domenica 30 gennaio 2011

Festa della s. Famiglia

Sarà per qualche sobbalzo di paranoia, sarà per un ricordo non ben identificato di qualche predica citata a copione per l’occasione e ascoltata annoiato dall’altra parte del pulpito, sarà per il timore della retorica ecclesiastica a tratti monocorde sulla difesa dei valori non negoziabili, fra cui compare sempre la famiglia – retorica fine a se stessa a cui non seguono molto spesso gesti profetici e prese di posizione non scontate contro tutto ciò che oggi in Italia mette alle strette le famiglie come la mancanza di casa o di un lavoro che vada oltre il precariato – ma quando si avvicina il momento di predicare alla messa della s. Famiglia provo sempre un certo imbarazzo a passare dalla sottolineatura della Parola ascoltata ad una dovuta concretizzazione; da ultimo, ma non meno importante, anche perché chi parla una famiglia sua non ce l’ha. Penso allora che l’esemplificazione più bella siate voi oggi: nonni che portate avanti con dignità e con tanti sforzi, anche economici, la gestione delle cose di casa, prima fra tutte, l’educazione dei bambini; sposi che continuate a scommettere su quel promesso oltre ogni scenario immaginabile a volte nonostante la tentazione di mollare il colpo e di fuggire sia fortissima; genitori che credete alla vita e pagate a volte il prezzo altissimo dell’ordinarietà con rinunce e compromessi; figli che sognate un domani non lasciandovi smantellare pezzo per pezzo la vostra scala di valori.

Di fronte a famiglie che vivono bene oppure sopravvivono, felici o anche stanche e stremate io dovrei solo tacere e imparare, e pregare perché dovete resistere!

Resistere, un verbo che fa eco alle prime due letture ascoltate

Resistete nell’amarvi… perché l’amore è ciò che conta realmente anche quando non ha la maschera esuberante e travolgente degli inizi perché è chiamato a farsi profondo. Ci sono spazi di crisi, momenti in cui ti guardi alle spalle, ti sembra di raccogliere poco nel palmo delle mani e ti chiedi che cosa hai costruito, e se ha ancora senso crederci nel sogno che ti ha portato a condividere tutto con la persona scelta. Ma superata la burrasca e il vento si fa bonaccia, capisci che ne valeva la pena. A tutti auguro un amore vero, come quello che Montale racconta in questa poesia dedicata alla memoria di sua moglie

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale/ e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio/ Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni,/ le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede/ Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr'occhi forse si vede di più./ Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.

Resistete nell’educare perché non è mai frutto del caso un figlio che si pone mete alte e cerca di raggiungerle a costo di grandi sacrifici. C’è un deserto educativo che noi e solo noi possiamo colmare. Non lasciamoci prendere dal cinismo che a volte agghiaccia le relazioni fra genitori e figli: i ragazzi hanno bisogno di appigli solidi e di radici e non di giudici spietati; bandiamo le semplificazioni: non è vero che oggi è più facile essere figli o che non ci sono più valori a dettare le scelte - i valori, del resto, non si improvvisano ma si ricevono come tesoro e li si mette a frutto.

La s. Famiglia come modello: lo straordinario nell’ordinario

Gesù, Maria e Giuseppe per alcuni tratti, forse i più fondamentali, sono davvero un modello distante e inarrivabile. Basta pensare che quel figlio è il Figlio di Dio, basta pensare a come Maria e Giuseppe gestivano il loro rapporto e la loro intimità. Basta poi pensare alla cultura e alla società in cui si muovevano così lontane dalle nostre. Eppure il brano ascoltato ci consegna un tratto che, per certi aspetti, è condivisibile e per questo consolante.

Nella scena tratteggiata da Luca, appena una settimana dopo la nascita di Gesù, Maria e Giuseppe come una coppia normalissima vivono quanto la Legge obbliga a fare con ogni primogenito maschio. E li immagino al Tempio in fila fra le altre coppie ad attendere il loro turno per l’offerta e, proprio in questo momento così comune, vengono riconosciuti da Simeone. Dio, quando si rivela, entra come presenza straordinaria nelle cose più ordinarie. Dio bandisce la spettacolarità che, alla lunga si accompagna sempre al potere, e sceglie ciò che è umile, ultimo, nascosto, piccolo, cose tutte che sfuggono ai grandi di questo mondo.

Nell’ordinario trovi Gesù e lo riconosci.

