domenica 7 marzo 2010

terza di quaresima

Caro Giovanni,
ho trovato il coraggio di scriverti queste righe a distanza di molti anni dalle cose vissute assieme. Sono pensieri a lungo meditati che finalmente trovano forma. Ti starai chiedendo perché proprio tu sei il destinatario di questa lettera: quando ho iniziato anch’io a seguire il Maestro mi hanno sempre colpito la tua audacia, la tua attenzione, la tua capacità di imitarlo e la tua voglia di primeggiare fra tutti e in effetti – non senza un pizzico d’invidia da parte nostra – per te Gesù ha sempre avuto un occhio di riguardo! Da quello che mi hanno raccontato tu sei l’unico rimasto ai piedi di quella croce su cui è finita la sua storia. Non credo sia vero quanto dite sia accaduto dopo: la Risurrezione è un fatto troppo grande per essere già presente in questa nostra storia così prosaica! Tu sei rimasto fino alla fine, io sono andato via nel bel mezzo della scena; tu sei stato coerente ed è una dote che non credo di aver mai avuto.
Forse ti ricorderai di quel giorno in cui Gesù ci ha messi con le spalle al muro senza risparmiarsi parole dure. Mi risuonano ancora nella mente, lo scorrere del tempo non ha levigato per nulla la loro forza. Voleva che noi scegliessimo lui e la sua strada oppure che ce ne andassimo per sempre: per lui la logica del numero non è mai stata importante; per il nostro bene ci chiedeva di non tenere aperte scorciatoie, ci obbligava a una decisione, ci voleva seriamente liberi. Libertà…che parola grande! Solo ora comprendo che significa poter decidersi per qualcosa o per qualcuno. Allora pensavo che fosse non avere vincoli, non essere schiavi di nessuno. Ma se non ti decidi resti schiavo dei compromessi e delle paure.
E io di paure ne avevo tante: la sua strada mi affascinava, sentivo che era davvero giusta, aveva parole come non ho sentito mai da nessuno eppure intuivo che il prezzo da pagare sarebbe stato troppo caro: l’amore, se ti prende fino in fondo, ti porta a spezzarti e a donarti senza riserve. Mi piaceva stare ad ascoltarlo ma non mi sono mai deciso a rompere con il mio mondo così rassicurante di leggi e di precetti: con lui non bastava non fare il male, bisognava compiere il bene ed è una strada troppo in salita per uno come me che è sempre stato ripiegato sulle sue piccole cose. Il Dio di cui ci parlava è amore incondizionato che chiede di essere perfetti nell’amore come lui, troppo vago per chi come me ha bisogno di un Dio giusto che mi dice come vivere il mio tempo e come giudicare le cose e le persone attorno a me.
Ti starai chiedendo se anch’io quel giorno ho preso fra le mani almeno una pietra per tirargliela addosso. No, non sono arrivato a tanto ma ero accanto a chi era pronto a ucciderlo. Il suo discorso era talmente lucido che non riuscivamo a tenergli testa e ci sentivamo impotenti, smascherati, a corto di parole. Era come la luce del sole al mattino: pian piano le sue parole mettevano in risalto le nostre zona d’ombra e questo ci faceva rabbia. Avrei voluto scomparire quel giorno di fronte al vociare della gente che ascoltava e davanti alla quale ci ha messi in ridicolo, quella gente che ci ha sempre temuto e rispettato e che ora poteva scoperchiare il fondale della nostra ipocrisia e della nostra incoerenza.
Una sola cosa avrei voluto chiedere a Gesù: il suo sorriso. Ho sete della gioia vera, non l’ho mai provata, penso che avergli girato le spalle sia stata un’occasione perduta per poterla conquistare. E ora è troppo tardi! Ti prego, alla tua pagina che racconta di quel giorno, aggiungi alle parole Verità e Libertà anche la parola Felicità! Penso sia strettamente legata.

Con affetto,
Giona il fariseo, un compagno di viaggio perduto.

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