sabato 19 settembre 2009

IV domenica dopo il martirio del Battista

Il pane è buono
Il pane è gioia, abbondanza
Il pane è frutto del sudore della fronte e dono sorprendente della terra, di Dio
Il pane è segno di condivisione e dunque di amicizia.
Il pane era piovuto dal cielo come manna nel deserto lungo il cammino verso la Terra e, per mano dell’angelo, nello stesso deserto, aveva sfamato Elia in fuga verso l’Oreb. Sarà per tutto questo che Gesù parla di sé come il Pane disceso dal cielo perché lui è buono, accoglierlo significa aprire il cuore alla festa, alla gioia, alla sovrabbondanza della Misericordia del Padre, alla sua forza che ti sostiene nei momenti di debolezza o di sconforto, significa imparare a fare della vita un dono da condividere con chi ti è accanto. Ma non solo.
Il Pane si deve spezzare per essere mangiato, deve sparire, in un certo senso, per dare forza e vita.
Nel racconto del Vangelo di oggi, collocato subito dopo la moltiplicazione dei pani, segno che aveva suscitato grande stupore e clamore in chi aveva assistito e mangiato - tanto che volevano fare di lui il loro re - Gesù, che si è defilato da sterili trionfalismi, spiega che proprio come un Pane la sua vita sarà spezzata per la sua gente, sarà il Messia che si consegnerà per amore sulla croce, si presterà ad essere divorato e proprio questo permetterà di entrare in comunione con lui e con il Padre, perché farà conoscere l’amore di Dio per l’uomo e convincerà a scegliere di fare della propria vita, a sua immagine, un dono totale di sé, in pura perdita di sé. Il capitolo si chiuderà male. Già oggi abbiamo ascoltato le prime obiezioni che diventeranno rifiuto categorico tanto che, oltre ai 12, con Gesù, non rimarrà più nessuno: questo linguaggio è duro, chi può intenderlo? È facile stare dietro a chi dà pane, è difficile stare dietro a chi si fa Pane e ti chiede di fare della tua vita altrettanto. È facile credere in un Dio che è proiezione ideale delle nostre immagini, dei nostri deliri di onnipotenza, quando abbiamo bisogno di avere le mani colme di doni; è difficile credere in un Dio che si fa uomo, debolezza incarnata, appello scottante alla nostra libertà perché decidiamo di fare comunione con lui e che le sue scelte diventino le nostre scelte, la sua vita la nostra vita. E nell’ora della croce, quando la scelta di morire per amore è diventata da progetto evidenza, Gesù sarà da solo.
Paolo ci dice che questo mistero della croce, finché egli venga, si ripete ogni volta che facciamo comunione in chiesa, ogni volta che spezziamo il Pane ricordando le sue parole. Qui, oggi, ora incontriamo lo stesso Gesù di quel racconto di Giovanni, con la sua stessa determinazione ad essere Pane della Vita, con la sua stessa voglia di fare comunione con noi, con la sua stessa proposta di fare della nostra vita un’immagine della sua.
È un’avventura davvero pericolosa quella della Messa, non ci dovremmo venire a cuore così leggero perché qui non incontriamo un Dio qualsiasi ma il Padre di Gesù e la sua esigenza di amore radicale. C’è da mettere anzitutto in discussione la nostra idea di Dio. C’è da aprire tutto il nostro cuore e permettere allo Spirito di spaccare i muri più resistenti per farci plasmare dalla Grazia. C’è da riordinare la nostra scala di valori e uscire da questa chiesa come un fiume in piena incontenibile per la voglia di erompere e di sommergere il nostro prossimo nella carità.
A noi decidere se proseguire o lasciare il posto.

