Quel giorno ero lì. Del resto
la sponda del Giordano, lì dove il letto s’incurva e poi s’allarga fin quasi a
sembrare un lago, dove l’acqua s’abbassa e i pesci hanno imparato a tenersi bene
alla larga da mani desiderose di cibo, era diventata la mia seconda casa. A
papà non servivo: quella non era stagione per la pesca. Solo mia madre ogni
tanto mi rimbrottava quando ritornavo a casa soltanto per la cena, quando il
sole accarezzava le colline di Giuda, e il profeta, stanco, si ritirava nel suo
bivacco al limite del deserto in compagnia di pochi amici. Non so nemmeno io, in
fondo, cosa ci stavo a fare lì. Forse mi piaceva il gioco di luce sul grande
fiume, forse quel posto conciliava il ripasso della lezione dell’ultimo sabato;
forse mi piaceva spiare la faccia di tutta quella gente che, si diceva, venisse
da ogni parte. Mi piaceva la smorfia che scompaginava il loro viso compunto
quando l’acqua bagnava la loro testa. Mi piaceva osservare le divise dei
soldati, l’opulenza dei signori, la miseria degli straccioni. E poi, quando
Giovanni era particolarmente ispirato,
le sue prediche ti toglievano il fiato: nemmeno quelli che si sentivano
accusare apertamente di qualcosa avevano il coraggio di rispondergli! Allora mi
chiedevo se fosse vero quello che si diceva di lui...sentivo dire che era il
figlio di un sacerdote del Tempio, nato da una donna molto in avanti di età. La
mia gente riesce a leggere lo straordinario ovunque, parla di angeli come di
vecchi compagni di viaggio e vede le orme del passaggio di Dio come quelle dei
predoni fra le pietre del deserto. Proprio dalla sua voce avevo inteso che lui
non era il Messia, non era lui il Forte, l’erede di Davide che tutti
aspettavano e che avrebbe ridato il sole al nostro paese. Lui era soltanto la luce
all’orizzonte, presagio dell’alba imminente. Lo diceva chiaramente: “il tempo
sta per compiersi”, “Verrà uno che, dopo di me, vi battezzerà con il fuoco”; “non
crediate di sfuggire all’ira di Dio”; “preparatevi all’incontro con il Signore”.
Erano tempi difficili quelli - certo mai come quelli di oggi, ora che non
abbiamo più il nostro Tempio, la nostra terra e siamo sparsi qua e là per il
mondo portandoci a spasso la valigia della nostalgia e la sensazione di essere
ovunque ospiti poco graditi. Quel giorno, all’inizio, non mi accorsi di nulla. Proprio
non dava nell’occhio. Sarà stato uno dei tanti. Si era messo in fila per
ascoltare Giovanni e per farsi battezzare da lui. Solo poi ho capito che quel
gesto lo aveva maturato da molto tempo: quel posto che, per molti aveva segnato
l’inizio per una vita nuova, doveva essere anche la sua linea di partenza; era al
pari di tutti, o meglio, non voleva mettersi davanti e nemmeno sopra nessuno. Aveva
scelto di piazzarsi all’ultimo posto perché nessuno potesse sentirsi escluso, perché
anche chi ne aveva fatte di tutti i
colori, chi si era smarrito nella notte del suo cuore, nel suo abbraccio,
sentisse la speranza di una possibilità in più. Non voleva sembrare quel Dio
altero, imponente, scorbutico, acceso d’ira in cui tutti noi, forse anche
Giovanni, credevamo…meglio, voleva essere il Dio del sorriso, il figlio di un
Dio che è Padre e che scrive con il fuoco dell’amore nel nostro cuore le
lettere di un’amicizia che ti cambia la vita. Qualcuno dice di aver visto come
una colomba, qualcuno ha sentito anche un tuono o forse una voce dal cielo…io,
che non perdevo di vista nulla, ero tutto preso dall’espressione di Giovanni,
dal suo indugiare e poi da quell’acqua che bagnò il suo capo. Da allora Giovanni
iniziò a farsi vedere di meno. Sparì del tutto poi, inghiottito dalla prigione
di chi non gli perdonò la sua passione per la Verità. Qualcuno però diceva che
c’era un altro che battezzava sul Giordano. C’era stato come un passaggio di
testimone. Un cambio di scena. Gesù non si fermò lì a lungo. Imparai a fare i
