sabato 28 marzo 2009

Quinta di quaresima


«Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
L’amore che si fa compassione, il desiderio di offrire un segno del suo essere qui e ora Risurrezione e Vita per muovere alla fede i suoi discepoli e la sua gente, porta Gesù davanti a quel sepolcro a sfidare l’impossibile, l’incontrovertibile legge della natura, a sbaragliare quella pietra posta davanti al sepolcro, segno della definitività della morte. E Lazzaro viene fuori, si libera da ciò che lo imprigionava nel buio e riprende a camminare.
La morte, mistero terribile, non è solo l’atto ultimo della vita: noi la sperimentiamo ogni giorno che passa. È il tempo che scorre ad un certo punto sempre più veloce e ti ritrovi a mettere nel bilancio della tua vita più note negative che positive. Morte è fare i conti con un corpo che inizia a indebolirsi e in cui si stemperano i tratti del suo fascino: la voce, la luce degli occhi, il sorriso. Ma soprattutto morte è quando smetti di sperare nel mondo, in chi ti circonda, in te stesso e il cuore si indurisce. Morire è non darsi più una possibilità quando tocchi con mano il fallimento dei tuoi sogni che ti hanno guidato fino al giorno prima; morire è credere di aver perso definitivamente la battaglia della vita perché non vedi i frutti del tuo spenderti; morire è non provare più passione per la vita. Morte è la croce dei nostri peccati, quando ti accorgi di aver sbagliato e che questo non solo ha lasciato attorno a te un deserto ma soprattutto in te ha distrutto la convinzione di essere e di valere, ti ha aperto ferite difficilmente guaribili. Morte sono le relazioni che si spezzano e che sembrano irreparabili. Morte è quando qualche amico, quando il compagno di viaggio della tua vita, quando qualcuno di caro se ne va per sempre e ti rendi conto di non avergli detto tutto o almeno il necessario, cioè che gli volevi bene. Morte è la solitudine non voluta ma in cui ti hanno costretto con l’indifferenza e la malignità.
Vorrei che anche noi sentissimo il grido di Gesù di fronte alle pietre sepolcrali delle nostre tante morti. Il Signore prova compassione per noi, si fa trovare al crocevia fra il buio della notte e la luce di un’alba nuova: la sua presenza è luce che ad un tratto irrompe e sbaraglia i sigilli della nostra disperazione. E così il tempo che passa diventa occasione per scegliere ciò che realmente vale, facendo un buon uso del tempo come ci raccomanda Paolo; la speranza riprende a sgorgare come un torrente in primavera quando i ghiacci si sciolgono; i fallimenti diventano lezione di vita e i sogni riprendono ad essere mappa per navigare al largo. La morte che è il peccato non è parola definitiva ma lo sono il perdono e la misericordia e la certezza che non c’è sbaglio così grande che il Signore non abbia già perdonato, non c’è punto così basso in cui possiamo essere caduti che il Signore non ci abbia già raccolti. E anche il venir meno di un po’ di noi nella morte dei nostri cari è un invito a raccogliere il loro testimone e a spenderci per ciò che più conta e allo stesso tempo un crescere nella speranza che in Cielo ci sono molti posti e c’è una festa che ci attende, amici da rincontrare e da cui non separasi più. E anche la nostra morte non sarà un passaggio così solitario perché prima di noi l’ha vissuta Gesù e lui, in quel momento, ci tenderà le mani e ci dirà che ci vuole bene e ci attirerà a sé in modo irresistibile, come in una danza.
Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo
Questa tappa di quaresima ci chiede da una parte di purificarci dalle nostre disperazioni e di lasciarci liberare da quelle morti che ci impediscono di vivere da uomini giusti, a immagine del Dio dell’Alleanza, e d’altra parte di fare un coraggioso salto di qualità nella fede. Ho l’impressione molto spesso, guardando in me e attorno a me, che noi cristiani forse non siamo così convinti nella Risurrezione di Gesù e meno ancora della nostra. Forse perché non abbiamo sperimentato la presenza del Dio della vita quando tutto sembrava ormai perduto, forse perché, aldilà dei tanti proclami, noi non siamo così diversi dalla gente di questo mondo che corre senza mete, che fugge dall’idea della morte perché la vede come un muro insuperabile. Se noi credessimo nella Risurrezione non riusciremmo a resistere alla voglia di gioire, saremmo così pieni di beatitudine da contagiare il mondo, non saremmo così tristi a Messa perché vibreremmo alla certezza di incontrare il Risorto, non saremmo così attaccati alle nostre piccole cose, non faremmo fatica a navigare al largo nel mare della storia con lo sguardo dei profeti che scrutano l’orizzonte piuttosto che essere guardiani del faro.