sabato 12 settembre 2009

III domenica dopo il Martirio del Battista

L’itinerario di queste domeniche ci ha portato a riscoprire in Cristo il culmine e il centro della storia della salvezza e anche della nostra storia. Lui è lo Sposo annunciato dal Battista che ha preso per mano il suo popolo in un’alleanza di amore eterno, lui è il Mistero di fronte al quale il nostro cuore deve decidersi e se gli spalanchiamo le braccia della nostra vita nulla sarà più come prima: la Parola di oggi ci indica i termini di questa novità.
Chi accoglie Cristo non crede più in Dio…crede in Dio Padre, ed è una bella differenza! Scopre, conosce, ama un Dio che ha abbattuto ogni distanza con la sua creatura e le si è fatto prossimo. Un Dio che non gioca con le paure dei suoi figli, che non ama tenere le distanze e giocare con le nostre vite come un abile burattinaio, un Dio che non è la proiezione delle nostre idealità, non è un insieme di regole e di precetti, di dogmi da osservare scrupolosamente, ma un Padre che scommette ogni cosa sull’amore, che rispetta la nostra libertà, che si è avvicinato con discrezione alla nostra vita bussando alle porte del nostro cuore, un Padre che ha deciso di attrarci a sé con la debole forza dell’amore e ci chiede di lasciarci trasformare interamente da lui e dalla sua Parola.
Chi accoglie Cristo ha una prospettiva in più sulla sua vita, quella che più conta: l’eternità nel frammento di ogni attimo, ha la certezza di vivere nella casa del Padre.
Chi accoglie Cristo crede che la propria vita è preziosa quanto la sua Vita e che come lui anche noi siamo i prediletti figli di Dio, amati per quello che siamo più che per quello che dobbiamo dimostrare, crede di essere stato riconciliato nel suo sangue versato e in quelle mani trafitte d’amore, sa che l’Amore di Cristo si è fatto arrendevolezza e dono totale, sa che sulla croce sta l’abbraccio fra Cielo e Terra, sa che non c’è peccato più grande dell’amore crocifisso, sa che non c’è ferita così profonda che Cristo non possa guarire.
Chi accoglie Cristo ha una speranza su di sé e sul mondo che, anche nei giorni dell’afflizione o della paura, nessuno potrà strapparci e che si rivelerà con una gioia incontenibile.
La novità di Cristo va accolta dall’alto perché è un dono che ci sorprende, ci afferra, appunto, da sopra. Quindi non è frutto del nostro impegno ma un dono che bussa alle porte della nostra vita e che noi, in libertà totale, siamo chiamati a ricevere e a scartare. Bisogna lasciarsi andare, bisogna abbandonarsi, bisogna affidarsi e più credi e più comprenderai e più comprenderai e più crederai in lui. Come il soffio del vento arriva e ci dona sollievo o scompiglia le nostre carte, così Cristo arriva all’improvviso nelle nostre cose e prepotentemente mette a soqquadro le carte dei nostri schemi rassicuranti. Proviamo a pensare a quando Cristo si è affacciato alla nostra vita e magari un turbine di novità ci ha afferrati e nulla più è rimasto come prima oppure, magari, in modo più semplice e tranquillo, Cristo si è affermato nei nostri cuori come una Verità a cui però adesso non sapremo mai più rinunciare.
Ma la prova che Cristo ci ha conquistati, che questa rinascita dall’alto è avvenuta e che siamo creature secondo lo Spirito sta nella nostra capacità di piegarci verso il basso e fare come lui, gettarci nelle pieghe della nostra città, affondare nelle vene della nostra storia, deciderci di sporcarci le mani nella melma della povertà e della disperazione per essere un segno di amore, per costruire qui e ora un angolo del Regno di Dio portando a termine un compito che spetta a noi. È nella Carità l’evidenza che Cristo ci ha conquistati, è nella fattività di un amore discreto e operoso che si vede se siamo rinati dall’alto, sta, per fare eco alla lettura di Isaia, nell’essere beati perché assetati di giustizia e operatori di pace.
Vorrei però concludere la mia omelia di quest’oggi con una dedica speciale a tutti quelli che ancora non si sono decisi per Cristo e che tuttavia si sono lasciati attrarre dalla sua bellezza e in lui, in un dialogo appena iniziato, stanno cercando le risposte più autentiche ai loro perché. Penso a chi assomiglia a Nicodemo, un personaggio che mi ha sempre affascinato che va da Cristo di notte per paura di essere visto ma che non ha paura di mettersi in discussione con le sue domande, decide di dare spazio alla sua inquietudine e solo alla fine, ai piedi della croce, troverà il coraggio di dire il suo sì a Gesù e alla fede in Dio Padre. È grande cosa l’inquietudine e, ai nostri giorni, è grande cosa lasciarle spazio e non soffocarla. La fede può essere un ruscello che dolcemente diventa fiume ma può essere anche l’eruzione di un vulcano da troppo strozzato. Chi arriva a Gesù per la via dei suoi mille perchè avrà una fede così. Fare il primo passo verso Cristo è già una decisione impegnativa, bisogna solo farsi rapire dalla sua bellezza e non avere paura di dargli tutto perché non toglie nulla e ci restituisce la nostra umanità rinnovata, approfondita, ingigantita. E finalmente il cuore avrà trovato a fonte della pace.