sabato 16 luglio 2011

V dopo Pentecoste - alcuni spunti

Il nostro cammino fra le tappe della storia della salvezza per comprendere che Dio c’è ed agisce e la sua storia scorre come un fiume nascosto nelle vene della nostra storia. Con queste lenti sul naso cambia davvero tutto: le nostre relazioni, il nostro modo di abitare la città, di leggere la nostra vita, il nostro senso del tempo.
Abramo e la sua chiamata: l’ostinazione di un Dio che continua a scommettere sull’uomo aldilà del suo peccato e delle fratture. Abramo, un uomo solo, attraverso cui Dio va alla ricerca di tutti gli uomini per renderli figli. I sì a Dio di ogni singolo uomo sono porte spalancate perché il mondo trovi salvezza. I no, al contrario, sono porte chiuse definitivamente col chiavistello non solo a noi ma anche ai nostri fratelli. È l’azzardo sulla libertà dell’uomo che Dio ha deciso di darsi…questa costante si conserva lungo tutte le pagine della Parola: da Abramo a Maria, dai discepoli a noi! Se comprendessimo quanto è cosa grande la nostra piccola goccia per l’oceano sentiremmo un brivido ogni volta che accettiamo di vivere fino in fondo la responsabilità della nostra vocazione oppure al contrario ogni volta che la paura o la mediocrità frenano il nostro slancio!
Vorrei però provare a fotografare il volto di questo Dio che chiama Abramo per trovare le coordinate del nostro rapporto con lui.
1 Un Dio, il nostro, che si fa prossimo all’uomo e si rivela nell’ambivalenza del termine: si mostra e allo stesso tempo si nasconde. Dio non si impone mai ma si propone, non irrompe ma entra con estrema delicatezza nella trama della nostra vita ponendo sul nostro sentiero segni che suscitano interrogativi.
2 Una rivelazione progressiva che domanda comunione. Se Abramo avesse fatto passare uno dopo l’altro gli episodi in cui Dio si è rivelato nella sua vita avrebbe potuto stringere fra le mani una vera e propria storia coerente e completa: da quel giorno in cui è stato chiamato ad uscire e ad andarsene fino alla nascita di Isacco e alla certezza di avere una discendenza numerosa come le stelle del cielo Dio gli appare fedele e pronto a fare comunione con lui. Dio cammina accanto a noi e ogni giorno ci dona piccoli semi della sua presenza. Sta a noi raccoglierli in unità e allora sussulteremo di gioia nel sapere che Dio non ci ha mai abbandonati e che ci chiama a vivere in amicizia con lui.
3 Una rivelazione carica di promessa che esige la fede. È costato ad Abramo lasciare la sua terra per mettersi in cammino. È il prezzo della fede che ci fa camminare a volte nel buio ma in obbedienza ad una voce che ti guida e spinge ad andare sempre oltre. La fede non è in opposizione alla ragione, alla logica, eppure è un pizzico oltre e ti fa compiere dei salti apparentemente folli in cui ti sembra di perdere tutto. E magari è proprio così: per fede puoi perdere il tuo vecchio mondo quando ancora non poggi i piedi sul nuovo. È un rischio che si corre ma per amore. In questo senso possiamo comprendere l’eco del Vangelo che abbiamo ascoltato quest’oggi. Seguire il figlio dell’Uomo è accogliere la logica di essere randagi ma per amore, è una scelta da vivere qui e ora in un battibaleno perché l’occasione perduta non può ripresentarsi.
4 Una rivelazione in cui il primo a mettersi in gioco è Dio su cui puoi sempre scommettere. Infine, se incorniciassimo questa pagina di Genesi nell’orizzonte di tutto il ciclo di Abramo, ci accorgeremmo che in molti episodi la fede di Abramo vacilla oppure sente la tentazione di percorrere scorciatoie che non lo porteranno molto lontano (il figlio da Agar soprattutto). Ma se Abramo perde terreno Dio è sempre solido come una roccia a cui aggrapparsi. Dio giura su se stesso di non scordare la sua amicizia con Abramo. Ed è questo l’unico punto fermo! Anche noi abbiamo una storia segnata da costanti frenate e bruschi ritorni sui nostri passi. Ma Dio è sempre oltre il nostro fallimento, pronto a risollevarci: solo su di lui possiamo scommettere.
Il più vecchio si chiamava Frank e aveva vent'anni. Il più giovane era Ted e ne aveva diciotto. Erano sempre insieme, amicissimi fin dalle elementari. Insieme decisero di arruolarsi nell'esercito. Partendo promisero a se stessi e ai genitori che avrebbero avuto cura l'uno dell'altro. Furono fortunati e finirono nello stesso battaglione. Quel battaglione fu mandato in guerra. Una guerra terribile tra le sabbie infuocate del deserto. Per qualche tempo Frank e Ted rimasero negli accampamenti protetti dall'aviazione. Poi una sera venne l'ordine di avanzare in territorio nemico. I soldati avanzarono per tutta la notte, sotto la minaccia di un fuoco infernale. Al mattino il battaglione si radunò in un villaggio. Ma Ted non c'era. Frank lo cercò dappertutto, tra i feriti, fra i morti. Trovò il suo nome nell'elenco dei dispersi. Si presentò al comandante. "Chiedo il permesso di andare a riprendere il mio amico", disse. "E' troppo pericoloso", rispose il comandante. "Ho già perso il tuo amico. Perderei anche te. Là fuori stanno sparando". Frank partì ugualmente. Dopo alcune ore trovò Ted ferito mortalmente. Se lo caricò sulle spalle. Ma una scheggia lo colpì. Si trascinò ugualmente finò al campo. "Valeva la pena morire per salvare un morto?", gli gridò il comandante. "Sì" sussurrò, "perché prima di morire, Ted mi ha detto: Frank, sapevo che saresti venuto".
Questo diremo a Dio in quel momento: "Sapevo che saresti venuto".

