domenica 27 gennaio 2013

santa Famiglia di Nazareth

1 una certa distanza Quando devo predicare per la festa della s. Famiglia provo sempre un certo imbarazzo e questo almeno per due motivi. Non è immediato l’esempio della Famiglia di Nazareth. E non penso semplicemente al fatto che nessuno dei nostri padri è come Giuseppe, delle madri come Maria e dei figli come Gesù! Penso soprattutto alla loro vocazione che, se a tratti assomiglia alla nostra, per molti aspetti rimane unica e segna una distanza incolmabile con noi. Il secondo motivo è che chi predica una famiglia sua non ce l’ha. Personalmente posso solo guardarmi indietro ed esprimere  considerazioni sulla mia vita di figlio. Mi guardo bene dal dispensare consigli, dallo svendere facili giudizi. Preferisco di solito ascoltare i genitori e condividere il fardello pesante del loro impegno educativo; oppure, dei mariti e delle mogli, ammiro la capacità, tutt’altro che facile, di mettere ogni giorno in gioco l’amore per l’altro e di rendere attuale quel  per sempre che non schiaccia ma dà espressione alla loro libertà.
2 una certa somiglianza. E tuttavia, pur restando un esempio al limite, perché le vicende che la interessano sono davvero estreme, ci sono degli stili di vita della Famiglia di Nazareth che possono suggerire alle nostre famiglie alcune intuizioni.
Mi lascio provocare dal brano di Vangelo in almeno tre passaggi
I sogni della famiglia. L’obbedienza ad un sogno muove i passi di Giuseppe dall’Egitto e li orienta verso la terra. Anche lui visionario come Mosè. Giuseppe nei Vangeli non parla mai. Matteo tuttavia, l’unico che ne tratteggia i contorni, lo presenta come uomo giusto, perché innamorato di Dio, in costante ricerca della sua volontà che sempre vede racchiusa nei sogni. Nelle poche pagine che lo riguardano c’è posto per tre sogni. Il primo perché non abbia paura a prendere con sé Maria. La sua vocazione sarà quella di tessere i legami fra Gesù e la terra, e la casa di Davide: Dio ha scelto lui e Maria, non solo lei. Il secondo perché fugga via da Erode e protegga Maria e il bambino. E il terzo è quello di cui abbiamo letto adesso.
I sogni delle nostre famiglie. Non solo sicurezze ma anche sogni in grande.
Chi oggi parla di famiglia giustamente auspica che possa godere di sempre maggiori sicurezze…in effetti mi chiedo cosa ne sarebbe della nostra città se non si potesse contare sull’impegno delle famiglie in ambito educativo ma anche in termini di supplenza allo Stato sociale! Eppure c’è un di più che va oltre i diritti di sicurezza che devono essere garantiti da altri e che vanno rivendicati con forza…è la possibilità di sognare in grande. il sogno supera la logica della delega, della lamentela, richiama immediatamente l’infinito e coinvolge la nostra libertà con scelte autentiche. Le famiglie oggi devono poter sognare. E non solo un posto di lavoro, condizioni abitative degne, possibilità per i propri figli. Ma anche la possibilità di essere modello alternativo, laboratorio che educa alla responsabilità le nuove generazioni consegnando loro un tessuto non fragile, modello di una Chiesa povera e autenticamente evangelica, contesto in cui si ama davvero perché si lotta l’uno per il bene dell’altro.   
Le paure. La paura per l’incolumità del Bambino. Quando Giuseppe entra in Israele prova la paura di esporre Gesù alla violenza del potente di turno. Per questo cammina ancora verso nord e si stanzia a Nazareth. La paura non è un sentimento stupido. Solo gli incoscienti non la provano. Ma diventa problematica quando paralizza, blocca, impedisce di compiere scelte e di compiere passi in avanti, ci fa arroccare sulle posizioni del passato idealizzandole. Giuseppe sente paura e discerne che deve camminare un poco ancora, un poco oltre.
Le paure delle nostre famiglie sono molte. Ci sono le paure che nascono dai dubbi: due sposi che sentono di essere fragili e di non poter scommettere solo sulla loro volontà nel vivere la fedeltà. Due genitori che temono per il futuro dei loro figli. Ci sono le paure dettate dalle vicende, a tratti inverosimili, che riguardano la storia di una famiglia come la malattia oppure la precarietà che si affaccia come uno spettro alla porta. Ci sono le paure legate al tempo come quando si invecchia e si teme di non poter più essere utili ma solo di peso agli altri. In ogni caso Giuseppe Maria e Gesù ci insegnano il segreto di non restare paralizzati ma di camminare e di confidare nel fatto che Dio trasforma i vicoli ciechi in spazi aperti e gli angoli bui in occasioni provvidenziali. La paura è buona solo se ci stimola a guadare il presente e a incamminarci verso un oltre che sta appena dietro le siepi dei nostri ricordi e delle nostre illusioni.
Scopriremo che ciò che ci faceva paura può davvero essere un’occasione provvidenziale: nell’obbedienza al quotidiano si realizza la nostra vocazione. Invecchiare assieme…scoprire di nuovo l’altro. La sofferenza che può dividere alla fine può risultare una sorgente di nuova unità. Le scelte dei figli una scommessa per il loro futuro e per raccogliere quanto seminato.

