sabato 9 ottobre 2010

VI dopo il martirio - festa dell'oratorio ss. Nazaro e Celso

La Chiesa nasce dalla condivisione di un sogno. Quando Gesù chiamava attorno a sé donne e uomini che stessero con lui e annunciassero al mondo la sua Parola, quando cioè dava forma con le sue mani alla comunità, voleva che fosse segno del Regno, un angolo di Paradiso tratteggiato sulla terra. La Parola di queste domeniche, che ci conducono alla festa della Dedicazione della Chiesa Cattedrale, ci fanno proprio riprendere fra le mani i disegni originari di questa casa, sono abbozzi consegnati alla creatività dello Spirito in noi e al nostro impegno perché la nostra comunità sia ordinata, ben orientata, aperta, luminosa. Ogni sillaba pronunciata è espressione di quel sogno e noi siamo chiamati oggi ad abbandonare ogni pessimismo, ogni sfiducia, e a dare a quel sogno di Chiesa le ali della speranza e del nostro amore.

La cifra sintetica attorno a cui possiamo raccogliere le indicazioni di questa domenica è l’accoglienza

Vorrei con voi non leggerla anzitutto in chiave moralistica, come un dovere, un imperativo da mettere subito in pratica. Proviamo a dare tempo alla memoria e alla contemplazione, a risvegliare in noi l’emozione e la gioia di saperci accolti. L’accoglienza è come l’amore, come il perdono: se non sai cos’è difficilmente riesci a praticarla!

Ognuno di noi è stato accolto con infinita sorpresa dall’amore di due genitori, qualcuno ci ha fatto sentire amati nel suo abbraccio, ognuno di noi è stato preso per mano e condotto sui sentieri della vita ed è diventato grande con qualcuno che ha accolto la nostra voglia di essere grandi; abbiamo sentito nel cuore la gioia di avere un amico o una persona speciale che con il suo amore ci volesse bene per quello che realmente siamo. Non c’è vita se non si è accolti e se si vive senza essere accolti da qualcuno, se si è soli, in noi rimangono ferite difficilmente rimarginabili. Si diventa scontrosi, si mettono maschere e si inscena una finzione per sentirsi sempre all’altezza e per farsi amare. Proviamo ora ad andare con la memoria a chi ci ha accolti e trasformiamola in gratitudine: questo ci darà pace e ci darà gioia mista a commozione.

Ma anche Dio è mistero di accoglienza in sé, si fa in tre per raccontarcelo, e con noi suoi figli.

Accoglie il grido dell’uomo e non lo lascia solo: tutta la storia della salvezza si potrebbe leggere sulla falsariga dell’accoglienza che si fa Alleanza con il suo popolo.

Accoglie la nostra umanità con tutto il suo carico di dolore e di gioia: danza con noi, piange con noi, decide di essere come noi.

Accoglie noi ogni domenica alla sua mensa e condivide la sua vita, ci invita alla comunione perché ciò che è nostro diventi suo e ciò che è suo palpiti in noi.

Noi siamo figli accolti e amati, benedetti, noi valiamo perché abbiamo di fronte un Dio che dà senso alla nostra vita.

Dunque la Chiesa deve farsi mistero di accoglienza perché ha ricevuto proprio questo dal suo Signore.

Alla maniera della vedova di Zarepta: mettendo in gioco quanto si ha perché Dio sa sempre colmare di doni chi si priva del suo per fare posto al’altro: la Provvidenza è abbondante con chi la sa assecondare e con chi in lei ci crede.

Alla maniera di Ebrei verso tutti i poveri della terra, anche aprendo le proprie case ai carcerati, agli orfani e alle vedove, allo straniero. La Chiesa apostolica era amata e suscitava simpatia proprio per questo tratto di Carità che sapeva raccontare il volto premuroso del Padre. Mi piace molto la frase in cui si dice che accogliendo i poveri in realtà si è accolto in casa propria un angelo…mi ricorda quanto avvenuto anche questa estate con i bambini di Sarajevo!

Alla maniera di Matteo in cui si dice di praticare l’ospitalità verso i discepoli e chi annuncia la Parola per accogliere nella propria vita Gesù stesso.

E ora proviamo a dare due risvolti concreti per la nostra comunità in questa domenica: accogliere questi bambini e farsi loro compagni di fede è un dovere non solo per i loro genitori ma per tutti noi. Il vero volto di una comunità si delinea proprio nella sua capacità di trasmettere quello che è il suo fondamento. Accoglierli nella Chiesa significa raccontare loro l’avventura affascinante di Gesù e della vita comune ed essere coerenti per non smentirsi e perdere così la loro fiducia.

Ma oggi è anche la festa del nostro Oratorio: non sto a soffermarmi troppo su cosa sia un oratorio dal muretto basso, dalla soglia facilmente accessibile perché rischierei di ripetermi. Penso invece che sia doveroso per la nostra comunità sapere che fra quei cortili e quelle aule si gioca il futuro della nostra Chiesa. È doveroso sapere che accogliere bene i ragazzi, anche solo con il sorriso e con la mano tesa, vuol dire parlare loro del Vangelo e mettersi in ascolto dei loro bisogni e della loro sete di felicità e farsi compagni di volo. È doveroso che l’accoglienza sia scommettere sulla loro libertà e dare loro le ali anche per cambiare la direzione avviata: un giovane deve arrivare più lontano della generazione che lo ha preceduto. È doveroso che accogliere e amare è puntare con loro e per loro sulla santità.

Grazie a chi si fa accogliente per tutti i nostri bambini e giovani. Non avrò mai sufficienti parole per dire quanto è bello collaborare con voi in questo scorcio della vigna di Dio.

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