domenica 10 luglio 2011

quarta dopo Pentecoste

Domenica scorsa ci eravamo soffermati sulla questione della nostra libertà che è l’azzardo su cui Dio continua a scommettere nella sua partita con noi. Lui vuole provare il brivido di un dialogo con la sua creatura e la chiama non ad essere schiacciata, annientata dalla sua presenza, ma piuttosto a stare a fronte alta, in piedi, sempre sul crinale di scegliere se amare oppure chiudersi su se stessa.E oggi lo sguardo si allarga nel racconto complesso, anche se noto, di Genesi dalla storia di peccato del primo uomo alla storia dell’umanità intera: tutti hanno peccato e il mondo è diventato un covo di violenza. Vorrei soffermarmi con voi su alcuni spunti che ci consegna questa pagina. Anzitutto circa la dimensione sociale del peccato. Il male avviene quasi per contagio. Da uno si allarga agli altri e la responsabilità dei singoli sembra quasi perdersi in un oceano di tenebra tanto che alla fine non si riconosce più il punto di partenza e i contorni delle vicende e delle scelte di ognuno si fanno sfumati in quelli degli altri. Quando scegli il male, quando dai spazio in te alla violenza, all’orgoglio, quando si afferma la logica del potere come parametro assoluto di realizzazione è come se si gettasse dell’acqua sporca dentro al pozzo a cui tutto il villaggio attinge, è come se si decidesse, in piena notte, di spegnere una ad una le piccole luci che siamo noi e così tutti sprofondano nel buio. La storia dell’umanità Dio l’ha pensata non come un’avventura di persone sole ma piuttosto come una cordata dove o ci si salva tutti insieme o si è destinati a cadere tutti nel vuoto. Non posso mai dire che è affare mio il mio peccato perché, in piccola o larga misura, va a ferire il volto dell’intera comunità. Non possiamo farci da parte, non possiamo additare sempre l’altro, non possiamo dire che non c’entriamo nulla, non possiamo sempre giustificarci: c’è parte della nostra responsabilità nelle ingiustizie che schiacciano i deboli, nella povertà che affama più della metà degli uomini, nella solitudine dei nostri anziani, nella precarietà di vita delle nuove generazioni, fosse almeno per le nostre omissioni o per il nostro alzare un muro impenetrabile di indifferenza. Dio di fronte a tutto questo decide in un primo tempo di distruggere tutto e tutti ma poi posa lo sguardo su Noè e la sua famiglia, l’unica a distinguersi per ineccepibilità, ammissione che al male dell’altro si può resistere. Il nostro è un Dio acceso di passioni forti, un Dio che sa infiammarsi e prende posizione ma allo stesso tempo non gli sfugge nemmeno il più piccolo germoglio di bene che vede comparire nel cuore anche di un uomo solo. E l’umanità può davvero rinascere dall’impegno di Noè e dall’alleanza che Dio stringe con lui. Nella sua arca c’è l’abbozzo di una nuova storia possibile in cui si può galleggiare sulla tempesta del mondo e scivolare veloci verso un orizzonte nuovo di pace. E così come ognuno partecipa al male dell’umanità con il suo peccato e lo ingrandisce, è anche vero che con le nostre scelte di bene, con l’ostinata tendenza a resistere nella nostra scelta di amare, di essere aperti all’altro, di assumerci la nostra parte di responsabilità per costruire un mondo più bello, di dare vita a chi vacilla noi portiamo alla luce il fiume sotterraneo della storia della Salvezza. A Dio non sono nascoste le nostre piccole scelte di bene e nelle sue mani si moltiplicano a dismisura. A volte può assalirci lo sgomento perché il nostro bene sembrerebbe piccola cosa e quasi inutile, la paura di essere rimasti soli…davvero il nostro amore è come una goccia in un oceano ma l’oceano è fatto di gocce e se mancasse proprio la nostra sarebbe un po’ più povero! Come sarebbe bello se la nostra comunità fosse come quest’arca, non chiusa ma aperta a chi vuole trovare salvezza, uno stile alternativo a quello del mondo e se qui si custodissero come beni preziosi le scelte di amore di ogni fratello. Come sarebbe bello se qui trovasse posto chi vuole apprendere la grammatica dell’amore che è fatta di accoglienza, di rispetto, di apertura, di un interessarsi sincero alla vita dell’altro, di passioni forti per la giustizia e il bene comune dove i diversi convivono e dove la gioia si moltiplica e il dolore sii dimezza se condivisi.
E infine due accenni soltanto alla lettura di Paolo e del Vangelo che fanno eco a Genesi. Paolo ci affida un criterio di discernimento alquanto preciso per comprendere se stiamo camminando nella luce dello Spirito oppure nelle tenebre del peccato: dobbiamo avere il coraggio di metterci seriamente in ascolto di noi stessi per capire cosa si agita nel nostro cuore e poi avere il coraggio di scelte radicali per fare spazio alla forza del Vangelo che pretende di farsi carne nelle scelte di ogni giorno. Ora stiamo per ricevere lo Spirito, proprio qui e in questa celebrazione: le porte di questa chiesa che si apriranno sul nostro quotidiano ci devono restituire diversi in qualcosa altrimenti venire a messa è solo un esercizio sterile.
E infine Gesù ci dona la bussola per orientare la nostra vita al bene: salvare la vita, come Noè sull’arca, è trovare il coraggio di perderla ogni giorno, è trovare il coraggio di non trattenere nulla, di vivere in pura perdita di noi stessi per amore, di perdere tempo per chi siamo chiamati ad amare che non è mai tempo perso.

