Parto dalle suggestioni di Paolo nella lettera a
Timoteo. Grande è il mistero della nostra fede. E poi ne mostra la
paradossalità. Gesù è uomo ma è anche Dio, vive nella Gloria ma cammina con noi.
Questo è il traguardo che l’intelligenza
della fede conquista dopo la sua Ascensione. Noi non crediamo semplicemente
in Dio. Noi non pensiamo che Dio sia dall’altra parte della nostra storia,
delle nostre fatiche, della nostra gioia e dei nostri mille perché. Noi non
possiamo immaginarci Dio come affacciato ad un balcone che guarda con apatica
indifferenza lo scorrere del nostre tempo, oppure che si destreggia come un
abile burattinaio a muovere i fili delle nostre vite. In Gesù noi abbiamo
incontrato l’uomo che ci ha raccontato che Dio è Padre e che lotta per sempre
dalla nostra parte, il Signore che si sporca le mani con la nostra storia, il Padre
pieno di premure che non si ferma per amore nemmeno davanti all’abisso della nostra
colpa; Gesù è il segno più evidente di questo amore quando stende le braccia
sulla croce e in segno di riconciliazione spezza la sua vita; e la morte non ha
messo fine a questa parabola di amore, quel Dio lo ha risuscitato e in questo
accadimento abbiamo compreso che anche lui era Dio, il Dio con noi. La nostra
fede è davvero paradossale, diversa, alternativa, scandalosa. Unisce la
dimensione verticale a quella orizzontale, ci racconta non semplicemente dello slancio dell’uomo verso l’alto ma soprattutto
del piegarsi del cielo sulla terra. Dai giorni dell’Ascensione, da quando cioè
Gesù ha messo un termine alle sue apparizioni agli Undici, noi non lo vediamo
più ma comprendiamo chi è, sappiamo cioè che la nostra storia è segnata per
sempre dal suo passaggio, non ci sentiamo più soli, e nemmeno dispersi ma
incamminati verso l’orizzonte dell’infinito e dell’eterno, stringiamo fra le
mani una bussola che ci dice che vivere a sua immagine, vivere nella logica del
Vangelo che ci chiede di amare senza misura, ha davvero senso e ci riscatta da
ogni ripiegamento e banalità.
In attesa
dello Spirito. Solo lo Spirito ci può dare lo slancio per rimanere fedeli a
questa Parola.
Il brano di Vangelo ci riporta a quel cenacolo in
cui Giovanni colloca il lungo discorso di Gesù ai suoi che termina con la
preghiera di cui oggi abbiamo ascoltato la parte finale. Gesù sa che sarà tolto
ai suoi e li lascerà camminare nel mondo. Fra i suoi ci siamo anche noi. Mi colpisce
anzitutto questo farsi da parte di Gesù, il suo ritrarsi, la sua intenzione di
andare, sparire, lasciare spazio. È un atteggiamento proprio delle persone più
grandi. Sa di aver dato ai suoi ogni cosa, di aver inciso nei loro cuori con il
segno della Parola, è come se li avesse equipaggiati con il necessario perché possano
camminare ora da soli, proprio come un bravo istruttore, dopo aver spiegato
loro ogni cosa, sa che devono buttarsi in acqua per imparare a nuotare davvero.
È da Dio questo fidarsi della libertà dell’uomo. Deve andarsene perché loro
possano restare. Deve sparire perché loro possano affermarsi. Deve lasciare la
presa della loro mano perché possano spiccare il volo. E in questo momento così
delicato prega per loro, prega per noi.
Mi colpiscono alcuni passaggi di questa preghiera
che per noi resta come una carta progettuale per non smarrire l’intenzione di Gesù
per la sua Chiesa.
Non li tolgo
dal mondo. Il
credente sa che il suo orizzonte è questo mondo in cui Gesù ha voluto
incarnarsi, anzi, come lui ha deciso di sprofondare nelle dinamiche della
storia, sporcarsi le mani con tutto ciò che di bene e di male il mondo offre,
anche noi non possiamo fuggire in nome della nostra fede, siamo chiamati a
stare dove s’intrecciano i sentieri degli uomini e dove si gioca la partita
della vita. il credente sa che non c’è altra possibilità di incontrare Dio e di
annunciare Dio se non al crocevia della città degli uomini. Amare la storia e
segnarla con il passo della fede è amare Dio.
La pienezza
della mia gioia. È questa la cifra ultima che contraddistingue il credente dagli
altri. La gioia è la consapevolezza profonda di essere nel palmo della mano di
Dio, custoditi dal suo amore, guidati dalla sua premura di Padre.
Siano una cosa
sola. È forse
la consegna più difficile che Gesù ci affida,. Non giochiamo la sfida della
fede in solitaria, siamo chiamati alla fede nella Chiesa e ad essere una cosa
sola, siamo chiamati a lavarci i piedi gli uni gli altri e rimanere uniti proprio
nel servizio e nel perdono e nell’accoglienza. La divisione ci darà l’apparenza
di camminare più veloci, liberi dalla zavorra dell’altro ma non ci porterà
molto lontano.
Come la prima
comunità
Quando sento un brano come quello degli Atti sento
dilagare in me la nostalgia di una Chiesa che viveva nella consapevolezza
profonda di essere condotta per mano dallo Spirito di Cristo fino ad apparire
imprudente, ingenua, banale. Chi fra noi si affiderebbe alla sorte per una
scelta tanto impegnativa come quella di rimpiazzare il posto di un apostolo. Eppure
Pietro e gli altri azzardano così tanto perché vivono la dimensione della fede.
Come mi piacerebbe che la prossima Pentecoste potesse essere per la Chiesa e
per la nostra comunità un’occasione per essenzializzare le nostre complesse
geometrie pastorali per vivere di più lo slancio di un abbandono pieno di
fiducia a un signore che c’è.
Nessun commento:
Posta un commento