sabato 30 ottobre 2010

II domenica dopo la Dedicazione

L’annuncio del vangelo alle genti, l’accoglienza di nuovi popoli nella Chiesa. Mi colpisce il tema di questa domenica sospesa fra un mandato missionario ricevuto settimana scorsa e la prossima festa di Cristo Re in cui sottolineeremo il primato di Gesù sulla storia e sul mondo. Allargare sempre i paletti della propria tenda per fare spazio all’altro è una tensione costitutiva della comunità credente. Anche se sembra di perdere, di svilire la propria natura o smarrire la propria identità, non c’è mai un momento in cui la Chiesa possa chiudersi, rintanarsi, mettere le sbarre alle finestre per non vedere oltre il proprio confine rassicurante o tirare su il muretto della propria recinzione così da impedire a chi vuole di accedervi; la storia del Maestro deve essere anche la nostra sotto la guida creativa dello Spirito: lui è stato mandato non solo per le pecore della casa d’Israele, non si accontentava di piantare i paletti della sua tenda in una città, ma aveva l’esigenza quasi randagia di raggiungere sempre posti nuovi, di aggiungere alla lista dei propri amici sempre volti e storie inediti. Penso che basti solo questo per obbligarci a sederci e ripensare a certe nostre prassi, a certi nostri progetti, anche alle nostre liturgie. Oltre noi c’è una terra deserta assetata di senso, di speranza, di Vangelo e chi renderà questo servizio alla nostra città, ai nostri giovani, alle nostre famiglie se non noi? forse tante forze gestite per supportare l’esistente dovrebbero essere invece dirottate sul fare spazio agli altri, senza timore, perché è in questa direzione che soffia lo Spirito che rende sempre giovane la sua Chiesa. e a queste nuove genti bisogna offrire non lo scarto, gli scampoli della nostra vita comune, quasi come un assistenzialismo sterile! Il Signore ci chiede di aprire la casa e condividere un banchetto preparato da lui che è il migliore in assoluto. La bellezza e l’abbondanza del dono dicono all’altro che è benvenuto e prezioso per noi.

Vorrei ora addentrarmi nella Parola del vangelo ascoltata per sottolineare solo qualche passaggio.

C’è una festa, c’è un banchetto che è stato preparato ma gli invitati della prima ora non vogliono andare. L’invito si allarga allora ad altri – obbligatorio tuttavia l’abito delle grandi occasioni! – che occupano la sala, si siedono, fanno comunione con il Signore. Chi ascoltava Gesù aveva ben presente la forza del rimprovero sotteso a questo racconto. Il banchetto dell’era messianica lì, in quel momento, era stato preparato davanti a Israele eppure è stato più forte il pregiudizio, il timore di prendervi parte, il sospetto, la ristrettezza mentale e la sclerotizzazione del cuore. Ora altre genti vi prenderanno parte.

Noi che ascoltiamo dopo tanto tempo questa pagina penso che possiamo assumere due punti prospettici differenti.

1 la gratitudine. Noi siamo quella gente che è stata invitata in un secondo tempo al banchetto. Dio ci ha aperto una possibilità che non immaginavamo. Noi possiamo sedere alla sua mensa, prendere parte alla sua vita, fare della sua vita la nostra dopo che lui ha deciso di prendere sulle sue spalle il peso dei nostri giorni. Noi non siamo Israele e siamo stati innestati nella sua storia e nella sua Promessa. E questa gratitudine diventa responsabilità perché la corsa del vangelo non si fermi fra noi ma possa proseguire sulle nostre strade e per il futuro almeno imminente.

2 la vigilanza. È anche vero però che noi possiamo metterci al posto degli invitati della prima ora. Dobbiamo vigilare per rispondere alla chiamata che Dio sempre ci rivolge A Dio noi possiamo voltare le spalle in qualsiasi momento della nostra giornata, essere altrove mentre ci chiede di essere da qualche altra parte con lui, possiamo rimanere chiusi nei nostri schemi mentre ci chiede un’apertura mentale sempre nuova, possiamo non fare la sua volontà magari credendo di obbedirgli, possiamo sistematicamente portare avanti i nostri progetti senza metterci al servizio del Regno: non chiunque mi dice Signore, Signore entrerà nel Regno ma chi fa la volontà del Padre mio!