sabato 21 marzo 2009

quarta di quaresima


E fu la luce. Le tenebre che coprivano il mondo e rendevano indistinta ogni cosa furono fugate con la prima parola di Dio. La stessa luce penetra negli occhi del cieco nato e quel mondo per lui prima inaccessibile, il mondo da cui doveva dipendere per ogni cosa, il mondo nei confronti del quale talvolta essere guardingo e ostile ora diventa dimora abitabile, spazio in cui giocare la propria libertà, strade su cui inoltrarsi inseguendo desideri fin ora repressi. E anche Dio, il Dio che, per qualche misteriosa colpa sua o dei suoi genitori, fino a poco prima era un nemico contro cui scagliarsi segretamente, cercato in molti e inutili perchè senza risposte, ora è vicino, così vicino da farsi mano che benedice e che sostiene, che plasma la sua creatura, che vuole solo la vita e in pienezza e la restituisce forte ad ogni palpito; quel Dio che, fedele al suo popolo, non solo ha donato un Messia ma lo stesso suo Figlio. E proprio per questo merita l’obbedienza e la dedizione dell’intera vita. Il cieco ricupera uno sguardo nuovo anche su se stesso e, da povero mendicante, abituato a tendere la mano in una povertà che opprimeva la sua stessa dignità, ora si fa discepolo.
Vorrei, Signore, che fosse nostra la stessa esperienza del cieco nato. Perchè, anche se facciamo fatica ad ammetterlo, anche noi spesso non vediamo bene.
Non vediamo bene chi sei aldilà delle nostre immagini che sono solo la proiezione delle nostre perfezioni o delle nostre paure. E ci appari a giorni così lontano, oppure così ingiusto. Apri i nostri occhi perchè vediamo il tuo volto di Padre che ci ama alla follia, tanto quanto la vita del Figlio suo. Apri i nostri occhi perchè ti cogliamo all’opera silenziosamente nella quotidianità e possiamo tornare a sperare. Apri i nostri occhi perchè se tu sei l’amico che pone la sua mano sulla nostra spalla nelle valli oscure delle nostre solitudini o delle nostre paure, delle nostre sofferenze o delle nostre angoscianti domande, possiamo ritornare sereni e con agilità a camminare puntando solo verso l’alto. Apri i nostri occhi perché possiamo fare la sessa esperienza di Mosè che, in quella Tenda posta in mezzo all’accampamento, ti parlava faccia a faccia, come ad un amico e non aveva niente da nasconderti o niente per cui provare paura e ad ogni incontro con te appariva sempre più raggiante. Tu vuoi che noi veniamo a te come degli amici che alzano gli occhi e che ti raccontano con il cuore in mano le proprie gioie e i propri dolori e tu, perché padre, ci doni ogni cosa e non ci fai mancare nulla per completare la nostra gioia. Saremo davvero come questo cieco che è rinato al mondo ma soprattutto alla fede e saremo pronti a seguirti ovunque.
Non vediamo bene chi sono i nostri fratelli che ci stanno accanto per questo siamo come il cieco se tu non passi e non ci guarisci. A volte li consideriamo, soprattutto i più cari, come un possesso su cui spadroneggiare, a volte, feriti da loro, fatichiamo ad ammettere la loro debolezza e a perdonarli. A volte alcuni per noi non esistono, proprio non li vediamo perchè li barrichiamo dietro a muri di invisibilità e sono i più poveri, i più deboli, a volte i giovani di cui abbiamo paura. Apri i nostri occhi perché possiamo essere comunità come desiderava Paolo nella lettera di cui abbiamo ascoltato oggi uno stralcio. La comunità è il luogo dove la mia libertà si intreccia mirabilmente con la libertà degli altri e dove i miei pesi, perché condivisi, si fanno più leggeri e la gioia dell’altro moltiplica anche la mia. La comunità è il luogo dove non rimaniamo imprigionati ma è la forza per cui slanciarsi. La comunità è il luogo alternativo al mondo per essere sempre più evangelici, e quasi come un paradosso, sempre più incarnati in questo mondo.
Ma permettimi, Signore, di dirti che a volte noi non vediamo bene neppure noi stessi perchè ci mettiamo maschere impenetrabili, non vogliamo guardarci dentro perchè abbiamo paura di noi stessi e dei mostri che portiamo nascosti nel nostro cuore. A volte ci sopravvalutiamo ma sempre più spesso ci assale un senso di disistima e crediamo di non valere ai tuoi occhi e agli occhi dei fratelli. Se tu guarisci il nostro sguardo noi saremo creature nuove, debolezza riconosciuta ma colmata della tua potenza, scelti non perché meritevoli ma perché amati. E così comprenderemo fino in fondo le parole iniziali della lettera di Paolo a proposito del nostro corpo. È luogo dove tu manifesti la tua Grazia, il corpo è per te e tu sei per il nostro corpo e non possiamo sciupare neppure un palpito di vita.