conti con quell’ansia di sentirsi randagio, di raggiungere ogni angolo d’Israele,
di lambire la vita di ogni uomo. E io con lui e con me altri sognatori convinti
che il cielo fosse sceso sulla terra. Erano le quattro del pomeriggio quando mi
trovai da solo con lui la prima volta. Avevo balbettato qualche parola. Da allora
lui è diventato la mia casa, il mio cibo, il mio vestito, il mio tutto, il mio
desiderio. Passo a passo ho scoperto nelle sue parole, nei suoi gesti e anche
nel suo silenzio cosa significa essere figlio, io come lui, anche io amato. Ho imparato
a guardarmi con gli occhi di Dio che sceglie chi è piccolo e non conta nulla e
trasforma le ferite in feritoie di luce. Sapersi figli e amati
è come guardare il mondo da una finestra ma in pieno giorno: non ti possono
sfuggire i dettagli; se non ti sai amato è come affacciarsi dalla stessa finestra
ma di notte: cogli solo le linee del paesaggio ma ti perdi il meglio! Per questo,
quando il tempo era maturo, sono riuscito anche a fare la pace con me stesso e
questo ti cambia la vita: senti nel cuore la voglia di tuffarti in Dio e, allo
stesso modo, di sporcarti le mani in questa storia che sei chiamato ad abitare
e di perderti per amore di tutti i naufraghi del mondo, di tutte le pietre che
i costruttori scartano con indifferenza. Sono passati tanti anni da allora. I ricordi
mi divorano questo poco tempo che mi è dato da vivere. Ma gli occhi di Gesù li
vedo ancora fissi dentro ai miei. Sentivo il bisogno di scriverti perché la mia
avventura potesse essere anche la tua. Pensa a questo quando leggerai queste
parole e quando spezzerai con gli altri il Pane in memoria sua. l'omelia è come un evidenziatore che scorre sulle pagine della Parola che di domenica in domenica la Sapienza della Chiesa ci offre
domenica 13 gennaio 2013
Battesimo di Gesù
Quel giorno ero lì. Del resto
la sponda del Giordano, lì dove il letto s’incurva e poi s’allarga fin quasi a
sembrare un lago, dove l’acqua s’abbassa e i pesci hanno imparato a tenersi bene
alla larga da mani desiderose di cibo, era diventata la mia seconda casa. A
papà non servivo: quella non era stagione per la pesca. Solo mia madre ogni
tanto mi rimbrottava quando ritornavo a casa soltanto per la cena, quando il
sole accarezzava le colline di Giuda, e il profeta, stanco, si ritirava nel suo
bivacco al limite del deserto in compagnia di pochi amici. Non so nemmeno io, in
fondo, cosa ci stavo a fare lì. Forse mi piaceva il gioco di luce sul grande
fiume, forse quel posto conciliava il ripasso della lezione dell’ultimo sabato;
forse mi piaceva spiare la faccia di tutta quella gente che, si diceva, venisse
da ogni parte. Mi piaceva la smorfia che scompaginava il loro viso compunto
quando l’acqua bagnava la loro testa. Mi piaceva osservare le divise dei
soldati, l’opulenza dei signori, la miseria degli straccioni. E poi, quando
Giovanni era particolarmente ispirato,
le sue prediche ti toglievano il fiato: nemmeno quelli che si sentivano
accusare apertamente di qualcosa avevano il coraggio di rispondergli! Allora mi
chiedevo se fosse vero quello che si diceva di lui...sentivo dire che era il
figlio di un sacerdote del Tempio, nato da una donna molto in avanti di età. La
mia gente riesce a leggere lo straordinario ovunque, parla di angeli come di
vecchi compagni di viaggio e vede le orme del passaggio di Dio come quelle dei
predoni fra le pietre del deserto. Proprio dalla sua voce avevo inteso che lui
non era il Messia, non era lui il Forte, l’erede di Davide che tutti
aspettavano e che avrebbe ridato il sole al nostro paese. Lui era soltanto la luce
all’orizzonte, presagio dell’alba imminente. Lo diceva chiaramente: “il tempo
sta per compiersi”, “Verrà uno che, dopo di me, vi battezzerà con il fuoco”; “non
crediate di sfuggire all’ira di Dio”; “preparatevi all’incontro con il Signore”.