E infine mi colpisce un altro aspetto di questa pagina, un perché che nasce in me come una domanda inquietante ascoltando il rifiuto di quei primi invitati. Per loro era stata preparata una festa, un appuntamento che dice pienezza di vita e gioia e perchè voltano le spalle, si escludono? Mi viene alla mente il no di tante persone a tante iniziative delle nostre comunità, la distanza che alcuni giovani pongono con la Chiesa, il distacco di molti quando avvertono le esigenze del vangelo che non sono mai senza una promessa di felicità. Forse si rintana sotto la paura antica come quel giardino di Eden di perdersi, di non ritrovare più se stessi, si inizia a vedere Dio come un avversario, come un antagonista della propria realizzazione. Anche su questo dobbiamo noi per primi vigilare per non restare vittime delle nostre paure. Ma è vero anche che, di fronte al rifiuto, di fronte all’indifferenza di qualcuno su cui avremmo investito molto dobbiamo fare proprio come Gesù: allargare la prospettiva e metterci sulle strade a cercare sempre nuovi fratelli da invitare. La sala forse non si riempirà dei migliori secondo la logica di questo mondo, ci troveremo compagni di molti poveri, ma è proprio questo lo scandalo del Vangelo, forza che divampa nel mondo con strumenti deboli.

domenica 24 ottobre 2010

domenica I dopo la Dedicazione, del mandato missionario

Il percorso di queste domeniche dopo Pentecoste: abbiamo ascoltato le pagine più importanti della storia della salvezza il cui centro è Gesù: tutto prende forma in lui, senso pieno……Gesù che chiama attorno a sé la sua Chiesa e la invia fino alla fine dei tempi in cui tutto sarà preso fra le braccia del Padre. Vorrei soffermarmi già da ora su alcune conseguenze, 2 in particolare per la nostra vita:1 La storia della salvezza prosegue nell’oggi, noi ne siamo i protagonisti. Nei nostri sì, nelle nostre scelte, nel nostro dolore portato avanti con dignità e coraggi, nell’obbedienza al quotidiano e alla scelta di vivere a immagine di Cristo noi stiamo costruendo un angolo di regno di Dio. Non sottovalutiamo se non ha clamore, le cose più importanti sono invisibili agli occhi e scorrono nelle vene della storia. 2 Non esiste Chiesa se non in una dinamica missionaria. Non si può trattenere per sé la buona notizia. Se hai incontrato la verità, la gioia che fa danzare e palpitare il cuore la devi raccontare non la puoi trattenere, devi farti portale d’accesso per la fede di qualcun altro. A credere si arriva così, per la testimonianza buona di un fratello più grande che si è lasciato rapire dalla forza della Parola e si è lasciato mettere in gioco totalmente. Il termometro della nostra fede, delle nostre liturgie, della carità cioè della nostra capacità di amare i poveri e metterli al centro, della nostra speranza, del nostro saper testimoniare uno stile di vita alternativo sta nella forza di accogliere fra noi sempre nuovi fratelli, di saper trasmettere il buon bagaglio della fede, interessarci delle terre lontane che desiderano il vangelo come una pioggia per il deserto.