Se vuoi trovare il Signore nella cronistoria dei tuoi giorni o nella routine della tua famiglia non cercarlo lontano ma nella trama nascosta di mille premure e attenzioni: nell’abbraccio degli sposi, nel servizio disinteressato e gratuito di chi per te darebbe la vita; nello sbocciare come i fiori dei bambini e nel loro crescere, nelle lacrime nascoste versate per amore, nella sofferenza che diventa terreno fecondo e credibile.

E alla fine ritroveremo il Signore come ospite inatteso alla tavola dei nostri giorni: non toglierà la fatica ma su di lui potremo sempre scommettere perché il nostro dolore si dimezzi e la nostra gioia si moltiplichi.

sabato 22 gennaio 2011

III domenica dopo l'Epifania

1 come ci ricordavamo settimana scorsa, il Lezionario di queste settimane dopo l’Epifania mette a tema il progressivo rivelarsi di Gesù come il Messia e Figlio di Dio al suo popolo. Gesù passava per villaggi e città, predicava annunciando che il Regno si è fatto vicino all’uomo e che bisogna cambiare prospettiva, mentalità, convertirsi appunto, per accoglierlo; la sua predicazione lasciava stupiti perché all’autorità sapeva coniugare semplicità: ognuno con la sua vita poteva comprendere e mettersi in cammino dietro a lui per conoscere la Verità tutta intera. La Verità infatti non è un principio dogmatico che si comprende una volta per tutte, ma si raggiunge in un cammino e con il tempo necessario, è una conquista quotidiana frutto di un dono dall’alto e di un’accoglienza libera che chiede sempre di essere compresa. E poi, alla parola, Gesù univa sempre dei segni: benevolenza, accoglienza, perdono, guarigione; gesti simbolici, non risolutivi, che raccontavano la premura di un Dio che ci è Padre e che ha a cuore ognuno dei suoi figli. Il segno della moltiplicazione dei pani va inteso dunque in questo quadro d’insieme.

Ma in questa introduzione all’omelia di oggi vanno ricordate, per poi essere poste come intenzioni di preghiera, due tematiche che la Chiesa, e la nostra di Milano in particolare, sottolinea: l’unità dei cristiani e l’educazione. La comunione anche visibile fra quelli che credono in Cristo e che sono uniti da un unico battesimo non è un miraggio o una meta irraggiungibile ma un segno profetico da mettere in atto con coraggio in un mondo assetato di pace e di stabilità. Non è nemmeno un compito semplicemente demandabile alle autorità delle varie confessioni cristiane perché l’unità nasce da piccoli gesti concreti di accoglienza reciproca anche all’interno delle nostre parrocchie o del nostro quartiere. E poi il tema dell’educazione. Le corde da pizzicare per far risuonare questo tema potrebbero essere molte. Mi limito solo a dire che si parla di emergenza, o di urgenza educativa, anche a livello di Chiesa italiana e sarà così per il prossimo decennio perché ne va del nostro futuro. Se dovessi essere polemico mi chiedo in effetti a chi sta a cuore il nostro futuro perché stiamo vivendo un tempo in cui ognuno è ripiegato sulla propria pancia, sull’imminente e si preferisce abdicare alla lotta almeno che non sia un gioco un interesse personale. Per noi non può essere così: dobbiamo prenderci cura delle nuove generazioni, essere per loro come un puntello stabile nella roccia a cui potersi aggrappare saldamente. Serve presenza, serve mettersi in gioco, bisogna lottare contro la sfiducia, serve investire gratuitamente, serve una profonda spiritualità perché il compito dell’educare è forse quello che ti rende in assoluto più simile a Dio, il grande educatore.

2 il segno del Pane.

La scena è così ben descritta da Luca che non servono molte didascalie. Gesù si prende cura della sua gente fino in fondo, con una Parola capace di aprire prospettive nuove, con la guarigione dei malati e poi spezzando il Pane per tutti perché non venissero meno lungo la strada: non solo parole dunque ma fatti concreti, non solo pane ma anche una parola capace di nutrire il cuore. E nelle mani dei discepoli incerti crescono questi pani a dismisura, segno di un’abbondanza e di una gratuità infinita. Gesù è all’opera così, è un Signore così: ha una premura che si spezza, che si moltiplica, e quando scorgiamo che così sono i suoi tratti nasce in noi la voglia di amarlo, seguirlo, metterci in gioco.

Quel pane è gesto di un’attenzione che continua ed è anche per noi.

Il suo pane è la Parola che ascoltiamo di giorno in giorno, di domenica in domenica. La Parola nutre il cuore, spalanca orizzonti imprevedibili, al suo primato siamo chiamati a sottometterci se siamo assettati di felicità e di infinito. Nella Parola noi troviamo la mappa per camminare nella luce e per compiere scelte che hanno valore.