domenica 13 gennaio 2013

Battesimo di Gesù

Quel giorno ero lì. Del resto la sponda del Giordano, lì dove il letto s’incurva e poi s’allarga fin quasi a sembrare un lago, dove l’acqua s’abbassa e i pesci hanno imparato a tenersi bene alla larga da mani desiderose di cibo, era diventata la mia seconda casa. A papà non servivo: quella non era stagione per la pesca. Solo mia madre ogni tanto mi rimbrottava quando ritornavo a casa soltanto per la cena, quando il sole accarezzava le colline di Giuda, e il profeta, stanco, si ritirava nel suo bivacco al limite del deserto in compagnia di pochi amici. Non so nemmeno io, in fondo, cosa ci stavo a fare lì. Forse mi piaceva il gioco di luce sul grande fiume, forse quel posto conciliava il ripasso della lezione dell’ultimo sabato; forse mi piaceva spiare la faccia di tutta quella gente che, si diceva, venisse da ogni parte. Mi piaceva la smorfia che scompaginava il loro viso compunto quando l’acqua bagnava la loro testa. Mi piaceva osservare le divise dei soldati, l’opulenza dei signori, la miseria degli straccioni. E poi, quando Giovanni  era particolarmente ispirato, le sue prediche ti toglievano il fiato: nemmeno quelli che si sentivano accusare apertamente di qualcosa avevano il coraggio di rispondergli! Allora mi chiedevo se fosse vero quello che si diceva di lui...sentivo dire che era il figlio di un sacerdote del Tempio, nato da una donna molto in avanti di età. La mia gente riesce a leggere lo straordinario ovunque, parla di angeli come di vecchi compagni di viaggio e vede le orme del passaggio di Dio come quelle dei predoni fra le pietre del deserto. Proprio dalla sua voce avevo inteso che lui non era il Messia, non era lui il Forte, l’erede di Davide che tutti aspettavano e che avrebbe ridato il sole al nostro paese. Lui era soltanto la luce all’orizzonte, presagio dell’alba imminente. Lo diceva chiaramente: “il tempo sta per compiersi”, “Verrà uno che, dopo di me, vi battezzerà con il fuoco”; “non crediate di sfuggire all’ira di Dio”; “preparatevi all’incontro con il Signore”. Erano tempi difficili quelli - certo mai come quelli di oggi, ora che non abbiamo più il nostro Tempio, la nostra terra e siamo sparsi qua e là per il mondo portandoci a spasso la valigia della nostalgia e la sensazione di essere ovunque ospiti poco graditi. Quel giorno, all’inizio, non mi accorsi di nulla. Proprio non dava nell’occhio. Sarà stato uno dei tanti. Si era messo in fila per ascoltare Giovanni e per farsi battezzare da lui. Solo poi ho capito che quel gesto lo aveva maturato da molto tempo: quel posto che, per molti aveva segnato l’inizio per una vita nuova, doveva essere anche la sua linea di partenza; era al pari di tutti, o meglio, non voleva mettersi davanti e nemmeno sopra nessuno. Aveva scelto di piazzarsi all’ultimo posto perché nessuno potesse sentirsi escluso, perché  anche chi ne aveva fatte di tutti i colori, chi si era smarrito nella notte del suo cuore, nel suo abbraccio, sentisse la speranza di una possibilità in più. Non voleva sembrare quel Dio altero, imponente, scorbutico, acceso d’ira in cui tutti noi, forse anche Giovanni, credevamo…meglio, voleva essere il Dio del sorriso, il figlio di un Dio che è Padre e che scrive con il fuoco dell’amore nel nostro cuore le lettere di un’amicizia che ti cambia la vita. Qualcuno dice di aver visto come una colomba, qualcuno ha sentito anche un tuono o forse una voce dal cielo…io, che non perdevo di vista nulla, ero tutto preso dall’espressione di Giovanni, dal suo indugiare e poi da quell’acqua che bagnò il suo capo. Da allora Giovanni iniziò a farsi vedere di meno. Sparì del tutto poi, inghiottito dalla prigione di chi non gli perdonò la sua passione per la Verità. Qualcuno però diceva che c’era un altro che battezzava sul Giordano. C’era stato come un passaggio di testimone. Un cambio di scena. Gesù non si fermò lì a lungo. Imparai a fare i conti con quell’ansia di sentirsi randagio, di raggiungere ogni angolo d’Israele, di lambire la vita di ogni uomo. E io con lui e con me altri sognatori convinti che il cielo fosse sceso sulla terra. Erano le quattro del pomeriggio quando mi trovai da solo con lui la prima volta. Avevo balbettato qualche parola. Da allora lui è diventato la mia casa, il mio cibo, il mio vestito, il mio tutto, il mio desiderio. Passo a passo ho scoperto nelle sue parole, nei suoi gesti e anche nel suo silenzio cosa significa essere figlio, io come lui, anche io amato. Ho imparato a guardarmi con gli occhi di Dio che sceglie chi è piccolo e non conta nulla e trasforma le ferite in feritoie di luce. Sapersi figli e amati è come guardare il mondo da una finestra ma in pieno giorno: non ti possono sfuggire i dettagli; se non ti sai amato è come affacciarsi dalla stessa finestra ma di notte: cogli solo le linee del paesaggio ma ti perdi il meglio! Per questo, quando il tempo era maturo, sono riuscito anche a fare la pace con me stesso e questo ti cambia la vita: senti nel cuore la voglia di tuffarti in Dio e, allo stesso modo, di sporcarti le mani in questa storia che sei chiamato ad abitare e di perderti per amore di tutti i naufraghi del mondo, di tutte le pietre che i costruttori scartano con indifferenza. Sono passati tanti anni da allora. I ricordi mi divorano questo poco tempo che mi è dato da vivere. Ma gli occhi di Gesù li vedo ancora fissi dentro ai miei. Sentivo il bisogno di scriverti perché la mia avventura potesse essere anche la tua. Pensa a questo quando leggerai queste parole e quando spezzerai con gli altri il Pane in memoria sua.
 

