletti della propria tenda per fare spazio all’altro è una tensione costitutiva della comunità credente. Anche se sembra di perdere, di svilire la propria natura o smarrire la propria identità, non c’è mai un momento in cui la Chiesa possa chiudersi, rintanarsi, mettere le sbarre alle finestre per non vedere oltre il proprio confine rassicurante o tirare su il muretto della propria recinzione così da impedire a chi vuole di accedervi; la storia del Maestro deve essere anche la nostra sotto la guida creativa dello Spirito: lui è stato mandato non solo per le pecore della casa d’Israele, non si accontentava di piantare i paletti della sua tenda in una città, ma aveva l’esigenza quasi randagia di raggiungere sempre posti nuovi, di aggiungere alla lista dei propri amici sempre volti e storie inediti. Penso che basti solo questo per obbligarci a sederci e ripensare a certe nostre prassi, a certi nostri progetti, anche alle nostre liturgie. Oltre noi c’è una terra deserta assetata di senso, di speranza, di Vangelo e chi renderà questo servizio alla nostra città, ai nostri giovani, alle nostre famiglie se non noi? forse tante forze gestite per supportare l’esistente dovrebbero essere invece dirottate sul fare spazio agli altri, senza timore, perché è in questa direzione che soffia lo Spirito che rende sempre giovane la sua Chiesa. e a queste nuove genti bisogna offrire non lo scarto, gli scampoli della nostra vita comune, quasi come un assistenzialismo sterile! Il Signore ci chiede di aprire la casa e condividere un banchetto preparato da lui che è il migliore in assoluto. La bellezza e l’abbondanza del dono dicono all’altro che è benvenuto e prezioso per noi.
Vorrei ora addentrarmi nella Parola del vangelo ascoltata per sottolineare solo qualche passaggio.
C’è una festa, c’è un banchetto che è stato preparato ma gli invitati della prima ora non vogliono andare. L’invito si allarga allora ad altri – obbligatorio tuttavia l’abito delle grandi occasioni! – che occupano la sala, si siedono, fanno comunione con il Signore. Chi ascoltava Gesù aveva ben presente la forza del rimprovero sotteso a questo racconto. Il banchetto dell’era messianica lì, in quel momento, era stato preparato davanti a Israele eppure è stato più forte il pregiudizio, il timore di prendervi parte, il sospetto, la ristrettezza mentale e la sclerotizzazione del cuore. Ora altre genti vi prenderanno parte.
Noi che ascoltiamo dopo tanto tempo questa pagina penso che possiamo assumere due punti prospettici differenti.
1 la gratitudine. Noi siamo quella gente che è stata invitata in un secondo tempo al banchetto. Dio ci ha aperto una possibilità che non immaginavamo. Noi possiamo sedere alla sua mensa, prendere parte alla sua vita, fare della sua vita la nostra dopo che lui ha deciso di prendere sulle sue spalle il peso dei nostri giorni. Noi non siamo Israele e siamo stati innestati nella sua storia e nella sua Promessa. E questa gratitudine diventa responsabilità perché la corsa del vangelo non si fermi fra noi ma possa proseguire sulle nostre strade e per il futuro almeno imminente.
2 la vigilanza. È anche vero però che noi possiamo metterci al posto degli invitati della prima ora. Dobbiamo vigilare per rispondere alla chiamata che Dio sempre ci rivolge A Dio noi possiamo voltare le spalle in qualsiasi momento della nostra giornata, essere altrove mentre ci chiede di essere da qualche altra parte con lui, possiamo rimanere chiusi nei nostri schemi mentre ci chiede un’apertura mentale sempre nuova, possiamo non fare la sua volontà magari credendo di obbedirgli, possiamo sistematicamente portare avanti i nostri progetti senza metterci al servizio del Regno: non chiunque mi dice Signore, Signore entrerà nel Regno ma chi fa la volontà del Padre mio!
E infine mi colpisce un altro aspetto di questa pagina, un perché che nasce in me come una domanda inquietante ascoltando il rifiuto di quei primi invitati. Per loro era stata preparata una festa, un appuntamento che dice pienezza di vita e gioia e perchè voltano le spalle, si escludono? Mi viene alla mente il no di tante persone a tante iniziative delle nostre comunità, la distanza che alcuni giovani pongono con la Chiesa, il distacco di molti quando avvertono le esigenze del vangelo che non sono mai senza una promessa di felicità. Forse si rintana sotto la paura antica come quel giardino di Eden di perdersi, di non ritrovare più se stessi, si inizia a vedere Dio come un avversario, come un antagonista della propria realizzazione. Anche su questo dobbiamo noi per primi vigilare per non restare vittime delle nostre paure. Ma è vero anche che, di fronte al rifiuto, di fronte all’indifferenza di qualcuno su cui avremmo investito molto dobbiamo fare proprio come Gesù: allargare la prospettiva e metterci sulle strade a cercare sempre nuovi fratelli da invitare. La sala forse non si riempirà dei migliori secondo la logica di questo mondo, ci troveremo compagni di molti poveri, ma è proprio questo lo scandalo del Vangelo, forza che divampa nel mondo con strumenti deboli.