giovedì 24 dicembre 2009

Natale del Signore

Ci sono momenti come questi in cui sembra non ci sia bisogno di particolari didascalie, in cui basta il tepore di una chiesa, il pensiero che fra poche ore ci si ritroverà a condividere la stessa tavola con parenti e amici, la nostalgia di altri natali dove tutto forse era più semplice ma sicuramente più intenso per farci star bene. Ma c’è una Parola che non possiamo tacere, colma di promessa, che vuole strapparci alla banalità della nostra vita, che a volte è in agguato soprattutto in giorni come questi, non riconducibile a schemi di retorica consolatoria. Ed è proprio a partire da questa Parola che vorrei rivolgere a ognuno di voi parole di benedizione. La benedizione è come una carezza sul viso, come un abbraccio in cui possiamo rifugiarci, è come la mano sulla spalla per incoraggiarci e ricordarci che noi siamo preziosi agli occhi di Dio e per i nostri fratelli.
Il Signore che nasce fra noi benedica tutti quelli che sono in cammino, chi non si sente ancora arrivato, chi ha una meta da raggiungere e non si accontenta delle mezze misure, chi sa mettersi in discussione sempre, chi è morso dal tarlo del dubbio, chi sa cosa vuol dire affrontare la notte del cuore quando anche il cielo sembrava essere muto e chiuso ostinatamente. Quest’oggi vi fanno compagnia i pastori. Anche loro si sono messi in cammino nella notte, anche loro si sono lasciati sorprendere da una luce che ha squarciato le loro tenebre. Non erano certo persone ben viste o raccomandabili, eppure per loro si è riaperto il cammino e son andati fino a Betlemme, mossi dal desiderio, spinti dalla certezza che Dio proprio a loro voleva rivelare la sua Grazia. E poi da lì hanno avuto il coraggio di ripartire per essere gli annunciatori di un grande Mistero. Da uomini distanti e senza Dio, sono diventati i primi credenti e i primi missionari, perché Dio non era senza loro, non aveva rinunciato a loro. Non bisogna aver paura di rimettersi in discussione sempre, non si può temere se si è in viaggio, l’ansia può farci da compagna ma solo per un tratto. Basta il desiderio di avanzare, di raggiungere la luce del Natale e poi il cielo inizia a parlarci, e lungo la strada il Signore ci modella, ci riconsegna a noi stessi migliori di quando eravamo partiti. E poco importa se la strada sarà immersa nel buio: l’importante è andare avanti fiutando la direzione giusta. Dio su di voi non ha uno sguardo di rimprovero, non vi giudica. E sotto uno sguardo così non c’è spazio per la frustrazione: Dio è abituato a schiodarci da ogni pregiudizio, compreso il nostro a volte così severo, e nel nostro cammino si fa compagno, non davanti, non dietro ma proprio accanto a ognuno di noi, e ci solleverà sulle nostre spalle quando il peso della strada si farà sentire. Ma ciò che importa per davvero è camminare con il cuore giovane. Si può davvero cambiare e prendere nuova forma. E sulla nostra strada, se saremo davvero contagiosi, si aggiungeranno altri fratelli che troveranno in noi un esempio e una guida anche nella loro notte.
Il Signore che nasce fra noi benedica tutti quelli che si sentono oggi schiacciati da qualche fallimento, da qualche delusione, chi mastica amaro il sapore dei propri giorni, chi si sente con le ali spezzate e non sa perché capitano proprio tutte a lui, chi si è sentito rifiutato, ingannato, per chi si sente solo e sconfitto. Quest’oggi vi fanno compagni Maria e Giuseppe che non hanno saputo offrire al loro Bimbo niente di meglio che lo squallore e la puzza di una stalla per l’indifferenza e la chiusura di molti a Betlemme; che non hanno ricevuto visite se non quelle poco gratificanti dei pastori; che sanno il dolore di una porta sbattuta in faccia. E questo ci dice che il nostro Dio ancora oggi nasce proprio nel cuore dei nostri fallimenti e delle nostre ombre, che ha una parola in più capace di sconvolgere e rendere Grazia anche tutto quello che di negativo ci capita, che desidera stare accanto a tutti i poveri del mondo e far sentire il suo amore a chi è solo. E se è davvero così il Natale non può che essere parola consolante ma che esige anche una nostra conversione se siamo noi magari quelli che hanno esiliato qualcuno, fatto del male, voltato le spalle allo straniero, al povero, all’amico nel momento del bisogno. Se ti innamori di un Dio così di conseguenza anche tu diventi il prossimo di chiunque bussa alla tua porta.
E infine il Signore benedica tutti quelli che come me oggi si sentono poveri, inadeguati, con il cuore troppo piccolo e ripiegato sui propri moduli già mille volte battuti come sentieri di montagna, su chi sa che non è riuscito ancora ad emergere con le sue buone cose perché il tempo ci scivola fra le mani e la conversione si è limitata solo a buoni propositi. Oggi ci fa compagnia la stalla, la paglia e gli animali del presepio. Dio non si è risparmiato di scendere così in basso, ma tutta la sua vita sarà una parabola a scendere per raccogliere uno ad uno tutti gli ultimi della terra. Gesù bambino, con le braccia spalancate e con il sorriso sul labbro, con il tepore del suo corpo adagiato sulla paglia e che si fa circondare da quegli animali, ci ricorda che non è venuto perché noi emergessimo, ma perché ci lasciassimo sommergere dalla sua tenerezza. E per questo oggi non può che essere un buon Natale, buono come il nostro Dio.

