«Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
L’amore che si fa compassione, il desiderio di offrire un segno del suo essere qui e ora Risurrezione e Vita per muovere alla fede i suoi discepoli e la sua gente, porta Gesù davanti a quel sepolcro a sfidare l’impossibile, l’incontrovertibile legge della natura, a sbaragliare quella pietra posta davanti al sepolcro, segno della definitività della morte. E Lazzaro viene fuori, si libera da ciò che lo imprigionava nel buio e riprende a camminare.
La morte, mistero terribile, non è solo l’atto ultimo della vita: noi la sperimentiamo ogni giorno che passa. È il tempo che scorre ad un certo punto sempre più veloce e ti ritrovi a mettere nel bilancio della tua vita più note negative che positive. Morte è fare i conti con un corpo che inizia a indebolirsi e in cui si stemperano i tratti del suo fascino: la voce, la luce degli occhi, il sorriso. Ma soprattutto morte è quando smetti di sperare nel mondo, in chi ti circonda, in te stesso e il cuore si indurisce. Morire è non darsi più una possibilità quando tocchi con mano il fallimento dei tuoi sogni che ti hanno guidato fino al giorno prima; morire è credere di aver perso definitivamente la battaglia della vita perché non vedi i frutti del tuo spenderti; morire è non provare più passione per la vita. Morte è la croce dei nostri peccati, quando ti accorgi di aver sbagliato e che questo non solo ha lasciato attorno a te un deserto ma soprattutto in te ha distrutto la convinzione di essere e di valere, ti ha aperto ferite difficilmente guaribili. Morte sono le relazioni che si spezzano e che sembrano irreparabili. Morte è quando qualche amico, quando il compagno di viaggio della tua vita, quando qualcuno di caro se ne va per sempre e ti rendi conto di non avergli detto tutto o almeno il necessario, cioè che gli volevi bene. Morte è la solitudine non voluta ma in cui ti hanno costretto con l’indifferenza e la malignità.
Vorrei che anche noi sentissimo il grido di Gesù di fronte alle pietre sepolcrali delle nostre tante morti. Il Signore prova compassione per noi, si fa trovare al crocevia fra il buio della notte e la luce di un’alba nuova: la sua presenza è luce che ad un tratto irrompe e sbaraglia i sigilli della nostra disperazione. E così il tempo che passa diventa occasione per scegliere ciò che realmente vale, facendo un buon uso del tempo come ci raccomanda Paolo; la speranza riprende a sgorgare come un torrente in primavera quando i ghiacci si sciolgono; i fallimenti diventano lezione di vita e i sogni riprendono ad essere mappa per navigare al largo. La morte che è il peccato non è parola definitiva ma lo sono il perdono e la misericordia e la certezza che non c’è sbaglio così grande che il Signore non abbia già perdonato, non c’è punto così basso in cui possiamo essere caduti che il Signore non ci abbia già raccolti. E anche il venir meno di un po’ di noi nella morte dei nostri cari è un invito a raccogliere il loro testimone e a spenderci per ciò che più conta e allo stesso tempo un crescere nella speranza che in Cielo ci sono molti posti e c’è una festa che ci attende, amici da rincontrare e da cui non separasi più. E anche la nostra morte non sarà un passaggio così solitario perché prima di noi l’ha vissuta Gesù e lui, in quel momento, ci tenderà le mani e ci dirà che ci vuole bene e ci attirerà a sé in modo irresistibile, come in una danza.
Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo
Questa tappa di quaresima ci chiede da una parte di purificarci dalle nostre disperazioni e di lasciarci liberare da quelle morti che ci impediscono di vivere da uomini giusti, a immagine del Dio dell’Alleanza, e d’altra parte di fare un coraggioso salto di qualità nella fede. Ho l’impressione molto spesso, guardando in me e attorno a me, che noi cristiani forse non siamo così convinti nella Risurrezione di Gesù e meno ancora della nostra. Forse perché non abbiamo sperimentato la presenza del Dio della vita quando tutto sembrava ormai perduto, forse perché, aldilà dei tanti proclami, noi non siamo così diversi dalla gente di questo mondo che corre senza mete, che fugge dall’idea della morte perché la vede come un muro insuperabile. Se noi credessimo nella Risurrezione non riusciremmo a resistere alla voglia di gioire, saremmo così pieni di beatitudine da contagiare il mondo, non saremmo così tristi a Messa perché vibreremmo alla certezza di incontrare il Risorto, non saremmo così attaccati alle nostre piccole cose, non faremmo fatica a navigare al largo nel mare della storia con lo sguardo dei profeti che scrutano l’orizzonte piuttosto che essere guardiani del faro.
