domenica 15 novembre 2009

I di Avvento

Inizia oggi un nuovo anno liturgico. L’anno Liturgico segna il tempo sacro nello scorrere del tempo ordinario, la Grazia della presenza di Dio nella debolezza della storia dell’uomo. Auguri perché la Parola che ascolteremo, i Santi Segni della Liturgia che incontreremo e il Pane che spezzeremo aumentino la nostra Fede e la Fede si trasformi presto in Carità così che possiamo essere davvero persone nuove, profumati di Vangelo, con in un cuore una grande speranza, con le mani piene di futuro. Sappiamo che il nuovo Lezionario ambrosiano è strutturato in 3 grandi cicli: il Mistero dell’Incarnazione, che parte con oggi e si compie prima della Quaresima. Il mistero della Pasqua del Signore che abbraccia la Quaresima e le settimane dalla Pasqua alla Pentecoste e poi il tempo della Pentecoste che va dalla da quella Festa fino a Cristo Re. Con oggi entriamo dunque nella prima parte del Mistero dell’Incarnazione, nel tempo di Avvento. Le letture di queste settimane ci aiuteranno a rivivere l’attesa del Messia da parte di tutto Israele: ci metteremo dunque in ascolto delle profezie antiche e diremo che questa attesa si è compiuta in Gesù. Ma non solo: l’Avvento, mentre ci prepara al Natale, ci aiuta a rimanere in attesa del compimento del Regno con il nuovo ritorno del Signore. Ci aiuta ad affinare quell’attesa definitiva del Risorto. Perché così come il Signore si è affacciato nella Storia rivelando il suo Volto e restando fedele alla sua Promessa ritornerà fra noie sarà festa!
Penso che l’Avvento ci consegni fondamentalmente questi tratti spirituali che vanno maturati ogni giorno nella preghiera che soprattutto in questo tempo deve farsi ascolto intenso e contemplazione ammirata:
- affinare il senso dell’attesa relativizzando il presente perché la luce del Risorto che tornerà già ora ci fa comprendere su cosa è necessario puntare la nostra vita e cosa invece non merita la nostra fatica. È un esercizio che ci libera da ogni ansia. Se si vive così quello che il mondo considera così importante, il potere, il successo e la ricchezza, in realtà non ha valore mentre solo l’amore conta.
- Relativizzare il presente al futuro però non significa fuggirlo, tradirlo, dimenticarlo. La vigilanza, che è il modo giusto di attendere il futuro, ci chiede di non sprecare nemmeno un attimo della nostra vita a imitazione di Cristo, cioè nell’amore e nella consegna di noi stessi ognuno con la sua vocazione.
- Avere nel cuore la certezza che il Padre mantiene sempre le sue promesse e quindi scoprirci figli amati, accuditi, circondati da ogni premura.
Il tema di questa domenica è la venuta del Signore. Le letture sono avvolte di un velo di castrofismo, richiamano l’imminente venuta del Signore come di un’ora di Giudizio ineluttabile, si fanno appello a restare fedeli all’Alleanza, ad essere nel presente figli della luce per essere riconosciuti e abbracciati da Dio. Vorrei soffermarmi in particolare sul brano del vangelo. Gesù coglie l’occasione per parlare dei tempi ultimi profetizzando la distruzione del Tempio e di Gerusalemme. Quando Luca scrive probabilmente tutto questo era già accaduto, e possiamo immaginare le reazioni di sconcerto, paura, il senso di sconfitta e anche di disperazione della comunità ebraica e anche di quella cristiana costrette ad abbandonare la propria terra e iniziare quel pellegrinaggio che si è protratto nei secoli, a sottostare a leggi di paesi culturalmente e religiosamente agli antipodi rispetto alla propria fede, a rischiare la vita per difendere le proprie radici. Ritrovare nelle parole di Gesù l’adempiersi della profezia doveva suscitare grande stupore, meraviglia, una luce. Se Gesù sapeva vuol dire allora che la storia non è dettata dal caso o dalle forze del male, che questo è un passaggio necessario, una crisi, una spaccatura con ciò che stava prima ma che fa da preludio ai tempi della stabilità del Regno. È possibile allora trovare speranza anche nei giorni della’marezza e dello sconforto, ritrovare dignità, alzare il capo e non guardare al cielo come ad un Nemico ma come ad un Dio che misteriosamente non ha smesso mai di accompagnarci e che ci prepara un futuro di pace. Senza questa contestualizzazione storica questa pagina rischia di essere incompresa. Ma cosa dice a noi in questo scorcio di inizio millennio. Forse che i tempi della distruzione, della violenza, della prova della fede, per cui ti trovi a pagare in prima persona se vuoi essere coerente con il Vangelo di Gesù, non sono ancora finiti, forse che i nostri giorni, come allora, sono preludio del Regno che certamente verrà. E più tarda a venire e più il cuore, di fronte alla scelta di raffreddarsi, invece deve raccogliere la sfida della vigilanza e tenersi caldo. Gli atteggiamenti che Gesù propone ai suoi valgono allora anche per noi e potremmo sintetizzarli con sue parole: il coraggio e la speranza.
Il credente è un uomo coraggioso, che guarda in faccia la storia, sa prendere posizione, sa discernere nel presente ciò che è giusto da ciò che è sbagliato al costo di pagare, di rimanere da solo, di affrontare a testa alta ogni sfida. Di più, il coraggio è l’agire del cuore (cor-agere), dunque significa non smarrire la propria anima, non svendere il proprio cuore, perseverare nell’amore pur fra mille paure. E poi la speranza. Questa forse è la cosa che contraddistingue più di ogni altro uomo il credente. La speranza infatti non è solo non cedere al pessimismo, non è un banale ottimismo ma è la convinzione che le cose non possono che andare bene perché chi ha in mano il timone della storia è il Dio della vita. La speranza è come una gioia discreta che nasce dal cuore e ti fa camminare con il sorriso mentre tutto attorno invita alla disperazione. La Speranza è ciò di cui più siamo a corto nel nostro mondo che è irrimediabilmente ripiegato sulle cose del presente e non sa più alzare lo sguardo. Il credente lo riconosci da come guarda le cose del presente e da come sa attendere il futuro in sé e negli altri.

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