Le letture di oggi sono un prontuario per la comunità che vuole vivere la missione.1 per andare, per salpare al largo ci vuole una comunità alla maniera del racconto di Atti: i diversi vivono la comunione attorno alla presenza del Risorto e stanno in ascolto della voce dello Spirito. Queste sono le radici utili, necessarie per avere i frutti di evangelizzazione. La missione non è l’iniziativa di alcuni, il gioco in solitaria di pochi appassionati del tema. Tutta la comunità è missionaria, testimonia al mondo la bellezza dell’amore alternativo secondo il Vangelo, suscita simpatia attorno a sé e poi sceglie alcuni che possano partire. Questa è la cosa necessaria anche oggi per la missione della Chiesa. tutti siamo chiamati ad amarci, quasi a chiuderci per poi aprirci, e dare sostegno a chi fra noi è più esposto. 2 la missione alle genti di Paolo, verso chi di principio si pensava non potesse essere accolto nella storia della Salvezza. Paolo ribalta ogni pregiudizio. La Chiesa di oggi è chiamata a scommettere proprio sulle persone apparentemente più lontane, quelle su cui non faremmo mai nessun investimento. Anch3 accanto a noi, case, strade, posti di lavoro e di vita c’è gente che attende il vangelo! Dalla roccia durissima il Signore sa far scaturire le sorgenti d’acqua più fresche. Non è tempo perso perdere tempo con i giovani sul muretto delle nostre piazze, fermarsi a raccontare la speranza che è in noi con chi ci interroga, con i figli che sembrano aver cambiato direzione. E se non noi altri raccoglieranno i frutti della nostra semina i figli delle lacrime non andranno mai perduti 3 Gesù chiama i suoi sul Monte. Per esser missionari si deve stare prima con Gesù e conoscerlo, amarlo, sentire nel cuore la sua presenza di Signore risorto: la nostra fede non è un’ideologia ma un incontro con chi ti ha amato da sempre. alcuni dubitavano. Per andare in missione non serve una fede granitica. I dubbi si scioglieranno lungo la strada. Il dubbio ti mette dalla parte di chi ascolta il vangelo e sta nel buio. Io sono con voi. È Gesù che agisce. Noi non lo portiamo da nessuna parte. È lui che ci porta. Noi non annunciamo la Parola: è lei che annuncia che la nostra vita è più bella se palpita in essa il segreto del Crocifisso-Risorto. Noi siamo poveri strumenti, comunque necessari perché Dio ha voluto così Grazie a chi vive ogni giorno la sua missione ed è speranza per tutti noi e per il mondo.

sabato 9 ottobre 2010

VI dopo il martirio - festa dell'oratorio ss. Nazaro e Celso

La Chiesa nasce dalla condivisione di un sogno. Quando Gesù chiamava attorno a sé donne e uomini che stessero con lui e annunciassero al mondo la sua Parola, quando cioè dava forma con le sue mani alla comunità, voleva che fosse segno del Regno, un angolo di Paradiso tratteggiato sulla terra. La Parola di queste domeniche, che ci conducono alla festa della Dedicazione della Chiesa Cattedrale, ci fanno proprio riprendere fra le mani i disegni originari di questa casa, sono abbozzi consegnati alla creatività dello Spirito in noi e al nostro impegno perché la nostra comunità sia ordinata, ben orientata, aperta, luminosa. Ogni sillaba pronunciata è espressione di quel sogno e noi siamo chiamati oggi ad abbandonare ogni pessimismo, ogni sfiducia, e a dare a quel sogno di Chiesa le ali della speranza e del nostro amore.

La cifra sintetica attorno a cui possiamo raccogliere le indicazioni di questa domenica è l’accoglienza

Vorrei con voi non leggerla anzitutto in chiave moralistica, come un dovere, un imperativo da mettere subito in pratica. Proviamo a dare tempo alla memoria e alla contemplazione, a risvegliare in noi l’emozione e la gioia di saperci accolti. L’accoglienza è come l’amore, come il perdono: se non sai cos’è difficilmente riesci a praticarla!

Ognuno di noi è stato accolto con infinita sorpresa dall’amore di due genitori, qualcuno ci ha fatto sentire amati nel suo abbraccio, ognuno di noi è stato preso per mano e condotto sui sentieri della vita ed è diventato grande con qualcuno che ha accolto la nostra voglia di essere grandi; abbiamo sentito nel cuore la gioia di avere un amico o una persona speciale che con il suo amore ci volesse bene per quello che realmente siamo. Non c’è vita se non si è accolti e se si vive senza essere accolti da qualcuno, se si è soli, in noi rimangono ferite difficilmente rimarginabili. Si diventa scontrosi, si mettono maschere e si inscena una finzione per sentirsi sempre all’altezza e per farsi amare. Proviamo ora ad andare con la memoria a chi ci ha accolti e trasformiamola in gratitudine: questo ci darà pace e ci darà gioia mista a commozione.

Ma anche Dio è mistero di accoglienza in sé, si fa in tre per raccontarcelo, e con noi suoi figli.

Accoglie il grido dell’uomo e non lo lascia solo: tutta la storia della salvezza si potrebbe leggere sulla falsariga dell’accoglienza che si fa Alleanza con il suo popolo.

Accoglie la nostra umanità con tutto il suo carico di dolore e di gioia: danza con noi, piange con noi, decide di essere come noi.