L’amore che si fa compassione, il desiderio di offrire un segno del suo essere qui e ora Risurrezione e Vita per muovere alla fede i suoi discepoli e la sua gente, porta Gesù davanti a quel sepolcro a sfidare l’impossibile, l’incontrovertibile legge della natura, a sbaragliare quella pietra posta davanti al sepolcro, segno della definitività della morte. E Lazzaro viene fuori, si libera da ciò che lo imprigionava nel buio e riprende a camminare.
La morte, mistero terribile, non è solo l’atto ultimo della vita: noi la sperimentiamo ogni giorno che passa. È il tempo che scorre ad un certo punto sempre più veloce e ti ritrovi a mettere nel bilancio della tua vita più note negative che positive. Morte è fare i conti con un corpo che inizia a indebolirsi e in cui si stemperano i tratti del suo fascino: la voce, la luce degli occhi, il sorriso. Ma soprattutto morte è quando smetti di sperare nel mondo, in chi ti circonda, in te stesso e il cuore si indurisce. Morire è non darsi più una possibilità quando tocchi con mano il fallimento dei tuoi sogni che ti hanno guidato fino al giorno prima; morire è credere di aver perso definitivamente la battaglia della vita perché non vedi i frutti del tuo spenderti; morire è non provare più passione per la vita. Morte è la croce dei nostri peccati, quando ti accorgi di aver sbagliato e che questo non solo ha lasciato attorno a te un deserto ma soprattutto in te ha distrutto la convinzione di essere e di valere, ti ha aperto ferite difficilmente guaribili. Morte sono le relazioni che si spezzano e che sembrano irreparabili. Morte è quando qualche amico, quando il compagno di viaggio della tua vita, quando qualcuno di caro se ne va per sempre e ti rendi conto di non avergli detto tutto o almeno il necessario, cioè che gli volevi bene. Morte è la solitudine non voluta ma in cui ti hanno costretto con l’indifferenza e la malignità.
Vorrei che anche noi sentissimo il grido di Gesù di fronte alle pietre sepolcrali delle nostre tante morti. Il Signore prova compassione per noi, si fa trovare al crocevia fra il buio della notte e la luce di un’alba nuova: la sua presenza è luce che ad un tratto irrompe e sbaraglia i sigilli della nostra disperazione. E così il tempo che passa diventa occasione per scegliere ciò che realmente vale, facendo un buon uso del tempo come ci raccomanda Paolo; la speranza riprende a sgorgare come un torrente in primavera quando i ghiacci si sciolgono; i fallimenti diventano lezione di vita e i sogni riprendono ad essere mappa per navigare al largo. La morte che è il peccato non è parola definitiva ma lo sono il perdono e la misericordia e la certezza che non c’è sbaglio così grande che il Signore non abbia già perdonato, non c’è punto così basso in cui possiamo essere caduti che il Signore non ci abbia già raccolti. E anche il venir meno di un po’ di noi nella morte dei nostri cari è un invito a raccogliere il loro testimone e a spenderci per ciò che più conta e allo stesso tempo un crescere nella speranza che in Cielo ci sono molti posti e c’è una festa che ci attende, amici da rincontrare e da cui non separasi più. E anche la nostra morte non sarà un passaggio così solitario perché prima di noi l’ha vissuta Gesù e lui, in quel momento, ci tenderà le mani e ci dirà che ci vuole bene e ci attirerà a sé in modo irresistibile, come in una danza.
Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo
Questa tappa di quaresima ci chiede da una parte di purificarci dalle nostre disperazioni e di lasciarci liberare da quelle morti che ci impediscono di vivere da uomini giusti, a immagine del Dio dell’Alleanza, e d’altra parte di fare un coraggioso salto di qualità nella fede. Ho l’impressione molto spesso, guardando in me e attorno a me, che noi cristiani forse non siamo così convinti nella Risurrezione di Gesù e meno ancora della nostra. Forse perché non abbiamo sperimentato la presenza del Dio della vita quando tutto sembrava ormai perduto, forse perché, aldilà dei tanti proclami, noi non siamo così diversi dalla gente di questo mondo che corre senza mete, che fugge dall’idea della morte perché la vede come un muro insuperabile. Se noi credessimo nella Risurrezione non riusciremmo a resistere alla voglia di gioire, saremmo così pieni di beatitudine da contagiare il mondo, non saremmo così tristi a Messa perché vibreremmo alla certezza di incontrare il Risorto, non saremmo così attaccati alle nostre piccole cose, non faremmo fatica a navigare al largo nel mare della storia con lo sguardo dei profeti che scrutano l’orizzonte piuttosto che essere guardiani del faro.