domenica 15 marzo 2009

terza di quaresima

Prima di addentrarmi con voi nelle pagine della Scrittura che abbiamo ascoltato, vorrei sottolineare la coincidenza cercata fra questa domenica di quaresima e l’open-day del nostro oratorio.
Quella di oggi non è una festa ma un darci appuntamento in oratorio per mostrare come, attraverso lo sforzo di tanti, sia possibile educare nel solco del Vangelo e della tradizione della Chiesa i ragazzi e i nostri giovani.
L’oratorio non è tanto un recinto a cui appartenere: sarebbe limitativo! Non è un’accozzaglia di iniziative per tenere il più possibile i giovani vicini: sarebbe asfissiante! È un intreccio di percorsi che partono da Gesù, che è Verità, il segreto della felicità di ogni uomo, e a lui ritornano.
Abbiamo letto oggi che la Verità ci farà liberi: Verità e Libertà sono come due grandi orizzonti da cui rispettivamente partire e arrivare nell’educazione di un giovane. La Verità è la luce del Vangelo, è la certezza che Dio ci ama, è la convinzione profonda che ai suoi occhi noi siamo importanti e unici e che ci ha creati preziosi come gli angeli; Libertà è costruire la vita in un progetto definitivo inseguendo la propria vocazione.
I giovani ricercano la Verità, ne sono assetati, non sopportano le mezze misure o le tinte stemperate dei nostri ideali mutili. I giovani sognano la Libertà, quella vera, che è fare della propria vita un capolavoro. Ma nessuno di loro potrà farlo senza un adulto al loro fianco. Smettiamo il pregiudizio verso i giovani e abbattiamo, se esistono, i muri di separazione che li abbandonano nell’anonimato! Il peccato di omissione, a livello educativo, penso sia fra i più frequenti! Smettiamo la separazione rigida fra parrocchia e oratorio quasi che gli ambiti di pastorale siano dei compartimenti stagno! Se ci siamo decisi per Cristo non possiamo non essere testimoni gioiosi, contagiosi di Vangelo! In oratorio c’è bisogno di tutti o almeno, ed è la cosa più importante, della preghiera di tutti!
Ed eccoci ora al percorso quaresimale che ci fa compiere un’altra sosta, la terza, in questa domenica. Ad ogni tappa siamo invitati a riprendere coraggiosamente in mano la nostra vita e a confrontarla con il Vangelo per modellarla con scelte radicali ed autentiche, per non smarrire in noi i tratti di figli di Dio che il Battesimo ci ha donato. La Quaresima bandisce ogni disfattismo: finché ci è dato tempo, dobbiamo strapparlo alla banalità delle mezze misure! Nessuno può alzare le mani in segno di resa e dire che non è più possibile cambiarsi e cambiare la realtà attorno a sé! La Quaresima è una sfida lanciata alla nostra libertà, è una scommessa sulle nostre capacità di avanzare sul cammino in salita della santità. E se domenica scorsa abbiamo riflettuto sulla purificazione della memoria per accogliere la Verità di Dio e a lui orientare il nostro spirito, oggi siamo invitati a purificare le nostre opere, a ricollocarle in sintonia con la nostra fede, bandendo ogni ipocrisia.
Quell’ipocrisia d’Israele che aveva acceso d’ira Dio nei giorni del Sinai: avevano toccato con mano la forza liberatrice del Signore, nel deserto non era mancato loro il necessario per camminare, attendevano la rivelazione della Legge, di quella Verità che ci rende responsabili, e si erano fabbricati un idolo con le loro mani perché la relazione con Dio aveva tratti esigenti, avevano scelto l’autonomia irresponsabile. Ma Dio alla sua Alleanza non è venuto meno.
Paolo ci racconta oggi delle sue fatiche perché la sua comunità rimanga salda nella fede che lui ha predicato. E questa saldezza si deve manifestare non tanto in vuoti raggiri ma in opere coerenti di carità.
Nel Vangelo di oggi Gesù obbliga con pacata fermezza coloro che avevano creduto in lui a smascherarsi e a venire alla luce per quello che in realtà erano. Non importa dichiararsi figli di Dio o di Abramo e poi, con le opere, contraddirsi. Ci deve essere coesione fra il dire e il fare, fra la fede e le opere, fra i principi e l’essere.
La quaresima ci obbliga oggi a interrogarci su tutto questo, a prendere seriamente in mano il nostro quotidiano e a chiederci anzitutto che ne è del nostro vissuto. Nella vita, alla lunga, in effetti, ti ritrovi o a piegare la teoria ai gesti di ogni giorno oppure a deciderti di convertire le tue opere in nome di un ideale che ti ha rapito il cuore. Ma a volte ci piace mentire a noi stessi e agli altri e allora ci mettiamo una maschera sul volto, diventiamo cioè ipocriti, e neghiamo che abbiamo stemperato la forza dei nostri sogni, l’ideale senza riserve del Vangelo accolto in un momento indimenticabile della nostra vita. Mettiamoci nella luce del Vangelo e lasciamoci anche noi smascherare senza riserve: la nostra fede si misura con il termometro delle nostre opere, dei nostri sentimenti, delle nostre scelte concrete in ogni campo.
La Verità che è Gesù ci ridoni il coraggio di una Libertà che si decide per l’amore e non per meno di questo.
Siano benedetti tutti quei fratelli che incontriamo lungo il cammino della nostra vita che, con la correzione fraterna, ci hanno richiamato alla coerenza. Nelle loro parole, a volte dure, c’è stata data la possibilità di convertirci e risalire dal fondo delle nostre ipocrisie.