Il suo pane è ciò che ogni giorno ci viene dato e che Dio non ci fa mai mancare: se non lo vediamo è perché bisogna mettersi in una prospettiva diversa. Non è il di più, è il necessario. E questo basta per essere felici. Il pane quotidiano è per non smarrire la gioia, è per liberaci da quanto ci affanna e dalla voglia di potere, di apparire e di avere.

Il suo pane è la sua vita per noi e ci viene detto in ogni Eucaristia quando viene spezzato per tutti il Pane. Noi valiamo quanto la vita di Gesù, noi siamo preziosi ai suoi occhi, noi siamo per sempre figli amati, riconciliati, benedetti, accolti, saziati e Dio spezza tutto quanto calpesta la nostra dignità.

Il suo Pane è la comunità, sono i fratelli che abbiamo scelto o che ci troviamo accanto in ogni giorno della nostra vita. Se solo li guardassimo non frettolosamente come passanti, se smettessimo di considerarli a volte come un intralcio, come un impedimento ad andare più spediti ma, con le loro differenze, un dono che nutre la nostra vita e ci strappa dalla solitudine saremmo pieni di gioia.

3 E, da ultimo, ma non perché meno importante ma forse solo perché è l’esito di un cammino spirituale, vorrei sottolineare quanto Paolo oggi ci diceva anche in modo provocatorio. L a Carità: la cura dell’altro, non permettere che il fratello viva nell’indigenza e che la sua dignità sia offesa è attenzione peculiare e prioritaria di chi ha incontrato il Signore che si dona per ogni uomo. Dove c’è chi muore di fame e di stenti, chi non ha casa lavoro, chi non ha prospettive per la sua vita perché manca dei mezzi per raggiungerle è perché chi ha intorno è troppo preso da altro piuttosto che dal desiderio di offrire riscatto. C’è da chiedersi che ne è dell’annuncio del vangelo se dopo tanti secoli di cristianesimo c’è ancora tanta povertà e miseria. I cristiani hanno imparato una regola dal loro Maestro, strana per la matematica, ma che ha la sua efficacia: per moltiplicare bisogna dividere, condividere, fare a metà e in noi si moltiplica la gioia e si offre al fratello una possibilità nuova di vita. Non dimentichiamola!

domenica 16 gennaio 2011

II domenica dopo l’Epifania

Era stato annunciato nel prefazio dell’Epifania, come in una mappa, che in molti modi Gesù si è manifestato al suo popolo come il Signore: nelle acque del Giordano, a Cana di Galilea o con la moltiplicazione dei pani.

La liturgia della Parola di questo periodo ci fa percorrere il sentiero dei racconti di questa Rivelazione: di domenica in domenica ci renderemo sempre più conto che non è finito il tempo dell’Epifania e che il nostro è un Dio che non vuole giocare a nascondino con la sua creatura, ci chiede solo uno sguardo nuovo, purificato, penetrante, alternativo per accorgerci dei segni della sua presenza, del suo voler mettere radici nella nostra storia, della sua intenzione di continuare a incarnarsi nel nostro tempo, nella nostra città per farsi compagno della nostra gioia per moltiplicarla, fratello nel dolore per dimezzarlo. E questo basta per restituirci a una gioia profonda.

E ora proviamo a raccogliere dalla ricchezza del brano delle nozze di Cana qualche aspetto per poi chiederci cosa ha da dire alla nostra vita. Quando ascoltiamo un brano di Giovanni dobbiamo sempre tenere presenti due livelli di lettura: il primo, che vuole essere come una cronaca di episodi dal chiaro rimando storico e il secondo decisamente simbolico, un rimando ad una profondità che dice la verità di Gesù come Dio.

C’è una festa di nozze ma c’è un particolare che presto avrebbe rovinato la gioia di quell’ora: la mancanza del vino. È Maria ad accorgersene. Lei, vergine prudente, nello scorcio di questo brano, è voce di quell’Israele rimasto fedele alla Parola e che attende una nuova e definitiva rivelazione di Dio. Nella religiosità del popolo eletto c’è qualcosa che manca, forse la gioia piena, forse il rispetto di una Legge non solo esteriore ma che attendeva di essere scritta nel cuore, forse l’incontro definitivo con il Signore della storia: solo la presenza del Messia avrebbe colmato questo vuoto.

