Mi chiedo a volte se credere nel Risorto non sia più una condanna piuttosto che una speranza! Credere in Dio va bene, credere che sia il principio ultimo e primo dell’esistenza ci risulta abbastanza logico…possiamo accettare di credere che ci dia delle norme da seguire per essere uomini retti o credere addirittura che in base a questi precetti, osservati o meno scrupolosamente, saremo giudicati. Ma che un giorno Dio si sia deciso a piantare i paletti della sua tenda fra noi, abbia preso sulle sue spalle la nostra umanità e con i suoi piedi abbia calcato la nostra stessa polvere, che si sia fatto nostro fratello e compagno di viaggio, che abbia voluto entrare in relazione con noi e che faccia dell’amore la cifra sintetica del suo rapporto mi sembra un discorso terribilmente impegnativo perché vuole cambiare il nostro cuore e non limitarsi ad una pratica esteriore. Gesù Nazareno, crocifisso e risorto continua a essere un Dio così. La nostra fede prende le mosse da un accadimento e trova espressione in una relazione personalissima e comunitaria. I 50 giorni che seguono la Pasqua sono un giorno unico in cui la Liturgia ci aiuta a risvegliare in noi la certezza della sua presenza, affinare i sensi e ritrovarlo al nostro fianco, nella nostra vita, nella Chiesa, nella storia e nel mondo. Ma sono anche giorni di conversione alla verità della nostra fede, se vogliamo, sono ancora giorni di lotta contro le tenebre della nostra incredulità o per cambiare prospettiva sul nostro Dio e dunque su noi stessi.
Ci è stato raccontato l’episodio di Tommaso che si colloca appunto otto giorni dopo il mattino della risurrezione: ecco perché puntualmente, ogni anno, noi leggiamo nella II domenica di Pasqua questa pagina di Giovanni. Ma perché Tommaso si era allontanato dalla comunità? È proprio dalla sua assenza che prende avvio la narrazione di questa pagina e il suo contenuto. Essenzialmente per un motivo di fede. Uno dei dodici, uno che Gesù aveva scelto perché lo seguisse e facesse di lui il motivo della sua vita ha sperimentato sulla sua pelle il dramma dell’incredulità. Nel suo cuore la sua sequela a Cristo si era arrestata alla croce, la sua fede e la sua speranza si erano conficcate alla morte con i chiodi della delusione. E per questo trova anche il coraggio di uscire da quel gruppo, senza darsi e dare agli altri una possibilità, senza immaginare una prospettiva futura al suo cammino. E proprio nel cuore di questa notte dolorosa il Crocifisso-Risorto lo raggiunge, si mostra in mezzo a quel gruppo riunito nel suo nome e compie la tenerezza del gesto di afferrare le dita incredule di Tommaso e portarsele al costato e sul segno dei chiodi inciso sulle mani. Gesù va alla ricerca di tutti, di ognuno, ai suoi occhi è preziosa la nostra vita e lui si è legato a noi con una fedeltà inscalfibile. Tommaso rinasce alla luce del Risorto e diventa testimone fino agli estremi confini del mondo: la tradizione ci racconta che è stato proprio lui a varcare i confini dell’oriente e portare il vangelo nelle regioni a nord dell’India . L’ultimo ad essere arrivato alla fede è quello che arriva più lontano nell’annunciarla!
Il dramma dell’incredulità dell’uomo di oggi assomiglia molto a quella di Tommaso, In noi si è fatta debole l’idea non tanto di Dio ma della vita dopo la morte, dell’eternità. Anche in noi si agitano le tenebre del non senso e lottano contro quei bagliori di fede che di tanto in tanto ci sono donati. Capita di vivere questa sensazione quando ci è strappato qualcuno di caro, oppure quando la depressione arriva con il suo carico angosciante nelle piccole morti che la vita ci riserva. Ma anche pensando alla nostra morte a volte ci assale la paura che dopo ci sia il nulla più assoluto, e che la morte sia la fine di tutto.
Io penso sia positivo essere fratelli di avventura di Tommaso, alzare le mani e arrenderci alla certezza che la parte credente in noi dovrà continuamente farsi mettere in gioco dalla parte non credente, che nel nostro cuore convivano il giorno e la notte, che ad ogni passo in avanti a volte ne seguono due indietro. E questo ci fa fratelli che siedono alla mensa di chi non crede più e di chi sperimenta e paga sulla sua pelle il dramma dell’incredulità. Capiremo il dolore dell’altro quando lo avremo sperimentato anche nella nostra esistenza. Ma scopriremo poi l’essenziale e cioè che la fede non è un problema che si risolve per assiomi ma un cammino in cui Dio si rivela al nostro cuore e ci dà la luce necessaria per il nostro cammino di ogni giorno.
E noi, come Tommaso, sperimenteremo che si può essere testimoni con il bagaglio della nostra incredulità che lotta con la fede, testimoni e non maestri cattedratici e distanti!
Ma, un ultimo dettaglio, quando la nostra fede entrerà nella notte della fatica, crediamo alla voce di qualche fratello che con forza vorrà riportarci nel cuore della nostra comunità e della Chiesa dove, con tutti i limiti possibili, brucia da sempre la fiamma dello Spirito e, grazie alla fede di qualcun altro, anche la nostra lampada smorta potrà riattizzarsi.
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