Partiamo dal brano di Vangelo.
Giovanni contestualizza i capitoli 7 e 8 del suo Vangelo a Gerusalemme e in
particolare nel Tempio durante la festa delle Capanne, una settimana intera di
riti e di preghiere con al centro le simbologie dell’acqua e della luce, per ringraziare
Dio per la sua Provvidenza tangibile nell’abbondanza del raccolto, una
prossimità non venuta meno anche nell’ora dell’Esodo lungo il cammino nel
deserto, quando il popolo doveva stare sotto a delle tende, a delle capanne
appunto. In questa festa era fortissimo il rimando all’attesa messianica,
quando il tempo sarebbe arrivato alla sua pienezza, giorni in cui Dio preparerà
una tavola con un banchetto squisito. Basta solo questo richiamo per
comprendere la posizione di Gesù in questo dialogo che assomiglia, per la
durezza delle posizioni di chi gli sta di fronte, ad un processo. Lui è la vera luce, lui è il compimento
delle promesse, lui è l’acqua che disseta, lui è il segno della premura del
Padre, lui è la certezza di una gioia che nasce dalla riconciliazione, lui è
parametro di un mondo nuovo. Provo a sostare sull’immagine della luce. La luce,
come quella dell’alba, avanza progressivamente e, mentre cresce, riesci a
cogliere i contorni di cosa ti sta attorno e di chi ti circonda. La verità che
si rivela ha proprio questo avanzare progressivo. Dio non si impone mai, non fa
mai violenza alla libertà della sua creatura, e di lui solo poco a poco puoi
cogliere i tratti del suo volto. C’è una dinamica, un movimento di progressivo
avvicinamento di Dio a te. La fede non è adesione ad un sistema rigido. Ma
anche il tuo progressivo cammino di affidamento e di scoperta di una nuova
prospettiva sul mondo e su di te. La fede conosce dunque anche gli stalli, le
brusche frenate, i passaggi in cui sembra di aver smarrito le coordinate. Ma alla
luce si può anche opporre resistenza, ci si può sottrarre. Se io sigillo le
finestre della mia casa la luce anche del sole d’estate non potrà entrare. Io posso
rintanarmi nelle mie posizioni, non lasciarmi dire da Dio, preferire il mio
orizzonte al suo, posso arroccarmi nel mio modo di vedere le cose. È proprio
quello che accade a questi uomini che hanno già pronunciato una condanna, che
preferiscono il loro sistema, hanno rifiutato la testimonianza di Gesù e hanno
deciso di escluderlo dal loro mondo perché il suo Vangelo è troppo inquietante,
ha la pretesa id ridisegnare i confini dell’uomo e del mondo nella logica della
povertà e del servizio che non si risparmia per amore in nulla. Il loro no,
sappiamo, diventa violenza cieca, grido che mette a tacere il Vangelo,
esclusione di Gesù, giudizio impietoso senza essersi lasciati interrogare. E Gesù accoglie come un seme che deve
cadere in terra e morire il loro giudizio. Si lascia mettere fuori, escludere, sapendo che l’amore, per essere
vero e credibile, non può non comprendere anche la dimensione della sofferenza e
del dono definitivo di sé.
Ma proprio qui si innesta il
contributo del racconto di Paolo a Roma in Atti e della sua Lettera ai Romani. Quel
seme, quella testimonianza solo in apparenza naufragata nel fallimento, ora fiorisce nel cuore del mondo di allora,
a Roma. C’è un percorso carsico che è proprio della storia della fede:
quando sembra che tutto sia finito, che non ci sia più spazio per il futuro
della fede, il Vangelo esplode con forza oltre un confine inimmaginabile. Perché
basta un solo discepolo che accoglie la Parola e si lascia avvincere permettere
mano alla rivoluzione della storia. E anche questo rifiorire della Parola è
presagio della risurrezione! Paolo sa sfruttare la sua condizione di
prigioniero agli arresti domiciliari per non tacere il Vangelo ma per
annunciarlo a tutti quelli che lo vogliono conoscere e incontrare. Anche Paolo darà la sua vita, ricalcherà le
orme del suo Maestro e anche lui sarà seme che muore, pronto a consegnare la
sua testimonianza a qualcun altro. E così la corsa della fede non si è mai
arrestata e bussa al nostro cuore proprio questa sera.
Una Parola così ci interroga
anzitutto sulla nostra fede. Come mi
pongo di fronte alla luce che è Gesù. Io posso sottrarmi come lasciarmi
conquistare. La vita, soprattutto quando si accumulano le frustrazioni o il
disincanto fa da padrone, può progressivamente ripiegarsi e chiudersi. A volte
capita di masticare rabbia e amarezza e convincerci che in noi e attorno a noi
non cambierà mai nulla. Credere nella
risurrezione, come stiamo dicendo noi stasera, ci obbliga però al contrario.
Se lasci che la luce entri nelle zone d’ombra del tuo cuore, negli angoli più
sigillati, se lasci che la logica del Vangelo sia un raggio anche nelle
retrovie di questa storia allora dai il via ad una rivoluzione che sovverte i
parametri del mondo, ma del tuo innanzitutto!
Non avere paura a raccogliere
fra le mani il testimone della fede. La testimonianza, quando è giocata in
autenticità, quando è coerente, quando incrocia la vita e la interpreta sul
serio, è una sorgente che disseta. Magari
non te per primo ma sicuramente qualcuno che ti sta accanto. Ogni parola
vera, ogni lacrima versata per il Vangelo, ogni scelta, anche quelle più
semplici, vissute per non tradire il Signore non andranno mai perdute ma sono in
potenza un mondo nuovo. E così anche tu diventi luce per qualcuno. Seme
che per amore si abbandona alla terra ma che presto rivivrà in evidenza limpida!
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