domenica 3 luglio 2011

terza dopo Pentecoste

1 il percorso in questo tempo dopo la pentecoste
Dopo la solennità della Pentecoste, culmine del Mistero della Pasqua, si apre lungo il tempo ordinario un sentiero in cui, a partire dalla domenica della Trinità, ci soffermiamo sugli snodi principali del racconto della Storia della Salvezza per raccogliere nella bisaccia della nostra vita di pellegrini le perle preziose dell’agire del Dio con noi. L’itinerario ci porterà dritti all’Avvento soffermandoci fino alla fine di agosto, con la memoria del martirio del Battista, su alcuni episodi del Primo Testamento, dell’Alleanza antica e sempre nuova di Dio con Israele. Da lì alla festa della Dedicazione del Duomo in ottobre la prospettiva si allarga alla missione di Gesù per raccogliere la sua Chiesa e poi fino all’Avvento, su come la storia della salvezza prosegua nella missione della Chiesa di sempre.
2 la storia della salvezza, la nostra storia se vista con gli occhi di Dio.
Vogliamo allora ripercorrere a ritroso il cammino rileggendo con abbondanza la Parola per scorgere le orme del passaggio di Dio – Mosè e noi con lui possiamo solo guardare le spalle del Signore, cioè possiamo solo nel silenzio della meditazione su ciò che è accaduto capire che Dio è il Presente e non ci ha mai abbandonati e così rinnovare la nostra fede – per poi però riprendere fra le mani la nostra vita con le sue relazioni e le sue intricate vicende e abitare il nostro presente con occhi nuovi: abbiamo la certezza infatti che la storia della salvezza continua a scorrere nelle vene della nostra storia e che Dio continua a scrivere con noi le pagine del suo agire. Si tratta di indossare lenti nuove e si riaccende la speranza.
3 La proposta di oggi è di soffermarci sul brano di Genesi, un racconto parallelo a quello della Creazione dell’uomo a cui si accordano come una risonanza il brano di Paolo e quello di Giovanni.
L’uomo è la creatura più alta che Dio abbia plasmato con le sue mani, il miracolo più grande dopo l’eco del suono della Parola che ha dato la vita a tutto. Non dobbiamo mai scordare la nostra dignità e quella di ogni uomo, che in noi brilla la scintilla che ci rende simili al Creatore, che può accaderci tutto, anche cadere nel baratro più profondo della miseria del nostro male, ma in noi c’è un tratto che ci riscatta dal nulla e dalla disperazione: noi valiamo più degli angeli e siamo polvere di stelle! Per questo l’uomo continua a modellare la Creazione con le sue mani per rispettarla e per renderla ancora più bella. Ma ecco che in questo quadro emerge il passaggio del comando di Dio di non mangiare dell’albero della conoscenza del Bene e del Male. Non certo per tenere nascosto questo mistero a chi Lui ha reso così importante e simile a se stesso. È un comando che suscita libertà. Libertà è poter compiere una scelta, è quando, di fronte ad un bivio, scegli quale strada imboccare, è stringere fra le mani il tuo destino. Ed è Dio che vuole tutto questo. Non gli basta una creatura