sabato 5 gennaio 2013

Epifania del Signore

1 Dio, ci sei? è affidabile la testimonianza di chi dice di averti incontrato? Ha senso cercarti nella nostalgia di infinito e di eternità che abita nel nostro cuore e che ci lega all’uomo di sempre? Oppure tu sei proiezione di ciò che ci appare giusto e vero, tu sei invenzione dei nostri cuori ansiosi, in preda al panico di fronte alla violenza e alla morte? Dio, squarcia il cielo e rivelati, Dio muovi tu il primo passo verso di noi, Dio, dammi un segno della tua esistenza.
Non sono estranee al cuore del credente questo grido e queste domande. Domande cruciali, a volte conturbanti, che si allineano per interrogare e spingere la parte credente in noi a cercare risposte autentiche e non di maniera sui cui radicare la fede. Il mondo infatti non si divide in atei o credenti ma in chi ricerca e in chi ha smesso di inseguire risposte e si accontenta del suo guadagno, come ci si potrebbe accontentare di un’oasi mentre la meta oltre il deserto è ancora lontana: il dramma è che però l’acqua fresca di quel rifugio presto o tardi si esaurisce e ci si ritrova assetati e immobili. Chi si accontenta diventa un estremista da una parte o dall’altra. Costa fatica la ricerca ma ti rende autentico. E attorno alla risposta che ti dai si fa chiara anche la verità della tua esistenza e dunque anche la qualità. Non è vero che non cambia nulla, mi sembra estremamente superficiale chi lo afferma perché è come camminare con una direzione e con la bussola fra le mani oppure vagando senza sapere né da dove si viene e nemmeno dove si approderà [lettura di quando, il cecchino serbo a una mia amica ha colpito il bambino tra le braccia di Marko Vesovic]

