Ecco
la prospettiva teologica che ci viene proposta dalla Liturgia della Parola di
questa domenica. Se dovessimo trovare un sottotitolo questo potrebbe essere: la salvezza e il rifiuto. Perché sia
Isaia che il Vangelo in particolare ci raccontano, in termini differenti, lo
stesso mistero di tenebre che soffocano la luce presenti nel cuore dell’uomo. È
un filo rosso che, a ben pensarci, percorre tutta la Scrittura. Da una parte un
Dio che predilige e sceglie come eredità un popolo e non si arrende perché ha
deciso di impegnarsi per sempre nella Alleanza e, dall’altra, l’uomo che si
chiude, si oppone, percorre un’altra strada, cammina su sentieri di autonomia
che alla fine si risolvono sempre in disgregazione e ingiustizia verso il
fratello. È così da Adamo in poi. Il Vangelo lo dice in modo parecchio
drammatico: se uno si presentasse nel suo nome il Popolo lo accoglierebbe, ma
proprio perché Gesù viene da Dio, proprio perché ascoltando lui e vedendo i
suoi gesti puoi avvertire il brivido della presenza dell’eterno e dell’infinito,
allora ti chiudi, te ne allontani, lo imprigioni in categorie del tutto umane
per mettere a tacere la coscienza e non porti nemmeno una domanda sulla sua
pretesa Verità di essere dal Padre.
Ma
perché accade questo, perché la libertà dell’uomo si chiude di fronte alla
rivelazione di Dio, perché, piuttosto che approdare in lui e mettere a tacere
le ansie che abitano nel suo cuore da sempre, insieme a milioni di domande irrisolte, l’uomo decide
di alzare un muro? Credo che una sorta di risposta, pur complessa e dettata da
mille altre sfumature dipendenti dalla vita di ciascuno, sia proprio da ricercare
in quella paura che hai di perdere te
stesso. Credo davvero che l’uomo abbia paura che Dio in qualche modo voglia
privarlo di qualcosa, che la sua presenza lo costringa a violare la sua
libertà, che gli chieda di scendere a un compromesso che svilisce la sua
felicità. Questa è la paura di Adamo che apre gli occhi e crede che il comando
di Dio lo privi di un qualcosa, la paura che si fa terrore poi quando avverte i
suoi passi nel Giardino.
Provo
a pensare anche alla nostra vita. Anche noi spesso siamo tentati di chiuderci a
Dio, di non voler scrutare i segni dei tempi per non accorgerci del suo passaggio,
oppure capita, a volte, di vedere bene quali sono le sue orme al suo passaggio
nella nostra vita ma di voler andare in tutt’altra direzione. Quante scuse
accampiamo per non pregare, per non ritagliarci un’isola di deserto e di
silenzio nel frastuono della città perché sappiamo che saremmo messi con le spalle
al muro e di fronte a lui ci scopriremmo creature sempre di corsa ma senza
spesso sapere come, dove e perché. Quante volte anche noi preferiamo chiudere
la Parola perché ci obbligherebbe a una reale conversione, troppo impegnativa. Quante
volte anche le nostre Eucarestie sono vissute nell’intimismo perché se la
corrente della carità di Cristo ci travolgesse ci scopriremmo poi obbligati a
fare di noi un dono per gli altri, ci sentiremmo in dovere almeno di lavarci i
piedi gli uni gli altri. Vorrei allora proporre due chiavi risolutive per il
nostro discorso, come due ancore a cui aggrapparci se ci siamo accorti che
anche nella nostra vita c’è il rischio di un naufragio perché ci siamo chiusi in
noi stessi e stiamo perdendo di vista l’essenziale.
Non abbiate paura, Cristo non toglie nulla
ma dona tutto. Lo diceva Giovanni
Paolo II nel giorno in cui ha iniziato il suo ministero. Parole che poi lui ha
avuto il coraggio anche di declinare in scenari non solo religiosi m anche
politici ed economici. E quando scopriremo che l’unico modo per riscattare la nostra vita dalla banalità è proprio
arrendersi a Cristo avremo scoperto che la nostra gioia non è stata per nulla sminuita
ma, anzi, si è moltiplicata all’infinito per noi e per la vita del mondo.
In
Isaia abbiamo letto che Dio muove guerra al suo popolo. E proprio la crisi, la
solitudine, la miseria, lo sgomento portano Israele a invocare Dio di rivelarsi
ancora. Sembra strano ma davvero Dio ogni tanto ci fa guerra, o meglio, come
farebbe un padre, per amore, ci lascia andare anche al costo di farci raschiare
il fondo di noi stessi e farci provare il brivido della miseria. Nei momenti di crisi, di dolore, di fronte
alla nostra povertà e al nostro limite, di fronte alla morte, sentiamo in noi
una forza che ci spinge a guardare ancora una volta in alto. Non sentiamo
vergogna perché, dall’altra parte, c’è il volto di un Padre e un abbraccio che
ci riporta a casa.
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