1 una certa distanza Quando devo predicare per la festa della s.
Famiglia provo sempre un certo imbarazzo e questo almeno per due motivi. Non è
immediato l’esempio della Famiglia di Nazareth. E non penso semplicemente al
fatto che nessuno dei nostri padri è come Giuseppe, delle madri come Maria e
dei figli come Gesù! Penso soprattutto alla loro vocazione che, se a tratti
assomiglia alla nostra, per molti aspetti rimane unica e segna una distanza
incolmabile con noi. Il secondo motivo è che chi predica una famiglia sua non
ce l’ha. Personalmente posso solo guardarmi indietro ed esprimere considerazioni sulla mia vita di figlio. Mi guardo
bene dal dispensare consigli, dallo svendere facili giudizi. Preferisco di
solito ascoltare i genitori e condividere il fardello pesante del loro impegno
educativo; oppure, dei mariti e delle mogli, ammiro la capacità, tutt’altro che
facile, di mettere ogni giorno in gioco l’amore per l’altro e di rendere attuale
quel per sempre che non schiaccia ma dà
espressione alla loro libertà.
2 una certa somiglianza. E tuttavia, pur restando un esempio al limite,
perché le vicende che la interessano sono davvero estreme, ci sono degli stili
di vita della Famiglia di Nazareth che possono suggerire alle nostre famiglie
alcune intuizioni.
Mi lascio provocare dal brano
di Vangelo in almeno tre passaggi
I sogni della famiglia. L’obbedienza ad un sogno muove i passi di
Giuseppe dall’Egitto e li orienta verso la terra. Anche lui visionario come
Mosè. Giuseppe nei Vangeli non parla mai. Matteo tuttavia, l’unico che ne
tratteggia i contorni, lo presenta come uomo giusto, perché innamorato di Dio,
in costante ricerca della sua volontà che sempre vede racchiusa nei sogni. Nelle
poche pagine che lo riguardano c’è posto per tre sogni. Il primo perché non
abbia paura a prendere con sé Maria. La sua vocazione sarà quella di tessere i
legami fra Gesù e la terra, e la casa di Davide: Dio ha scelto lui e Maria, non
solo lei. Il secondo perché fugga via da Erode e protegga Maria e il bambino. E
il terzo è quello di cui abbiamo letto adesso.
I sogni delle nostre famiglie.
Non solo sicurezze ma anche sogni in grande.
Chi oggi parla di famiglia
giustamente auspica che possa godere di sempre maggiori sicurezze…in effetti mi
chiedo cosa ne sarebbe della nostra città se non si potesse contare sull’impegno
delle famiglie in ambito educativo ma anche in termini di supplenza allo Stato
sociale! Eppure c’è un di più che va oltre i diritti di sicurezza che devono
essere garantiti da altri e che vanno rivendicati con forza…è la possibilità di
sognare in grande. il sogno supera la logica della delega, della lamentela, richiama
immediatamente l’infinito e coinvolge la nostra libertà con scelte autentiche. Le
famiglie oggi devono poter sognare. E non solo un posto di lavoro, condizioni
abitative degne, possibilità per i propri figli. Ma anche la possibilità di
essere modello alternativo, laboratorio che educa alla responsabilità le nuove
generazioni consegnando loro un tessuto non fragile, modello di una Chiesa
povera e autenticamente evangelica, contesto in cui si ama davvero perché si
lotta l’uno per il bene dell’altro.
Le paure. La paura per l’incolumità del Bambino. Quando Giuseppe
entra in Israele prova la paura di esporre Gesù alla violenza del potente di
turno. Per questo cammina ancora verso nord e si stanzia a Nazareth. La paura
non è un sentimento stupido. Solo gli incoscienti non la provano. Ma diventa
problematica quando paralizza, blocca, impedisce di compiere scelte e di
compiere passi in avanti, ci fa arroccare sulle posizioni del passato
idealizzandole. Giuseppe sente paura e discerne che deve camminare un poco
ancora, un poco oltre.
Le paure delle nostre famiglie
sono molte. Ci sono le paure che nascono dai dubbi: due sposi che sentono di
essere fragili e di non poter scommettere solo sulla loro volontà nel vivere la
fedeltà. Due genitori che temono per il futuro dei loro figli. Ci sono le paure
dettate dalle vicende, a tratti inverosimili, che riguardano la storia di una
famiglia come la malattia oppure la precarietà che si affaccia come uno spettro
alla porta. Ci sono le paure legate al tempo come quando si invecchia e si teme
di non poter più essere utili ma solo di peso agli altri. In ogni caso Giuseppe
Maria e Gesù ci insegnano il segreto di non restare paralizzati ma di camminare
e di confidare nel fatto che Dio trasforma i vicoli ciechi in spazi aperti e
gli angoli bui in occasioni provvidenziali. La paura è buona solo se ci stimola
a guadare il presente e a incamminarci verso un oltre che sta appena dietro le
siepi dei nostri ricordi e delle nostre illusioni.
Scopriremo che ciò che ci
faceva paura può davvero essere un’occasione provvidenziale: nell’obbedienza al
quotidiano si realizza la nostra vocazione. Invecchiare assieme…scoprire di
nuovo l’altro. La sofferenza che può dividere alla fine può risultare una
sorgente di nuova unità. Le scelte dei figli una scommessa per il loro futuro e
per raccogliere quanto seminato.