Ci sono sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei: l’acqua che le colma deve trasformarsi in vino. Gesù non è venuto ad aggiungere nulla alla fede dei padri, piuttosto la trasforma dal di dentro, la cambia, le dà un sapore nuovo.

Il vino nuovo è ottimo più del primo, migliore contro la logica comune che offre alla fine gli scarti di una giornata di festa. Gesù non dona nulla in qualche modo, non ama le mezze misure, non lascia le cose al caso: compie ogni bene, dà sempre il meglio di sé, ci dona per intero il senso della vita, ci dà la pienezza di tutto.

E così inizia il suo cammino di villaggio in villaggio e di città in città. Muove i suoi passi da una festa di nozze, segno evidente che lui è lo sposo che si dona interamente al suo popolo, amandolo e facendo in modo che si senta amato, senza risparmiarsi fino all’Ora, quella accennata a Maria in tutta franchezza, in cui queste nozze saranno sancite nel silenzio e nel dono definitivo in quell’abbraccio sulla croce fra il cielo e la terra.

Questo brano dice a noi almeno tre cose:

1 Gesù ha inaugurato il tempo nuovo della gioia. Il cristiano deve conservare in fondo al suo cuore un sottofondo di gioia che non è sciocca ilarità ma la convinzione che Dio è dalla nostra parte e non ci manca più nulla. È questione di stile: chi conosce sul serio Gesù conserva dei tratti spumeggianti, ha dei guizzi che ogni tanto raccontano la follia di uno stile alternativo e che batte ogni moda perché profumato di futuro. Non è più tempo per credenti alla formalina, è iniziato un mondo nuovo e dobbiamo portare anche sul nostro viso i tratti di una gioia convinta e convincente: altrimenti che crederebbe che Gesù è senso pieno di ogni esistenza?

2 Abbiamo detto che Gesù è Sposo per il suo popolo, è iniziata una stagione nuova, noi abitiamo un tempo visitato, messianico. Eppure attorno a noi si moltiplicano segni di morte, di violenza, di sconfitta; quando ci rimbocchiamo le maniche e scendiamo nei sotterranei della storia dove tanti piccoli sono schiacciati e frodati della loro dignità ci chiediamo con sincerità dove sia Dio. Si entra nell’abisso, nel cuore della notte della fede. Forse questo rimane un passaggio obbligato che ci deve portare ad aprire gli occhi e a guardare meglio le cose. Lo Sposo è con noi ma non lo troviamo dove ce lo aspetteremmo ma lui, il più povero fra tutti, è proprio in mezzo agli ultimi della terra a restituire dignità con un Vangelo che già ora è riscatto. E chiede conversione di sguardo, di pensiero e di azione a ognuno di noi e alle nostre comunità.

3 forse è ardito ma perché non possiamo assumere oggi la parte di Maria e denunciare che il vino manca magari anche sulla tavola delle nostre perfette liturgie o alla mensa della nostra comunità: è il ministero della profezia e dell’intercessione. Forse invece ci è più facile impersonare la parte dei servi che colmano le giare d’acqua e le portano a Gesù. È il servizio di chi ascolta e mette in pratica, di chi si fida e lascia che Gesù incontri la sua vita e la trasformi dal di dentro per poi essere testimoni credibili per tutti quelli che sono alla ricerca di un senso. E goccia dopo goccia tutta l’acqua di questa umanità oggi sarà trasformata in vino e avrà inizio la festa di nozze.

domenica 9 gennaio 2011

Battesimo di Gesù

Il suo battesimo, scelta di prossimità

Arrivava da lunghi anni di lavoro e di preghiera: una storia decisamente comune, prosaica, che scorreva nella vene della Storia di chi conta. Arrivava da un villaggio sconosciuto ai grandi della terra, al confine fra due popoli in quella provincia maledetta e lontana da Roma, un paese da cui non può venire nulla di buono per i sapienti della sua terra, uomini che sapevano giudicare sempre tutto con esattezza millimetrica dimenticando molto spesso che il Dio che adoravano è di una fantasia disarmante. Arrivava portando in cuore una consapevolezza a lungo maturata, la certezza di essere Dio e non di sembrarlo, armato cioè solo del potere dei segni e non brandendo i segni del potere. E questo anzitutto il suo segno: mettersi in fila pazientemente con i peccatori sulle sponde del Giordano, insieme a tanti altri che andavano a farsi battezzare da Giovanni. E lui, uno fra loro, per dire che avrebbe mosso i suoi primi passi nel solco di Giovanni e per dire che tutto ciò che sarebbe accaduto dopo sarebbe stata storia d’amore per la sua gente, mano tesa agli ultimi fino a diventare come loro, fino a sparire fra loro e con loro, insomma una vita profumata di popolo.