prona, lo vuole di fronte a lui, in piedi e in dialogo. Dio con questa scelta si assume tutto il rischio di dare all’uomo una via alternativa alla comunione con lui, vuole sentire il brivido di attendere una risposta libera alla sua proposta, vuole smarcarsi definitivamente dall’essere giudicato un burattinaio che tira i fili della sua creatura. Se l’uomo è libero la comunione con il suo Creatore sarà per scelta e per amore e non per costrizione. Sappiamo certo com’è andata in quel magnifico giardino di Eden. L’uomo sperimenta la disobbedienza, pensa che la vera libertà sia tagliare il legame con Dio e pensarsi in autonomia e non più in relazione, sceglie il male che tuttavia lo porta ad essere prigioniero di se stesso degli altri e delle cose.
Anche noi avvertiamo il brivido per la portata di tutto questo: anche noi ci sentiamo creature libere, continuamente sul crinale della scelta fra il bene e il male. E quando però scegliamo il male, la separazione dal nostro Dio ci sentiamo smarriti, inconcludenti, poveri, assetati e strangolati dalle nostre stesse mani.
E proprio nel cuore di queste considerazioni si collocano allora il brano di Paolo e soprattutto del Vangelo che ci ricordano come Cristo sia voluto entrare nel vivo di questa storia della comunione ferita e frammentata dell’uomo con Dio per ricondurla ad un’unità con le sue parole e con il suo esempio soprattutto con la sua Pasqua. La vera libertà è la comunione e non la competizione con Dio, la vera libertà è scegliere il bene e amare fino a dare la vita, la vera libertà non è fuggire da Dio ma dimorare nel suo abbraccio che non soffoca ma rende protagonisti, la vera libertà riprende fiato e slancio dal sapere che noi siamo stati attratti e salvati da un amore più grande e che tutte le nostre distanze sono state colmate dalla croce. La vera libertà sgorga ai piedi di quel sepolcro aperto.
Come conclusione vorrei allora suggerire due piste di approfondimento, una personale e l’altra comunitaria.
1 proviamo in questa settimana a ripensare a come noi ci giochiamo la nostra libertà e proviamo a chiedere a Dio il dono della liberazione: forse tante nostre tristezze o inclinazioni alla disperazione stanno nel fatto che non ci sentiamo liberi. Ci sono cose che ci opprimono e ci soffocano, cose che possiamo cambiare e altre da accettare. Non dimentichiamo però che noi siamo chiamati ad essere sempre protagonisti della nostra vita. È l’amore, abbiamo detto, a dare forma alla vera libertà. E dell’amore di Dio possiamo essere certi, Cristo ha dato la sua vita per noi!
2 la nostra comunità è fatta di uomini liberi e che educano alla libertà con la libertà, a immagine di Cristo, fra noi ci sono relazioni liberanti o opprimenti? Ci obblighiamo a mascherarci oppure siamo capaci di restituire l’uno all’altro la nostra peculiarità? A volte ho paura che le nostre comunità siano abitate da protagonismi del tutto svilenti nel piano generale della crescita libera di ognuno. Forse abbiamo bisogno di convertirci anche in questo.