Vado perché non reggo più la frenesia
che scuote questa città.
Resto perché
non saprei più obbedire a un ritmo diverso e, in quest’obbedienza, trovo a
tratti la pace del cuore. Vado perché ai
palazzi, alle strade, al traffico preferisco la solitudine affascinante del
deserto.
Resto perché fra i palazzi, le strade, il traffico io trovo il mio
deserto.
Vado perché la folla mi
spaventa.
Resto perché in questa folla ancora ritrovo, ultimo fra gli
ultimi, Gesù.
Vado perché non sopporto l’anonimato che
rende grigia la gente di questa città. Resto perché voglio strappare dall’anonimato qualcuno da amare.
Vado perché qui tutto mi pesa.
Resto perché, se condividiamo i nostri pesi, tutto si fa più leggero.
Vado perché mi stanno strappando a poco a poco il futuro.
Resto perché il futuro sono io qui e ora con le mie scelte.
Volevo
solo dare voce e condividere le mie sensazioni, contraddittorie certo, che
emergono quando penso alla città e mi penso cittadino in un angolo di una trama
complessa e gigante.
E
mi sento autorizzato a farlo oggi, in questa IV domenica di avvento, perché contempliamo
Gesù che entra a Gerusalemme, che decide di terminare il suo cammino fissando i paletti della sua tenda proprio
nella grande città, di voler affondare le sue radici lì dove l’uomo corre,
lavora, prega, si incontra, progetta il futuro. Qui Gesù porta a compimento la
sua incarnazione condividendo con noi anche la morte, abitandola per poi
trasformarla in vita dal di dentro.
Questo
brano è tipico della tradizione ambrosiana e vuole ricordarci che Gesù, come è
entrato nella città, e anche oggi, in modo nascosto continua ad abitarla nel
cuore di chi crede, nelle vene nascoste della storia, così ritornerà alla fine del
tempo. Nel primo atto sotto i segni della piccolezza e del nascondimento, nell’ultimo
atto nella gloria di un giudizio che unirà verità e misericordia, giustizia e
pace. E così anche noi, che ci sentiamo a tratti piccoli e smarriti nella corsa
della nostra città, sappiamo che il
nostro tempo è destinato ad approdare non al nulla ma all’incontro con il
Signore. E cambia tutto pensarsi come risucchiati dal buio oppure dirigersi
verso la luce, sapendo che tutto è per il nostro bene e per la nostra gioia,
con in mano una mappa dettagliata tracciata con l’inchiostro della Speranza.
Vorrei
quest’oggi trovare con voi, in una
sintesi approssimativa della Parola ascoltata e ispirandomi a un testo del
cardinale C.M. Martini, qualche indicazione su questa mappa. Come dobbiamo
abitare noi la città nell’attesa della venuta di Gesù, volendo noi essere un prolungamento vivo e agile (Madeleine
Delbrel, il ballo dell’obbedienza in Noi delle Strade) della sua presenza,
custodendo la sua memoria, sapendoci accompagnati da lui? Cosa è essenziale e
non va smarrito. E ho pensato a queste 5 indicazioni
L’amore per la preghiera, per il
deserto. Se attendiamo la salvezza da
qualche riforma, da qualche progetto innovativo, da uomini forti capaci di
promettere utopie, rischiamo di restare delusi. La città la salva chi osa
concedersi spazi di contemplazione, chi dà alla nostalgia del cielo il suo
tempo migliore, chi sta con Gesù per ascoltare la sua Parola e farsi cambiare
giorno dopo giorno il cuore per poi rituffarsi a capofitto nell’ordinario con
occhi nuovi, mani pronte a servire e a dare la vita per amore. E Gesù sapeva
ogni mattina, molto presto, uscire dalla città per ritirarsi a pregare, a
gettarsi a capofitto nel dialogo cuore a cuore con il Padre. E questo era il
segreto della sua gioia discreta che contagiava e lo rendeva così luminoso.
La bellezza dell’amicizia. La città tende a seppellire nell’anonimato. L’amicizia
che nasce dalla condivisione di qualche passione comune, rende l’altro un dono
prezioso per la tua vita. Sono i piccoli gruppi di amici che voltano le spalle al mondo che lo salveranno (C. Lewis, I
quattro Amori). Anche Gesù esce da
Gerusalemme per rifugiarsi a Betania e trovare nel cenacolo di quell’amicizia la
forza per donare la sua vita.
La forza della profezia e dei segni. Il cristiano non può firmare deleghe in bianco a
nessuno e sgravarsi della responsabilità di rendere più bella, più simile al
Paradiso la sua città. Deve porre segni che indicano soluzioni al problema,
deve essere libero di dire la sua Speranza o di denunciare la logica che
calpesta la dignità dell’uomo. Bisogna porre segni profetici che inquietino la falsa pace delle coscienze
e che dicano un futuro alternativo.
Proprio per dire la sua voglia di essere il Messia piccolo, povero, nascosto
Gesù sceglie di mostrarsi su un asino.
Il coraggio del dialogo. In una città sempre più complessa e articolata il
credente oggi è l’uomo del dialogo, dell’incontro ma non per fare sintesi ma
per accogliere l’altro nella sua vita, per dare spazio alle domande e per
cercare sinceramente con i fratelli la Verità.
La bellezza dell’accoglienza. E infine, l’ultimo atteggiamento che vorrei richiamare,
è quello dell’accoglienza, di fare spazio dentro di sé e nella propria vita e, perché
no, nelle nostre case, all’altro. Nell’altro c’è sempre un dono di Dio e per me
e l’occasione per incontrarlo e amarlo. Mentre fai spazio a lui in realtà fai
spazio proprio al Signore. Mentre hai paura di perdere, e in realtà accogliere
è sempre un po’ perdersi, ti ritrovi più ricco, inaspettatamente si schiude un
orizzonte di senso che non immaginavi. Accogliere il povero, metterlo al tuo
livello nella tua vita, dilata a dismisura la libertà e la gioia.
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