sabato 7 marzo 2009

seconda di quaresima


L'omelia è come un evidenziatore che scorre sulle pagine della Parola che di domenica in domenica la Sapienza della Chiesa ci offre. Di fronte a brani così ricchi è probabile che la mia attenzione si soffermi su alcuni passaggi e alcuni di voi invece si lascino colpire da altro.
Oggi vorrei con voi semplicemente compiere due passi: anzitutto individuare l’itinerario spirituale della donna di Samaria e raccogliere quelle indicazioni di vita nuova che in esso sono racchiuse; il secondo passaggio è invece di mettere in luce la profonda unità delle tre pericopi ascoltate.
1 Peccato non conoscere il nome di questa donna! Forse l’avremmo potuta ricordare meglio e non solo con un appellativo che la identifica con la sua terra. Il brano ce la fa incontrare in un’ora calda mentre esce al pozzo con la sua anfora. A quell’ora, era sicura, non avrebbe incontrato nessuno. Del resto in pochi le avrebbero rivolto qualche parola. Le altre donne la giudicavano come meritava. Da qualche uomo era stata usata, le avevano strappato l’amore per poi calpestarlo: e lei, ora, con l’amore ci giocava e lo vendeva a caro prezzo; per molti altri, forse, lei restava un sogno proibito; per i più rigidi era una peccatrice a mala pena tollerata. E di valere poco aveva iniziato a crederci anche lei. Forse odiava tutto quello che faceva e tutti quelli che incontrava, compreso il suo nuovo compagno, perché cosa volesse dire amare un uomo ora era solo un ricordo lontano; ostentava sicurezza ma il suo cuore era frammentato e la rabbia le aveva prosciugato ogni lacrima. È con questo bagaglio di miserie che incontra al pozzo, luogo caro alla tradizione biblica per ambientare le tenerezze dei primi incontri, un altro uomo. Le rivolge parole misteriose, per lei che credeva di sapere ormai tutto dalla vita; le parla di un dono di Dio, a lei che la memoria ferita aveva fatto immaginare Dio come un giudice spietato che presto o tardi l’avrebbe attesa al varco. Ma quell’uomo affonda le parole nel cuore del suo problema e le dice tutto quello che lei ha fatto. Quell’uomo le vuole bene ma non come gli altri; quell’uomo di Dio la conosce e non la giudica, la vuole prendere la mano per portarla a fondo. Una luce nuova è entrata nella sua vita, nelle pieghe nascoste del suo cuore, nelle zone d’ombra più impenetrabili e ora, come olio, guarisce le sue ferite. Solo da qui il discorso si può aprire su Dio e sul suo essere Verità e Spirito aldilà di ogni rigida appartenenza alle tradizioni dei popoli. Questa donna può conoscere Dio solo perché si è sentita riconosciuta da lui e amata; questa donna può accedere al Mistero di Verità perché ha fatto esperienza di verità nella misericordia; questa donna si apre allo Spirito di Dio che le fa sentire la tenerezza di un abbraccio riconciliante e a lungo atteso con il Padre. E ora è pronta a lasciare la brocca e a correre in città, prima testimone in terra straniera della presenza in Gesù del Regno che salva.
L’esperienza spirituale di questa donna deva dare i lineamenti alla nostra. Per accedere alla Verità di Dio non puoi non lasciarti riconciliare con lui nella memoria ferita. Se vuoi adorare il Dio vivo e vero devi lasciarti conoscere da lui, sentire il suo sguardo che non giudica ma che dona pace, devi aver sentito l’abbraccio riconciliante del Padre. Se vuoi essere testimone devi aver sperimentato sulla tua pelle che il Vangelo è parola di salvezza anzitutto per te e poi per il mondo intero. La Grazia cerca nel mondo ciò che è piccolo e imperfetto per renderlo suo strumento.
2 L’unità profonda della Parola ascoltata oggi allora è questa: il volto di Dio, anticipato nella Legge del Sinai, è quello annunciato da Gesù alla donna di Samaria, il Padre della misericordia. E questo deve avere una attuazione concreta nella vita del quotidiano, a livello personale e comunitario come ci raccomanda Paolo. Se hai incontrato il Dio di Gesù, non puoi che vivere con ogni magnanimità e dolcezza, non puoi che creare unione attorno a te. Come comunità di credenti, di riconciliati con Dio, forse dovremmo essere più impegnati non a giudicare l’altro ma ad accoglierlo. Quanti figli di Dio dispersi ritornerebbero volentieri al Padre se incontrassero una Chiesa più disposta al perdono che alla condanna, più consapevole di essere strumento di misericordia che di accusa. Questa parabola tocca a tutti noi insieme costruirla per far vibrare il nostro mondo della consapevolezza dell’amore del Padre.