2 E Dio da parte sua sembra amare proprio chi ha il cuore inquieto ed è in ricerca. Dio si rivela a chi è in cammino o, come dice Ambrogio in una commento al Salmo 118, chiama a sé quelli che faticano e fra questi sicuramente anche quelli che non si accontentano di facili risposte e si avventurano su sentieri inesplorati. Il cielo è chiuso per chi lo guarda in modo scontato, ma tutte le stelle invece sorridono per chi si lascia incantare e cerca la poesia e il perché nascosto dietro alla loro bellezza. E Dio entra a modo suo nella ricerca dell’uomo, si diverte a mostrare il suo volto poco a poco e all’improvviso, lo vedi come quando un lampo squarcia il buio della notte e vedi per un istante solo con chiarezza quanto ti circonda. Dio si lascia vedere, ma non afferrare, per intuizioni che poi cercano radici. Si rivela e poi si nasconde perché tu possa affidarti. E ci consegna una Parola in cui ritrovare la grammatica per decifrare questo gioco.

3 penso che sia illuminante leggere in questa prospettiva il brano del Vangelo di oggi. I magi sono metafora dell’uomo in ricerca, di chi è inquieto ed alza ogni notte il suo sguardo al cielo, di chi, a partire da un’intuizione, si mette in cammino mettendo in discussione ogni sapienza conquistata pur a fatica. A gente come loro a Dio piace riempire di segni il cammino, ispirare sogni,  e infine mostrare il suo volto nella paradossalità e nella piccolezza del suo essersi fatto carne, bambino, limite e finitezza in uno slancio d’amore per condividere ogni cosa con la sua creatura. Contrapposti a loro ci sono Erode e la sua corte, fatta anche di profeti e di sapienti, di esperti conoscitori della Scrittura, chiusi però nelle loro rassicuranti teorie o stretti ad un potere che spegne il desiderio: loro non hanno sentito in quella notte il coro degli angeli, non hanno mai alzato lo sguardo al cielo e non si erano mai accorti prima di allora che una stella illuminava in modo speciale la fetta di terra che gli era stato chiesto di abitare. Il mistero scivola silenzioso sotto le loro esistenze e non lascia traccia. Il valore della ricerca è talmente forte nei Magi che anche alla fine, per non smentirsi e non tradire i loro sogni, cambiano strada per fare ritorno al loro paese, abbandonano per un’altra volta il modulo appena battuto.

4 E proprio a partire da questa provocazione di un’ altra strada vorrei trovare una conseguenza per ognuno di noi e poi per la nostra comunità. Percorreremo un’altra strada se osiamo stupirci e non ci accontentiamo di quanto abbiamo, se avremo la capacità di mettere in dialogo la parte credente con quella non credente di noi stessi, se non avremo assecondato la logica che appiattisce il desiderio sul consumo, se saremo disposti a farci sorprendere dall’alto, se avremo il coraggio di cambiare spesso, se alzeremo lo sguardo al cielo e sapremo intendere la voce di Dio nella profondità più recondita dei nostri desideri. E sarà Dio allora a venirci incontro, sarà lui a tenderci la mano da un punto che non ci aspettavamo e che all’improvviso squarcerà l’orizzonte.  Percorreremo un’altra strada se poi lo riconosceremo al fianco della nostra vita come compagno di viaggio fedele che, con la mano poggiata alla nostra spalla, ci guida come un pastore fedele anche quando il sentiero si snoda nell’ombra. Percorreremo un’altra strada se ci rapisce la certezza della sua Risurrezione e sapremo piegare le ginocchia ad ogni suo passaggio nella nostra vita e in modo del tutto particolare nel segno del Pane spezzato e nella Parola aperta e spiegata.
E infine come comunità dobbiamo percorrere la via alternativa dell’accoglienza e della carità. Perché Dio infine ha deciso di mostrarsi negli ultimi e in chi non corrisponde ai nostri parametri, in chi non giudicheremmo mai degno di fiducia perché lontano dai nostri moduli. E così diventeremo anche noi, magari nostro malgrado, un segno della sua Misericordia.