domenica 13 dicembre 2009

V di avvento

Il nostro itinerario del tempo di Avvento sta giungendo al termine e se spingiamo lo sguardo più in là riusciamo già a vedere l’alba della Divina Maternità di Maria e del Natale del Signore. Oggi ci lasciamo prendere per mano dalla figura del Battista, il Precursore e se da un lato dobbiamo sottolineare la sua singolarità, dall’altra ci sono alcuni tratti della sua spiritualità che siamo chiamati a fare nostri.
Giovanni, per fare eco alla prima lettura, è il compimento della Promessa di Dio di accompagnare il suo Popolo con una Parola chiara che non lo faccia sbandare a destra o a sinistra e, nella fedeltà all’Alleanza, trovi riposo nella Terra Promessa. Per dirla con Gesù, Giovanni è il più grande fra i nati di donna perchè è come Elia, uomo dalla Parola forte, che, senza timore di nessuno, apre la strada al Messia. Viveva nelle solitudini del deserto, lontano dalle commistioni fra politica e religione, quasi come un eremita. Il suo fascino però richiamava le folle e tutti quelli che lo incontravano potevano trovare una parola su cui riflettere, lavorare spiritualmente e poi praticamente convertirsi. Il cuore deve allargarsi come una Tenda per accogliere la presenza di Dio; bisogna rimuovere quegli ostacoli che potrebbero essere da intralcio ai passi spediti di chi Dio desidera incontrare. Il Battista è stato Precursore in tutto rispetto a Gesù: nel servizio reso alla Parola del Regno e anche nella sofferenza e nella Passione. E questo fa di lui una figura del tutto speciale, irripetibile, che ha segnato la storia con la sua singolarità, e di questo dobbiamo prendere atto. Forse, come Israele di fronte a lui, anche noi, in questo scorcio di Avvento, chiediamoci quali tratti dobbiamo cambiare, quali abitudini ci hanno portato lontano dal Signore e dalla logica del suo Vangelo, per aprire l’orizzonte al Natale di Gesù.
Ma, come dicevo, ci sono anche alcuni aspetti della sua spiritualità che ci devono appartenere, che ci interpellano.
Anzitutto il suo essere testimone, con il dito puntato sullo Sposo, felice che incontri la sposa, felice di diminuire di fronte a lui. Il testimone non si mette di mezzo: indica e poi si scansa perchè si avveri l’incontro. Accogliere Gesù nella nostra vita, e nel prossimo Natale ancora ci dichiarerà la sua fedeltà a noi e a questa terra, vuol dire innamorarcene ma poi non possiamo trattenere per noi questa novità: la gioia del credente si moltiplica solo se si condivide. E noi possiamo solo mettere una mano sulla spalla delle persone a cui dobbiamo dare testimonianza ed essere felici, un giorno, di poterli lasciare a tu per tu con il Cristo. Ma allora a che cosa serve la nostra testimonianza se poi dobbiamo venire meno? E Dio non potrebbe fare tutto da solo? Sembra proprio di no! Ha deciso di legare l’annuncio del Vangelo alla nostra parola. Si può credere solo se accanto a te sta qualcuno che ha in cuore una gioia discreta e credibile, solo se vedi in un fratello una speranza diversa da quella che dà il mondo e non è spiegabile nei soli termini razionali, si crede solo se è promettente per la nostra vita la parola della fede che palpita in un altro. Se ci pensiamo bene, se oggi siamo qui, è perchè nella nostra vita abbiamo incontrato qualcuno così. E noi, per chi saremo testimoni affidabili?
Un altro tratto di Giovanni che dobbiamo fare nostro è la sua franchezza, fino a pagare di persona per amore del Vangelo come anche Paolo ci dice nella lettera. Il cristiano sa che solo fino ad un certo punto la società di sempre può andare d’accordo con la logica del pensiero di Dio. Ad un certo punto deve avvenire una frattura, una presa di distanza, deve irrompere nel nostro stile una modalità diversa di gestire il tempo, le cose e le relazioni. E la nostra vita, quasi senza accorgercene, diventa un appello alla coscienza degli altri. Forse solo nella misura in cui avremo dato fastidio a qualcuno avremo compiuto la nostra missione nel mondo. Assecondare chiunque significherebbe essere conformisti. Non si può tacere, per esempio, il riscatto per i poveri, l’annuncio dell’accoglienza agli ultimi e agli stranieri anche se questa parola scomoderà i potenti di turno che magari hanno pensato solo a rapide e pericolose scorciatoie: ma il servizio del Regno è, ultimamente, servizio al mondo.
E infine, essere come il Battista, significa tenere accesa in noi la nostra vocazione profetica, non spegnere la fiamma di quella parola tutta nostra attorno a cui abbiamo raccolto la nostra vita e che è stato il Signore a suggerirci: in poche parole, non dobbiamo smarrire il senso della nostra vocazione. Sarà in nome di questa parola che sapremo affrontare le difficoltà, attraversare la notte anche della fede, e camminare nella speranza del Regno.

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