domenica 20 dicembre 2009

VI di Avvento - divina maternità della beata Vergine Maria

Ci sono attimi nella vita in cui il tempo sembra fermarsi, ci sono delle decisioni che hanno il profumo dell’eternità, c’è un mistero che ci strappa dalla banalità dello scorrere inesorabile dei giorni: quando ci innamoriamo, quando mettiamo la nostra vita nelle mani di qualcun altro, quando troviamo il coraggio di dare forma ai nostri sogni. Penso che il sì di Maria assomigli un po’ a tutto questo. L’angelo entra nei suoi giorni, uno squarcio di eternità la sorprende mentre i suoi progetti di sposa si stavano realizzando; nessuna violenza però: la Grazia, quando interpella la nostra vita, non distrugge nulla, ma corona di felicità i nostri desideri. E il suo sì è uno slancio pieno di gioia per un Signore che si è rivelato ricco di Misericordia, buono, estremamente paradossale nello scegliere una creatura così piccola e così insignificante agli occhi del mondo per portare a compimento la sua Alleanza; il suo sì è il tendersi delle braccia come un bimbo verso la madre.
In quell’attimo in Maria si uniscono il cielo e la terra. Il cielo, prima di allora così distante, così carico di enigmatica problematicità, è ora aperto all’umanità, fino a toccarla, fino a fondersi assieme come all’orizzonte del mare. La terra, non è più abbandonata o devastata ma visitata. Dio ha deciso di farsi prossimo a noi, solidale con i nostri palpiti amico delle nostre ore dolci o pesanti. È uno di noi e cammina con noi.
Il cielo ha avuto bisogno del sì della terra, la terra senza il cielo sarebbe rimasta deserta e barcollante nelle tenebre.
Mi colpisce sempre questo rispetto per la libertà dell’uomo del nostro Dio. Dio pendeva dalle labbra di una ragazza di Nazareth, gli angeli e tutto il creato hanno trattenuto il respiro per quella parola che Maria con coraggio ha pronunciato. Dio si è fatto bambino, si è consegnato nelle mani di questa donna e del suo sposo. Ha avuto bisogno delle attenzioni e delle premure di una madre, da lei ha imparato a parlare, a scrivere, a camminare, a guardarsi attorno e a giudicare e agire con estrema bontà. Di un Dio così non possiamo che innamorarci! Si consegna, si ritrae perché sia vinta per sempre la paura dell’uomo di perderci, antica come il Giardino di Genesi, e noi, a partire da questo suo primo passo, possiamo aprirci a lui e iniziare a tessere una storia d’amore.
E così questa domenica già profuma di Natale, è come un anticipo della festa che è ormai prossima. Il Signore è davvero vicino e non solo in senso cronologico, ci sta accanto, pianta i paletti della sua tenda fra di noi. E beati gli occhi che riescono a riconoscerlo: cambia tutto se è così!
Penso che la sosta di questa domenica ci aiuti ad allungare lo sguardo oltre il contingente, stimoli la nostra capacità contemplativa, ci aiuti a immergerci nel mare caldo dell’amore di Dio. E poi ci consegna alcuni tratti spirituali che non possiamo non fare nostri.
Anzitutto viviamo la consapevolezza che Dio per compiere il suo sogno ha deciso di avere bisogno del nostro sì! Ogni sì che diciamo è una possibilità perché il Regno si faccia realtà, ogni no è una porta sbattuta che non si aprirà mai più. Nel nostro quotidiano, che non è molto diverso da quello di Maria, fatto di sogni e di paure, di slanci e di perplessità, fatto di mille e più cose ordinarie, il Signore ci chiama a compiere la sua volontà proprio nell’obbedienza alla nostra vocazione, con una cura premurosa dei particolari che non sono poi così irrilevanti. E in questa obbedienza molti sapranno che Dio è con noi, saremo contagiosi di beatitudine.
E poi ancora l’evidenza che il cielo e la terra in Gesù hanno stretto pace e alleanza ci insegna a guardare il mondo con meno paura e con più speranza. Ho come l’impressione che ci sia una sorta di sfiducia nell’altro, nei nostri giovani, in chi arriva nelle nostre città per la prima volta, in chi ci sta accanto e ci arrocchiamo in nome di chissà quale privilegio da difendere trovando sempre nel cuore un motivo per essere depressi e arrabbiati. E così dimentichiamo che anche qui e ora Dio non ha smesso di camminare con noi e guarda con fiducia ad ognuno. Come sarebbe bello se ognuno uscisse di qui con questa certezza e iniziassimo a guardare con estrema tenerezza la nostra città, faremmo forse il regalo più gradito a tutti.