Accoglie noi ogni domenica alla sua mensa e condivide la sua vita, ci invita alla comunione perché ciò che è nostro diventi suo e ciò che è suo palpiti in noi.

Noi siamo figli accolti e amati, benedetti, noi valiamo perché abbiamo di fronte un Dio che dà senso alla nostra vita.

Dunque la Chiesa deve farsi mistero di accoglienza perché ha ricevuto proprio questo dal suo Signore.

Alla maniera della vedova di Zarepta: mettendo in gioco quanto si ha perché Dio sa sempre colmare di doni chi si priva del suo per fare posto al’altro: la Provvidenza è abbondante con chi la sa assecondare e con chi in lei ci crede.

Alla maniera di Ebrei verso tutti i poveri della terra, anche aprendo le proprie case ai carcerati, agli orfani e alle vedove, allo straniero. La Chiesa apostolica era amata e suscitava simpatia proprio per questo tratto di Carità che sapeva raccontare il volto premuroso del Padre. Mi piace molto la frase in cui si dice che accogliendo i poveri in realtà si è accolto in casa propria un angelo…mi ricorda quanto avvenuto anche questa estate con i bambini di Sarajevo!

Alla maniera di Matteo in cui si dice di praticare l’ospitalità verso i discepoli e chi annuncia la Parola per accogliere nella propria vita Gesù stesso.

E ora proviamo a dare due risvolti concreti per la nostra comunità in questa domenica: accogliere questi bambini e farsi loro compagni di fede è un dovere non solo per i loro genitori ma per tutti noi. Il vero volto di una comunità si delinea proprio nella sua capacità di trasmettere quello che è il suo fondamento. Accoglierli nella Chiesa significa raccontare loro l’avventura affascinante di Gesù e della vita comune ed essere coerenti per non smentirsi e perdere così la loro fiducia.

Ma oggi è anche la festa del nostro Oratorio: non sto a soffermarmi troppo su cosa sia un oratorio dal muretto basso, dalla soglia facilmente accessibile perché rischierei di ripetermi. Penso invece che sia doveroso per la nostra comunità sapere che fra quei cortili e quelle aule si gioca il futuro della nostra Chiesa. È doveroso sapere che accogliere bene i ragazzi, anche solo con il sorriso e con la mano tesa, vuol dire parlare loro del Vangelo e mettersi in ascolto dei loro bisogni e della loro sete di felicità e farsi compagni di volo. È doveroso che l’accoglienza sia scommettere sulla loro libertà e dare loro le ali anche per cambiare la direzione avviata: un giovane deve arrivare più lontano della generazione che lo ha preceduto. È doveroso che accogliere e amare è puntare con loro e per loro sulla santità.

Grazie a chi si fa accogliente per tutti i nostri bambini e giovani. Non avrò mai sufficienti parole per dire quanto è bello collaborare con voi in questo scorcio della vigna di Dio.

domenica 3 ottobre 2010

V domenica dopo il Martirio del precursore - festa dell'oratorio Berni e Bono

So che con questa celebrazione, cuore della festa di apertura dell’anno oratoriano, inizio ufficialmente il mio mandato fra voi. Sono molto emozionato anche solo all’idea che, poco lontano da quella che fino ad ora è stata la mia unica casa, c’è una comunità in cui sono chiamato a muovere i miei primi passi. Mi emoziona di più l’onore di servirvi come mi spaventa la grandezza del campo d’azione. Parto dalla certezza che non voglio camminare dietro di voi: mi perderei in un vicolo cieco, forse un sentiero troppo mio; non ho la pretesa di stare davanti, sono ancora troppo inesperto e poi rischierei di nascondere il volto e la voce di chi realmente ci guida; voglio stare in mezzo a voi perché quelle che sono le vostre attese diventino anche le mie e così le vostre gioie e i vostri dolori per fissare l’orizzonte e prendere in mano la bussola per orientarci in obbedienza al Signore.

All’inizio della mia vita di prete ho voluto raccogliere ogni convinzione in una frase rubata a I corinti in cui Dio dice a Paolo: “ti basta la mia Grazia, la mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza”…perché è davvero così: anche le mie debolezze sono diventate, e sarà ancora così, occasione perché Dio racconti la sua Misericordia.

