Così scrive Agostino, un
ragazzo rinchiuso a forza nel centro salesiano di Arese. Uno dei tanti. Aveva quattordici
anni e chiesero a lui e agli altri compagni, in un campeggio in Valformazza, di
comporre una preghiera. Morì a sedici anni. Chissà se finalmente riuscì a
trovare qualcuno che gli volesse bene e che, senza troppe parole, gli
raccontasse l’amore di Dio: l’amore, l’unica forza che attrae senza fare
violenza, l’unica mano che ti modella senza deformare nulla, l’unica cosa che
mette in ordine tutto senza spostare niente.
Detto così, forse, si
comprende perché il lezionario ambrosiano ci obbliga a fare sosta sul tema
della Misericordia e del Perdono in queste due domeniche che precedono la
quaresima, il tempo in cui sei chiamato a riordinare la tua vita, a orientare
nuovamente la tua libertà nella direzione dell’amore, a prendere fra le mani le
tue scelte per renderle profumate di Vangelo, per mettere il lievito nuovo
nella pasta della tua ordinarietà: non c’è conversione senza la percezione che
chi ti chiama a cambiare è il Dio dell’amore.
E noi che Dio abbiamo
incontrato nella nostra vita? Forse dovremmo mettere al bando per sempre l’idea
tutta nostra di una santità che è solo diversità, alterità inaccessibile se non
per sentieri inestricabili di faticosa ascesi. L’avvenimento che ci precede è l’affacciarsi
di Dio nella storia, il suo sporcarsi con la nostra vita, anche con le pagine
più drammatiche e nauseanti delle nostre biografie; la sua santità - la sua
diversità - è proprio l’amore che si colora di tutte le sfumature possibili,
anche la rabbia e la gelosia ma che, in sintesi, è Misericordia, mano teso,
perdono incondizionato. Proprio per questo Gesù, quando parlava di Dio, non ha
trovato un modo migliore di chiamarlo se non Padre. Padre perché si assume il
rischio di dare libertà, perché ti mette con le spalle al muro ma perché sa
quanto vali, perché non solo ci vuole bene ma si inventa con una creatività
tutta sua il modo per dimostrarcelo, perché non ti toglie nulla ma ti dona
tutto e se cerchi la felicità, nella sua alleanza, tu ne trovi le coordinate.
Levi, Matteo, quel giorno si
imbatte proprio in un Dio così. Penso, come capita molto spesso a noi, che lui
fosse il primo a provare disgusto per la sua vita: noi infatti siamo i giudici
più severi di noi stessi. La sua vita era fatta di molto denaro frutto in gran
parte di corruzione e procacciato in modo illecito. All’inizio forse
accarezzava l’idea che potesse bastargli, forse lo confortavano quegli amici che
circondano i ricchi più per quello che hanno che per quello che sono; forse il
giudizio dei benpensanti e l’odio della gente comune all’inizio era solo un
fastidio. Ma alla fine anche lui si sarà sentito solo e con la voglia di dare
un cambio di rotta alla sua vita ma gli mancava la forza o proprio qualcuno che
davvero gli volesse bene. “seguimi”: ecco la promessa di un orizzonte diverso.
Gli occhi di chi lo chiamava, fissi nei suoi, probabilmente brillavano di un
amore mai sperimentato prima, un amore che dà sostegno a quella promessa. E solo
allora si alza, riprende a camminare, sente che la sua vita può essere schiodata
da un passato che non lasciava spazio al futuro ma solo a un presente
malinconico. Gli occhi di Gesù…il racconto di quello sguardo avrà messo nel
cuore a tutti i peccatori di quella città la voglia di incontrarlo per trovare
riscatto e quella dignità di creature.
Vorrei che tutti noi
incrociassimo questo sguardo. Saremo eterni analfabeti di Vangelo se non
incontriamo il perdono di Dio, se almeno una volta nella vita non lasciamo che
il suo perdono dia luce agli angoli bui che nascondiamo abilmente a tutti e in
cui non vogliamo mai scendere per vergogna, se non lasciamo che il suo amore ci
faccia fare la pace con quei mostri che abbiamo dentro. Dio cerca ogni giorno
di abbattere il muro della nostra presunta capacità di salvarci con le nostre
forze passando attraverso quegli spiragli che sono le nostre ferite e la nostra
sete di felicità.
E quando avremo scoperto che è
bello lasciarci salvare, amare per quello che siamo, potremo fare nostri i
tratti di questa misericordia, essere figli che portano indelebile, come
marchio di fabbrica, l’amore che salva. Ma questo è già il miraggio di una
comunità, di una Chiesa, che non condanna ma che fa verità nella misericordia e
che si fa casa accogliente per tutte le pietre di scarto di questo mondo.
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