domenica 14 aprile 2013

terza domenica di Pasqua

Le letture di questa terza domenica di Pasqua – non dopo Pasqua, ricordiamo che la Liturgia ci sta facendo vivere quest’arco temporale come un unico grande giorno, un giorno di gioia perché questo è la caratteristica identificativa del credente – sono state sapientemente correlate e proprio nel loro insieme si coglie l’indicazione per il nostro cammino di fede.

Partiamo dal brano di Vangelo. Giovanni contestualizza i capitoli 7 e 8 del suo Vangelo a Gerusalemme e in particolare nel Tempio durante la festa delle Capanne, una settimana intera di riti e di preghiere con al centro le simbologie dell’acqua e della luce, per ringraziare Dio per la sua Provvidenza tangibile nell’abbondanza del raccolto, una prossimità non venuta meno anche nell’ora dell’Esodo lungo il cammino nel deserto, quando il popolo doveva stare sotto a delle tende, a delle capanne appunto. In questa festa era fortissimo il rimando all’attesa messianica, quando il tempo sarebbe arrivato alla sua pienezza, giorni in cui Dio preparerà una tavola con un banchetto squisito. Basta solo questo richiamo per comprendere la posizione di Gesù in questo dialogo che assomiglia, per la durezza delle posizioni di chi gli sta di fronte, ad un processo. Lui è la vera luce, lui è il compimento delle promesse, lui è l’acqua che disseta, lui è il segno della premura del Padre, lui è la certezza di una gioia che nasce dalla riconciliazione, lui è parametro di un mondo nuovo. Provo a sostare sull’immagine della luce. La luce, come quella dell’alba, avanza progressivamente e, mentre cresce, riesci a cogliere i contorni di cosa ti sta attorno e di chi ti circonda. La verità che si rivela ha proprio questo avanzare progressivo. Dio non si impone mai, non fa mai violenza alla libertà della sua creatura, e di lui solo poco a poco puoi cogliere i tratti del suo volto. C’è una dinamica, un movimento di progressivo avvicinamento di Dio a te. La fede non è adesione ad un sistema rigido. Ma anche il tuo progressivo cammino di affidamento e di scoperta di una nuova prospettiva sul mondo e su di te. La fede conosce dunque anche gli stalli, le brusche frenate, i passaggi in cui sembra di aver smarrito le coordinate. Ma alla luce si può anche opporre resistenza, ci si può sottrarre. Se io sigillo le finestre della mia casa la luce anche del sole d’estate non potrà entrare. Io posso rintanarmi nelle mie posizioni, non lasciarmi dire da Dio, preferire il mio orizzonte al suo, posso arroccarmi nel mio modo di vedere le cose. È proprio quello che accade a questi uomini che hanno già pronunciato una condanna, che preferiscono il loro sistema, hanno rifiutato la testimonianza di Gesù e hanno deciso di escluderlo dal loro mondo perché il suo Vangelo è troppo inquietante, ha la pretesa id ridisegnare i confini dell’uomo e del mondo nella logica della povertà e del servizio che non si risparmia per amore in nulla. Il loro no, sappiamo, diventa violenza cieca, grido che mette a tacere il Vangelo, esclusione di Gesù, giudizio impietoso senza essersi lasciati interrogare. E Gesù accoglie come un seme che deve cadere in terra e morire il loro giudizio. Si lascia mettere fuori, escludere, sapendo che l’amore, per essere vero e credibile, non può non comprendere anche la dimensione della sofferenza e del dono definitivo di sé.

Ma proprio qui si innesta il contributo del racconto di Paolo a Roma in Atti e della sua Lettera ai Romani. Quel seme, quella testimonianza solo in apparenza naufragata nel fallimento, ora fiorisce nel cuore del mondo di allora, a Roma. C’è un percorso carsico che è proprio della storia della fede: quando sembra che tutto sia finito, che non ci sia più spazio per il futuro della fede, il Vangelo esplode con forza oltre un confine inimmaginabile. Perché basta un solo discepolo che accoglie la Parola e si lascia avvincere permettere mano alla rivoluzione della storia. E anche questo rifiorire della Parola è presagio della risurrezione! Paolo sa sfruttare la sua condizione di prigioniero agli arresti domiciliari per non tacere il Vangelo ma per annunciarlo a tutti quelli che lo vogliono conoscere e incontrare.  Anche Paolo darà la sua vita, ricalcherà le orme del suo Maestro e anche lui sarà seme che muore, pronto a consegnare la sua testimonianza a qualcun altro. E così la corsa della fede non si è mai arrestata e bussa al nostro cuore proprio questa sera.

Una Parola così ci interroga anzitutto sulla nostra fede. Come mi pongo di fronte alla luce che è Gesù. Io posso sottrarmi come lasciarmi conquistare. La vita, soprattutto quando si accumulano le frustrazioni o il disincanto fa da padrone, può progressivamente ripiegarsi e chiudersi. A volte capita di masticare rabbia e amarezza e convincerci che in noi e attorno a noi non cambierà mai nulla. Credere nella risurrezione, come stiamo dicendo noi stasera, ci obbliga però al contrario. Se lasci che la luce entri nelle zone d’ombra del tuo cuore, negli angoli più sigillati, se lasci che la logica del Vangelo sia un raggio anche nelle retrovie di questa storia allora dai il via ad una rivoluzione che sovverte i parametri del mondo, ma del tuo innanzitutto!
Non avere paura a raccogliere fra le mani il testimone della fede. La testimonianza, quando è giocata in autenticità, quando è coerente, quando incrocia la vita e la interpreta sul serio, è una sorgente che disseta. Magari non te per primo ma sicuramente qualcuno che ti sta accanto. Ogni parola vera, ogni lacrima versata per il Vangelo, ogni scelta, anche quelle più semplici, vissute per non tradire il Signore non andranno mai perdute ma sono in potenza un mondo nuovo.  E così anche tu diventi luce per qualcuno. Seme che per amore si abbandona alla terra ma che presto rivivrà in evidenza limpida!

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