Che cosa sognava Gesù per la sua Chiesa, per questa comunità di uomini e di donne chiamati a testimoniare la storia della salvezza che continua a scorrere nelle vene della nostra storia. È questa la domanda attorno a cui ruota la Liturgia della Parola in questo scorcio dell’anno liturgico.

Se preferite provo a dirlo con un’immagine: queste domeniche ci invitano ad ascoltare una Parola che è come un disegno originario a cui bisogna continuamente ritornare perché questa casa che è la Chiesa possa crescere bene, senza stanze troppo anguste o buie, senza sproporzioni ma bella, aperta, luminosa e accogliente.

Isaia, con la sua voce profetica, racconta di un Dio che chiede fedeltà alla sua Legge e che promette a chi gli è fedele, indipendentemente dalla sua origine e condizione di vita, di accoglierlo nella sua eredità. Il rispetto dell’Alleanza, stare con fedeltà al patto d’amore stretto fra Dio e Israele sono come un fondamento perché la casa possa essere realmente aperta e accogliente verso tutti quelli che desiderano entrarvi.

Paolo, fissando lo sguardo sulla comunità di Roma, chiede ai suoi di essere accoglienti gli uni verso gli altri, di più, di sentire per l’altro quello che Cristo stesso prova. È una Chiesa, quella che tratteggia questa lettera, in cui si respira l’amore che si fa perdono, servizio umile, dono totale in pura perdita di sé stessi.

E poi il Vangelo tira le somme su tutto. È un brano tratto dai primissimi discorsi di Gesù ai suoi, in Luca chiamato il discorso della pianura. La perfezione sta nell’essere Misericordiosi come è il Padre e da qui, come per cerchi concentrici, le parole diventano esempi di carità concreta, esagerata. La Chiesa che Gesù sogna custodisce nel suo cuore il fuoco dell’amore del Padre e cerca con creatività di mostrarne il volto. I cristiani devono, prima che emergere con i loro progetti e le loro ambizioni, lasciarsi sommergere dalla Misericordia, devono portare sulla loro pelle i segni della Grazia, devono conoscere per comprendere chi anzitutto sono la grammatica di un Signore buono. E poi allora si deve amare chi non ci ama, perdonare chi ci ha offeso e questo è un Vangelo che va ben oltre la Legge e dice la tenerezza di un Dio che si getta alle spalle i nostri peccati; non rispondere con violenza a chi ci fa del male e così si predica non a parole ma con i fatti un Signore che si è consegnato e si è ritratto per fare spazio alla nostra libertà; non giudicare mai nessuno è uno stile che annuncia un Dio che non ci tiene crocifissi ai nostri errori, che non mette sui nostri volti la maschera di quello che noi abbiamo fatto ma che sa che noi valiamo e siamo preziosi perché suoi figli.

Vorrei allora trarre due conclusioni.

La prima la dedico ai genitori del bambino che riceverà fra poco il Battesimo. Siete davvero sicuri di voler donare questa fede a vostro figlio? È altamente pericoloso, è un’avventura di grande respiro, è un cammino tutto in salita che lo porterà su sentieri poco battuti. Ma è anche una promessa di felicità perché una vita spesa in questo progetto che oggi Gesù ci consegna è davvero riscattata dalla banalità.

E poi quali punti possiamo fissare per il nostro oratorio dopo aver ascoltato una Parola così?

1 dobbiamo costruire un oratorio in cui Gesù sia il cuore ardente. A lui si deve arrivare in ogni percorso, da lui si deve partire per progettare ogni cammino. I nostri ragazzi e i nostri giovani sono assetati di parole autentiche e non accolgono le mezze misure. Abbiamo il dovere di mostrare il volto di un amore che non si risparmia.

2 un oratorio in cui la vita comune sia la meta, a partire dall’aggregazione. Una comunità in cui ci si ama così, ci si accoglie per quello che si è e si può gettare via ogni maschera, in cui il fratello sia il sorriso di Dio per noi ogni giorno.

3 un oratorio dal muretto basso, aperto sia per entrare perché ogni giovane del nostro quartiere ha il diritto di sentirsi raccontare l’amore che Dio ha per lui e tutta la stima che ha nei suoi confronti – ed è questo il principio di riscatto per tutti quelli che la vita ha ferito – sia anche per uscire perché le nostre strade si colorino di questa buona notizia e il nostro quartiere sia un angolo di mondo più simile al Paradiso.