Il vangelo di settimana scorsa che poneva al centro l’insegnamento di Gesù sul sabato si chiudeva con la citazione di Isaia, ovvero con l’annuncio di un Messia che non grida e non fa udire in piazza la sua voce, non spegne la fiamma smorta e non spezza una canna incrinata
E così questa domenica, in una progressione tematica, ci è proposta l’immagine di un Signore che si prende cura dell’umanità ferita
Così dice un racconto rabbinico a proposito del Messia
Il Rabbi Giosuè ben Levi capitò davanti al profeta Elia che stava ritto sulla porta della caverna del Rabbi Simeron ben Yohai. E chiese ad Elia: «Quando verrà il Messia?». Elia rispose:
«Vai a domandarglielo tu stesso». «Dove si trova?».
«È seduto alle porte della città». «Come potrò riconoscerlo?».
«È seduto tra i poveri coperti di piaghe. Gli altri tolgono le bende a tutte le loro piaghe nello stesso tempo e poi rimettono le fasce. Ma egli toglie una benda alla volta e poi la rimette dicendo a se stesso: `Potrebbero aver bisogno di me; se ciò accadesse io devo essere sempre pronto per non tardare neppure un momento»
Ed è proprio così il Signore a cui abbiamo creduto
1 uno che sta alla porta della città, ma anche in mezzo alle strade, nelle case. Non il Dio confinato nello spazio sacro, non il Signore che si fa cercare, servire, adulare ma, con i tratti della povertà, seduto fra i poveri, li va a cercare e si confonde fra di loro, lascia che siano loro a riempire l’agenda della sua giornata
2 un Signore ferito…e ringrazio perché la nostra fede non ci fa credere in un Dio impassibile e distante ma in un Signore crocifisso, compagno nel dolore e non solo nella gioia, uno che sa sulla sua pelle cosa significa il dolore.
Mi libera dall’imbarazzo di quando rimango senza parole e non so a quale repertorio consolatorio attingere anche solo i pensieri di fronte a chi sta davvero male: sul retro della croce c’è un posto libero dove ai lamenti del crocifisso si unisce il grido dei malati. Dal loro sacrificio si schiude un orizzonte di salvezza
Mi fa intuire una via d’uscita quando picchio il naso contro le ingiustizie della storia e contro la sofferenza dei piccoli, immagini e storpiature che mi fanno abdicare dall’idea umana, troppo umana di un Dio giusto e onnipotente per la certezza di un Signore che porta sulle sue spalle l’ingiustizia e il male del mondo.
3 un Signore che si prende cura, che non sta con le mani in mano ma si dà da fare per alleviare il dolore e la sofferenza.
Proprio come nello stralcio del vangelo di oggi in cui Gesù guarisce due ciechi, un indemoniato e poi, forse un’esagerazione di Matteo ma comunque era questo il ricordo che di lui teneva vivo la prima comunità dei credenti, tutte le malattie e infermità.
È interessante però annotare come Gesù operava queste guarigioni. Chiedeva fede, domandava a chi gli stava di fronte e gettava su di lui il suo affanno di non smettere di affidarsi. Alla Grazia, che era pronto a dare in abbondanza domandava si unisse uno sforzo di libera adesione, uno slancio volontario. A tal punto unite, Grazia e libertà che non si distingue più molto se il miracolo è opera della sua potenza straordinaria o della fede del malato.
Certo che questi prodigi suscitavano un grande clamore e la sua fama si diffondeva suo malgrado: Gesù infatti non voleva accelerare nulla nella rivelazione di sé, temeva di precorrere troppo in fretta la strada, o di bruciare in modo rapido le tappe così da lasciare spiazzata la folla. È molto emblematico in effetti che, accanto a chi spiccava il volo nel cielo della fede, allo stesso tempo, qualcuno non riusciva proprio a credere e si dava spiegazioni anche prive di fondamento.
Per avviarci verso la conclusione, credo sia importante oggi riscoprire il volto di un Signore così e risvegliare in noi la nostra fede perché lui possa guarire i nostri cuori.
Siamo tutti in effetti un po’ malati. Ci portiamo spesso ferite che abbiamo vergogna a mostrare a noi stessi, per quanto riguarda la nostra affettività, la nostra sessualità, il nostro equilibrio psicologico, le nostre relazioni. Spesso poi sulla pelle ci bruciano le ferite delle tante ingiustizie che ci tolgono libertà e dignità. Consegniamo nelle mani di Gesù quello che siamo, lui è qui, in mezzo a noi, si ferma su ognuno e ci accarezza con la sua mano, ci tocca e noi possiamo davvero guarire.
Non abbiamo timore nemmeno a consegnare nelle sue mani le nostre malattie, i nostri dolori e portiamogli chi dei nostri cari sta soffrendo: sarebbe bello se questa chiesa non fosse un punto nascosto al dolore del mondo ma un cuore che raccoglie tutto, una prospettiva da cui far salire a Dio il grido dell’umanità sofferente.
E infine non dimentichiamo che noi possiamo operare il miracolo più grande, noi che incontriamo Cristo e come comunità siamo chiamati, come ci ricorda Paolo, a portare oggi a chi soffre, con l’amorevolezza e la carità, la sua presenza. Saremo così come un suo prolungamento agile, il sorriso di Dio a questa umanità che non possiamo smettere di amare.
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