domenica 1 marzo 2009

prima di quaresima


Inizia oggi un nuovo tempo liturgico che, nella scansione offerta dal nuovo Lezionario ambrosiano, si chiama Mistero della Pasqua del Signore; è diviso in due tempi: la Quaresima e il tempo successivo che va dalla Pasqua alla Pentecoste. Mi sembra già uno spunto interessante sottolineare la profonda unità che sta fra la Quaresima e la Pasqua, fra quello che, metaforicamente, potremmo chiamare il cammino e la meta. Quando qualche anno fa, con un gruppo di giovani, abbiamo scelto di incamminarci a piedi verso Santiago di Compostela, abbiamo dovuto pianificare il cammino, programmare le soste, abituarci all’idea della fatica, liberare lo zaino di pesi inutili dovendo essere nostro insostituibile compagno di viaggio. Ma la meta da raggiungere valeva la fatica del cammino. Quando hai una meta da raggiungere i passi si fanno agili, il cammino ti rende leggero, la Grazia ti fa compagnia. E la meta si carica di bellezza e di fascino solo grazie alla fatica dei singoli passi. Quaresima è il tempo per preparare il cuore alla Pasqua: ma solo la voglia di arrivare a destinazione, di celebrare cioè bene il mistero dell’Amore di Dio che ha dato il suo Figlio per noi, ci può far decidere oggi di entrare in questo cammino faticoso di preparazione. Nella Pasqua è contenuta la nostra Verità di figli di Dio, il nostro essere creature nuove: la quaresima serve a guadagnare questa consapevolezza e a correggere tutte quelle abitudini sbagliate a cui lo scorrere del tempo sembra condannarci.
L’itinerario delle letture dei vangeli delle domeniche di Quaresima non è cambiato. In effetti il loro ricordo lo troviamo già nella predicazione di Ambrogio: è un patrimonio antichissimo a cui il nuovo Lezionario non poteva rinunciare. Solo variano, su un ciclo triennale, le prime due letture che si sintonizzano meglio con le pericopi evangeliche. Sono domeniche intense che, dopo la prima che si offre come un portale d’ingresso al cammino pasquale, ci riportano ai temi maggiori della fede, ci chiamano a fare nostra la scelta di essere figli di Dio, dono che abbiamo ricevuto con il Battesimo.
Apriamo allora lo scrigno della Parola di Dio di quest’oggi. Come dicevo prima è una domenica che ci introduce al tempo di Quaresima, un vero e proprio portale attraverso cui passare che richiama le motivazioni per intraprendere questo nuovo cammino e anche i segni che lo accompagneranno. Dunque la domanda sottesa e che deve accompagnarci nella preghiera, anche personale, di oggi è sul nostro desiderio di fare quaresima. Desidero mettermi in cammino? Desidero correggere il tiro dei miei giorni per riscoprire la mia verità di figlio di Dio? Desidero educare la mia volontà, la mia libertà alla scuola del Vangelo? Forse questa Quaresima mi sorprende, avrei desiderato altro tempo per prepararmi meglio ma il dono è arrivato imprevisto e non è detto che lo sconcerto non si trasformi in stupore. La proposta di un viaggio è sempre e comunque intrigante!
