domenica 4 dicembre 2011

4 domenica di Avvento - l'ingresso del Messia


Vado perché non reggo più la frenesia che scuote questa città.
Resto perché non saprei più obbedire a un ritmo diverso e, in quest’obbedienza, trovo a tratti la pace del cuore. Vado perché ai palazzi, alle strade, al traffico preferisco la solitudine affascinante del deserto.
Resto perché fra i palazzi, le strade, il traffico io trovo il mio deserto.
Vado perché la folla mi spaventa.
Resto perché in questa folla ancora ritrovo, ultimo fra gli ultimi, Gesù.
Vado perché non sopporto l’anonimato che rende grigia la gente di questa città.
Resto perché voglio strappare dall’anonimato qualcuno da amare.
Vado perché qui tutto mi pesa.
Resto perché,  se condividiamo i nostri pesi, tutto si fa più leggero.
Vado perché mi stanno strappando a poco a poco il futuro.
Resto perché il futuro sono io qui e ora con le mie scelte.

Volevo solo dare voce e condividere le mie sensazioni, contraddittorie certo, che emergono quando penso alla città e mi penso cittadino in un angolo di una trama complessa e gigante.
E mi sento autorizzato a farlo oggi, in questa IV domenica di avvento, perché contempliamo Gesù che entra a Gerusalemme, che decide di terminare il suo cammino fissando i paletti della sua tenda proprio nella grande città, di voler affondare le sue radici lì dove l’uomo corre, lavora, prega, si incontra, progetta il futuro. Qui Gesù porta a compimento la sua incarnazione condividendo con noi anche la morte, abitandola per poi trasformarla in vita dal di dentro.

Questo brano è tipico della tradizione ambrosiana e vuole ricordarci che Gesù, come è entrato nella città, e anche oggi, in modo nascosto continua ad abitarla nel cuore di chi crede, nelle vene nascoste della storia, così ritornerà alla fine del tempo. Nel primo atto sotto i segni della piccolezza e del nascondimento, nell’ultimo atto nella gloria di un giudizio che unirà verità e misericordia, giustizia e pace. E così anche noi, che ci sentiamo a tratti piccoli e smarriti nella corsa della nostra città, sappiamo che il nostro tempo è destinato ad approdare non al nulla ma all’incontro con il Signore. E cambia tutto pensarsi come risucchiati dal buio oppure dirigersi verso la luce, sapendo che tutto è per il nostro bene e per la nostra gioia, con in mano una mappa dettagliata tracciata con l’inchiostro della Speranza.

Vorrei  quest’oggi trovare con voi, in una sintesi approssimativa della Parola ascoltata e ispirandomi a un testo del cardinale C.M. Martini, qualche indicazione su questa mappa. Come dobbiamo abitare noi la città nell’attesa della venuta di Gesù, volendo noi essere un prolungamento vivo e agile (Madeleine Delbrel, il ballo dell’obbedienza in Noi delle Strade) della sua presenza, custodendo la sua memoria, sapendoci accompagnati da lui? Cosa è essenziale e non va smarrito. E ho pensato a queste 5 indicazioni

L’amore per la preghiera, per il deserto. Se attendiamo la salvezza da qualche riforma, da qualche progetto innovativo, da uomini forti capaci di promettere utopie, rischiamo di restare delusi. La città la salva chi osa concedersi spazi di contemplazione, chi dà alla nostalgia del cielo il suo tempo migliore, chi sta con Gesù per ascoltare la sua Parola e farsi cambiare giorno dopo giorno il cuore per poi rituffarsi a capofitto nell’ordinario con occhi nuovi, mani pronte a servire e a dare la vita per amore. E Gesù sapeva ogni mattina, molto presto, uscire dalla città per ritirarsi a pregare, a gettarsi a capofitto nel dialogo cuore a cuore con il Padre. E questo era il segreto della sua gioia discreta che contagiava e lo rendeva così luminoso.   

La bellezza dell’amicizia. La città tende a seppellire nell’anonimato. L’amicizia che nasce dalla condivisione di qualche passione comune, rende l’altro un dono prezioso per la tua vita. Sono i piccoli gruppi di amici che voltano le spalle al mondo che lo salveranno (C. Lewis, I quattro Amori). Anche Gesù esce da Gerusalemme per rifugiarsi a Betania e trovare nel cenacolo di quell’amicizia la forza per donare la sua vita.

La forza della profezia e dei segni. Il cristiano non può firmare deleghe in bianco a nessuno e sgravarsi della responsabilità di rendere più bella, più simile al Paradiso la sua città. Deve porre segni che indicano soluzioni al problema, deve essere libero di dire la sua Speranza o di denunciare la logica che calpesta la dignità dell’uomo. Bisogna porre segni profetici che inquietino la falsa pace delle coscienze e che dicano un futuro alternativo. Proprio per dire la sua voglia di essere il Messia piccolo, povero, nascosto Gesù sceglie di mostrarsi su un asino.

Il coraggio del dialogo. In una città sempre più complessa e articolata il credente oggi è l’uomo del dialogo, dell’incontro ma non per fare sintesi ma per accogliere l’altro nella sua vita, per dare spazio alle domande e per cercare sinceramente con i fratelli la Verità.

La bellezza dell’accoglienza. E infine, l’ultimo atteggiamento che vorrei richiamare, è quello dell’accoglienza, di fare spazio dentro di sé e nella propria vita e, perché no, nelle nostre case, all’altro. Nell’altro c’è sempre un dono di Dio e per me e l’occasione per incontrarlo e amarlo. Mentre fai spazio a lui in realtà fai spazio proprio al Signore. Mentre hai paura di perdere, e in realtà accogliere è sempre un po’ perdersi, ti ritrovi più ricco, inaspettatamente si schiude un orizzonte di senso che non immaginavi. Accogliere il povero, metterlo al tuo livello nella tua vita, dilata a dismisura la libertà e la gioia.

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