Inizio di un ministero nel segno di una vicinanza, di un progressivo scendere per fare suo ciò che è nostro

E così da quel giorno ha iniziato a girare di villaggio in villaggio per raccogliere tutti nessuno escluso, è entrato nelle case, ha varcato i portali delle sinagoghe, si è seduto sulle piazze, amava stare con i bambini che ai suoi tempi contavano poco o nulla, carne in attesa di diventare braccia da lavoro, perdeva tempo con i malati offendo segni di guarigione, sedeva a mensa con i peccatori sapendo che era venuto soprattutto per loro. Da quel giorno del Giordano, sceso fra i peccatori, abbassandosi nelle acque del fiume, è stato solo un progressivo discendere, fino a tacere per amore e abbracciare la croce perché si sa che l’amore a un tratto smette di dare ragioni e si dona oltre ogni ragione. E tutto ciò che era nostro è diventato suo: abbiamo incontrato un Dio che non ci guarda dall’alto ma fa comunione con noi prendendo sulle sue spalle il peso della nostra vita

Per fare nostro ciò che è suo

Per fare della sua vita la nostra, per regalarci il segreto della felicità, per aprirci la sua casa e farci sedere fra i suoi. Noi, assetati di eterno e di infinito abbiamo trovato in lui la sorgente. Gesù non smette anche oggi di camminare fra noi, di perdersi con gli ultimi della nostra storia, di prendere fra le sue braccia la nostra vita così fragile per darle sostanza.

Il nostro battesimo contiene questa comunione.

E noi che siamo stati battezzati in lui ormai gli apparteniamo. Siamo legati a lui in corda doppia. Questo legame che precede la nostra volontà ci è stato donato con il battesimo. Nella nostra vita c’è un fondamento solido su cui possiamo poggiare con sicurezza i nostri passi. La sua comunione è punto di partenza per ogni nostra scelta.

Amati per ciò che siamo e perdonati.

Gesù si è fatto vicino per dirci che Dio non pretende nulla da noi, che il suo amore non è condizionato da nessuna logica. Noi siamo amati per quello che siamo e non per quello che appariamo, anche per quelle ombre che ci stanno dentro. In lui l’amore è così eccessivo da farsi perdono, per ogni cosa, in lui siamo schiodati da ciò che ci crocifiggeva a noi stessi per colpa nostra o di altri.

Figli prediletti

Ecco perché è bello oggi sostituire la parte finale del Vangelo in cui la voce del Padre dice la predilezione per il figlio con il nostro nome. Gesù ci ha fatto figli prediletti. Noi siamo gli amati figli di Dio e tutto ciò che in noi e attorno a noi dice il contrario è falso. La vera perdizione inizia quando smettiamo di sentire in noi quella voce piena di benedizione e ci arrendiamo alla paura di contare poco agli occhi del Padre.

Nel cuore la pace

Questa è il dono che troviamo in noi per la vicinanza di Gesù. Se in noi non c’è pace, se non irradiamo pace ma siamo sempre affannati e rincorriamo una meta che non vediamo è perché non ci siamo accorti di quanto siamo stati amati.

Costruttori di ponti perché anche noi prossimi ad ogni uomo

Ma celebrare un Dio così ha anche delle ricadute che vanno oltre la nostra interiorità. Il credente è uno che sa di doversi incarnare qui e ora. Chi ha conosciuto Gesù impara quasi per contagio il segreto dei suoi giorni e anche per noi sarà irresistibile la voglia di farci prossimi ad ogni uomo, costruttori di pace e di ponti di comunione, dove c’è un credente non può esserci solitudine ma comunità, vita che palpita in un gioco di relazioni in cui la condivisione moltiplica la gioia e dimezza il dolore.
come una conclusione: il dono del battesimo ai bambini

Oggi insieme a questa famiglia è tutta la nostra comunità a donare il battesimo a questo bambino. Non dimentichiamo che alla sua vita stiamo facendo un nodo alla vita di Gesù. È un’operazione delicata che esige una testimonianza autentica se non vogliamo che questo sia solo un gesto convenzionale. Lasciamo che Gesù si faccia nostro compagno ogni giorno, gridiamo con la nostra vita che con lui nulla è più come prima e allora questa fratellino avrà l’impressione che lo stiamo conducendo su un sentiero che vale la pena battere fino in fondo.