Siamo chiamati al digiuno, come richiama il papa nel suo messaggio, alla sobrietà a cui ci invita il nostro Arcivescovo. In effetti, educarsi ad un corretto uso dei beni, rinunciare in alcuni momenti a qualcosa di essenziale come il cibo, modella la nostra volontà, affina i tratti interiori, riporta il cuore a ciò che veramente è essenziale. Ma Isaia, nella prima lettura, ci parla di un digiuno non solo esteriore. Bisogna operare scelte di giustizia, di verità, di Carità concreta. Dio è riconciliazione, la sua mano è tesa per offrici perdono e pace ma il cuore deve cambiare rotta, deve lasciarsi placare e non essere come quelle acque agitate che lasciano emergere melma e fango. Allora scegliamo pure di rinunciare a qualcosa ma ricordiamo che tutto deve essere finalizzato a fare di noi donne e uomini pieni d’amore.
Oggi riceveremo le ceneri sul capo. Il sacerdote ricorderà che siamo polvere e polvere ritorneremo. È un richiamo alla nostra finitezza, all’attimo che fugge, all’urgenza di non perdere tempo e di non permettere che altro o altri vivano al nostro posto. Collego questo segno alla lettura di Paolo. L’uomo esteriore si corrompe ma si forma l’uomo nuovo. Più passa il tempo e più in noi dobbiamo sentire il desiderio dell’eternità, il bisogno di una comunione definitiva con Dio; come scriveva il cardinale Martini dobbiamo riconciliarci con l’idea della morte perché sarà il nostro estremo atto di abbandono al Padre, senza più scorciatoie. Il tempo passa, solo Dio resta: per cosa decidiamo di spendere questa nostra vita? Che cosa ha valore e merita il dono totale di noi stessi?
E infine la pagina di Vangelo. È lo Spirito a condurre Gesù nel deserto per 40 giorni; un cammino impegnativo e faticoso, come per noi può essere la Quaresima, è dettato dallo Spirito di Dio che non si stanca di lavorare in noi e per noi. Anche la tentazione, che non è il peccato ma la possibilità di scegliere una strada alternativa, una scorciatoia alla logica del Vangelo, diventa possibilità per compiere scelte autentiche secondo il cuore di Dio. E Gesù, in quel deserto, decide di essere Dio e non di sembrarlo, di essere Messia e di non corrispondere alle attese troppo umane che venivano nutrite su di lui. E così lui sarà il Dio che non ha altra forza se non la Parola per presentarsi all’uomo e non il Dio che piega la libertà della creatura stravolgendo l’ordine delle cose, fosse anche per saziare la fame del mondo. Lui sarà il Dio dell’essere e non dell’apparire, che conquisterà uno ad uno i suoi figli con la fatica della ricerca del pastore incontro alle pecorelle smarrite. Lui sarà il Dio povero che chiama potere il servizio disinteressato.
Le sue scelte devono essere anche il nostro orizzonte. Se vuoi fare quaresima devi volere anche per te quanto lui ha desiderato, devi farti forte solo della Parola; essere e non apparire, costruire cioè un’interiorità autentica rinunciando ad ogni formalismo; devi essere servo perché qui sta la forza del cristiano.
Il ramo secco inizia a fiorire a contatto con l’acqua. La nostra vita spirituale in questa quaresima può riprendere forma per il bene nostro e del mondo intero.