domenica 13 dicembre 2009

V di avvento

Il nostro itinerario del tempo di Avvento sta giungendo al termine e se spingiamo lo sguardo più in là riusciamo già a vedere l’alba della Divina Maternità di Maria e del Natale del Signore. Oggi ci lasciamo prendere per mano dalla figura del Battista, il Precursore e se da un lato dobbiamo sottolineare la sua singolarità, dall’altra ci sono alcuni tratti della sua spiritualità che siamo chiamati a fare nostri.
Giovanni, per fare eco alla prima lettura, è il compimento della Promessa di Dio di accompagnare il suo Popolo con una Parola chiara che non lo faccia sbandare a destra o a sinistra e, nella fedeltà all’Alleanza, trovi riposo nella Terra Promessa. Per dirla con Gesù, Giovanni è il più grande fra i nati di donna perchè è come Elia, uomo dalla Parola forte, che, senza timore di nessuno, apre la strada al Messia. Viveva nelle solitudini del deserto, lontano dalle commistioni fra politica e religione, quasi come un eremita. Il suo fascino però richiamava le folle e tutti quelli che lo incontravano potevano trovare una parola su cui riflettere, lavorare spiritualmente e poi praticamente convertirsi. Il cuore deve allargarsi come una Tenda per accogliere la presenza di Dio; bisogna rimuovere quegli ostacoli che potrebbero essere da intralcio ai passi spediti di chi Dio desidera incontrare. Il Battista è stato Precursore in tutto rispetto a Gesù: nel servizio reso alla Parola del Regno e anche nella sofferenza e nella Passione. E questo fa di lui una figura del tutto speciale, irripetibile, che ha segnato la storia con la sua singolarità, e di questo dobbiamo prendere atto. Forse, come Israele di fronte a lui, anche noi, in questo scorcio di Avvento, chiediamoci quali tratti dobbiamo cambiare, quali abitudini ci hanno portato lontano dal Signore e dalla logica del suo Vangelo, per aprire l’orizzonte al Natale di Gesù.
Ma, come dicevo, ci sono anche alcuni aspetti della sua spiritualità che ci devono appartenere, che ci interpellano.
Anzitutto il suo essere testimone, con il dito puntato sullo Sposo, felice che incontri la sposa, felice di diminuire di fronte a lui. Il testimone non si mette di mezzo: indica e poi si scansa perchè si avveri l’incontro. Accogliere Gesù nella nostra vita, e nel prossimo Natale ancora ci dichiarerà la sua fedeltà a noi e a questa terra, vuol dire innamorarcene ma poi non possiamo trattenere per noi questa novità: la gioia del credente si moltiplica solo se si condivide. E noi possiamo solo mettere una mano sulla spalla delle persone a cui dobbiamo dare testimonianza ed essere felici, un giorno, di poterli lasciare a tu per tu con il Cristo. Ma allora a che cosa serve la nostra testimonianza se poi dobbiamo venire meno? E Dio non potrebbe fare tutto da solo? Sembra proprio di no! Ha deciso di legare l’annuncio del Vangelo alla nostra parola. Si può credere solo se accanto a te sta qualcuno che ha in cuore una gioia discreta e credibile, solo se vedi in un fratello una speranza diversa da quella che dà il mondo e non è spiegabile nei soli termini razionali, si crede solo se è promettente per la nostra vita la parola della fede che palpita in un altro. Se ci pensiamo bene, se oggi siamo qui, è perchè nella nostra vita abbiamo incontrato qualcuno così. E noi, per chi saremo testimoni affidabili?
Un altro tratto di Giovanni che dobbiamo fare nostro è la sua franchezza, fino a pagare di persona per amore del Vangelo come anche Paolo ci dice nella lettera. Il cristiano sa che solo fino ad un certo punto la società di sempre può andare d’accordo con la logica del pensiero di Dio. Ad un certo punto deve avvenire una frattura, una presa di distanza, deve irrompere nel nostro stile una modalità diversa di gestire il tempo, le cose e le relazioni. E la nostra vita, quasi senza accorgercene, diventa un appello alla coscienza degli altri. Forse solo nella misura in cui avremo dato fastidio a qualcuno avremo compiuto la nostra missione nel mondo. Assecondare chiunque significherebbe essere conformisti. Non si può tacere, per esempio, il riscatto per i poveri, l’annuncio dell’accoglienza agli ultimi e agli stranieri anche se questa parola scomoderà i potenti di turno che magari hanno pensato solo a rapide e pericolose scorciatoie: ma il servizio del Regno è, ultimamente, servizio al mondo.
E infine, essere come il Battista, significa tenere accesa in noi la nostra vocazione profetica, non spegnere la fiamma di quella parola tutta nostra attorno a cui abbiamo raccolto la nostra vita e che è stato il Signore a suggerirci: in poche parole, non dobbiamo smarrire il senso della nostra vocazione. Sarà in nome di questa parola che sapremo affrontare le difficoltà, attraversare la notte anche della fede, e camminare nella speranza del Regno.