Erano tempi difficili quelli - certo mai come quelli di oggi, ora che non
abbiamo più il nostro Tempio, la nostra terra e siamo sparsi qua e là per il
mondo portandoci a spasso la valigia della nostalgia e la sensazione di essere
ovunque ospiti poco graditi. Quel giorno, all’inizio, non mi accorsi di nulla. Proprio
non dava nell’occhio. Sarà stato uno dei tanti. Si era messo in fila per
ascoltare Giovanni e per farsi battezzare da lui. Solo poi ho capito che quel
gesto lo aveva maturato da molto tempo: quel posto che, per molti aveva segnato
l’inizio per una vita nuova, doveva essere anche la sua linea di partenza; era al
pari di tutti, o meglio, non voleva mettersi davanti e nemmeno sopra nessuno. Aveva
scelto di piazzarsi all’ultimo posto perché nessuno potesse sentirsi escluso, perché
anche chi ne aveva fatte di tutti i
colori, chi si era smarrito nella notte del suo cuore, nel suo abbraccio,
sentisse la speranza di una possibilità in più. Non voleva sembrare quel Dio
altero, imponente, scorbutico, acceso d’ira in cui tutti noi, forse anche
Giovanni, credevamo…meglio, voleva essere il Dio del sorriso, il figlio di un
Dio che è Padre e che scrive con il fuoco dell’amore nel nostro cuore le
lettere di un’amicizia che ti cambia la vita. Qualcuno dice di aver visto come
una colomba, qualcuno ha sentito anche un tuono o forse una voce dal cielo…io,
che non perdevo di vista nulla, ero tutto preso dall’espressione di Giovanni,
dal suo indugiare e poi da quell’acqua che bagnò il suo capo. Da allora Giovanni
iniziò a farsi vedere di meno. Sparì del tutto poi, inghiottito dalla prigione
di chi non gli perdonò la sua passione per la Verità. Qualcuno però diceva che
c’era un altro che battezzava sul Giordano. C’era stato come un passaggio di
testimone. Un cambio di scena. Gesù non si fermò lì a lungo. Imparai a fare i
conti con quell’ansia di sentirsi randagio, di raggiungere ogni angolo d’Israele,
di lambire la vita di ogni uomo. E io con lui e con me altri sognatori convinti
che il cielo fosse sceso sulla terra. Erano le quattro del pomeriggio quando mi
trovai da solo con lui la prima volta. Avevo balbettato qualche parola. Da allora
lui è diventato la mia casa, il mio cibo, il mio vestito, il mio tutto, il mio
desiderio. Passo a passo ho scoperto nelle sue parole, nei suoi gesti e anche
nel suo silenzio cosa significa essere figlio, io come lui, anche io amato. Ho imparato
a guardarmi con gli occhi di Dio che sceglie chi è piccolo e non conta nulla e
trasforma le ferite in feritoie di luce. Sapersi figli e amati
è come guardare il mondo da una finestra ma in pieno giorno: non ti possono
sfuggire i dettagli; se non ti sai amato è come affacciarsi dalla stessa finestra
ma di notte: cogli solo le linee del paesaggio ma ti perdi il meglio! Per questo,
quando il tempo era maturo, sono riuscito anche a fare la pace con me stesso e
questo ti cambia la vita: senti nel cuore la voglia di tuffarti in Dio e, allo
stesso modo, di sporcarti le mani in questa storia che sei chiamato ad abitare
e di perderti per amore di tutti i naufraghi del mondo, di tutte le pietre che
i costruttori scartano con indifferenza. Sono passati tanti anni da allora. I ricordi
mi divorano questo poco tempo che mi è dato da vivere. Ma gli occhi di Gesù li
vedo ancora fissi dentro ai miei. Sentivo il bisogno di scriverti perché la mia
avventura potesse essere anche la tua. Pensa a questo quando leggerai queste
parole e quando spezzerai con gli altri il Pane in memoria sua.
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