sabato 14 agosto 2010

XII dopo Pentecoste

Israele, gettato come cerniera fra occidente e oriente, ha sempre dovuto scegliere con chi schierarsi fra i venti di guerra che spiravano da una parte o dall’altra. Nel secolo in cui è ambientata la lettura di 2 Re, Sedecia si allea con l’Egitto andando incontro alla disfatta personale e del suo popolo: Gerusalemme viene distrutta da Nabucodonosor e con essa il Tempio, simbolo della sua vita e il popolo è deportato a Babilonia. Tuttavia questo adempie la profezia di Geremia, forse il profeta che più di tutti ha sofferto per la franchezza della sua parola. Aveva da tempo denunciato la corruzione dei notabili del suo popolo e del Re, segno dell’abbandono della logica di Dio per inseguire orizzonti troppo umani e calcoli troppo bassi, aveva criticato aspramente la scelta di allearsi con gli egiziani e aveva rimproverato il re di non accorgersi del segno dei tempi e così l’epilogo segue un copione immaginato e annunciato. La Parola di oggi è un esempio mirabile di come la storia dell’uomo può essere letta e interpretata alla luce della fede. La storia, anche nelle sue pagine più drammatiche, non è un susseguirsi casuale di episodi, non è un ciclico ritorno di guerre e distruzioni alternati a momenti di pace, ma è l’esito delle scelte dell’uomo, è dettata dalla libertà che può inoltrarsi lungo sentieri contorti e le conseguenze negative sono imputabili solo a chi ha compiuto tali passi; eppure la Provvidenza continua a d esserci, un Dio che ha il coraggio di consegnare il destino delle cose all’uomo è un Padre che non abbandona i suoi figli e che dà loro appuntamento all’angolo del fallimento per riprendere il cammino. Il profeta deve incarnare esattamente questa prospettiva, deve essere voce di denuncia per indicare come correggere le proprie scelte per non pagare alto il prezzo del proprio male, ma allo stesso tempo, quando la disfatta è compiuta, deve essere capace di dare speranza, di squarciare ancora la possibilità di un orizzonte, deve gridare che è ancora possibile riprendere la strada. E in effetti Geremia andrà a Babilonia, resterà con il suo popolo nella sofferenza e saprà ridare fiducia facendo eco alla scelta di Dio di ricostruire Israele a partire da quel resto che abbiamo sentito è rimasto nella Terra. Ma questo lo leggeremo domenica prossima.
Cosa dice a noi questa pagina. Anzitutto risveglia in noi quello spirito profetico che, anche la scorsa settimana, abbiamo detto deve essere giudicato essenziale per il nostro cammino di fede. Dio ha bisogno ancora oggi di profeti come Geremia, di parole decise e controcorrente come quelle di Paolo nell’Epistola. Noi, e proprio noi – chi altri al nostro posto? – dobbiamo porre l’accento sulla corruzione dei potenti, sui calcoli incerti del pensare comune che distruggono l’uomo e la sua dignità, dobbiamo, come Chiesa della base, dare eco ai segni dei tempi perché chi poi è chiamato a discernere e a decidere, possa ascoltare meglio lo Spirito: su quanti temi oggi la Chiesa dovrebbe ripensare meglio se stessa come serva dell’uomo e al servizio della gioia del mondo, o quali scelte devono essere messe all’ordine del giorno per essere più decisamente evangelici e meno ancorati ai segni del potere! E poi, proprio perché profeti, dobbiamo sporcarci le mani con la storia, scendere in campo dalla parte dei poveri però e dare speranza a chi è nel buio, a chi sente forte il peso della sconfitta, a chi ha perso l’orizzonte, a chi è solo, a chi vorrebbe volare ma porta con sé, come delle stigmate, la sfiducia e la stanchezza.
Essere così è terribilmente affascinante ma anche, in verità, spaventosamente pericoloso. Accennavo già al fatto che Geremia ha rischiato molto spesso di essere ucciso perché indispettiva i potenti del tempo, ha pagato certamente con il carcere la sua profezia. E il vangelo rimarca questa pericolosità, la sottolinea con questo grido accorato e commovente di Gesù. Anche lui pagherà care le parole ma anche i gesti che annunciano un Dio vicino agli ultimi e ai poveri. E il suo destino è di tutti quelli che abbracciano il suo cammino, anche il nostro dunque…un servo non è mai di più del suo Maestro! Quante persone non fanno carriera per quella parola di troppo sul posto di lavoro in difesa di alcuni principi di legalità e umanità, quante persone vengono lasciate sole perché hanno il pallino di difendere sempre e comunque i poveri cristi,quanti vengono tagliati fuori dal mondo di chi conta perché la loro fede è giudicata inconciliabile con la cultura e la contemporaneità?
Ma se è vero che Dio c’è ed è all’opera è meglio giocare su lunga scala, scommettere sul tempo perché ride bene chi ride ultimo!

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