Queste domeniche del tempo pasquale, mentre ci conducono speditamente al giorno della Pentecoste in cui la Chiesa rinascerà nell’abbondanza del dono dello Spirito creatore e creativo, ci aiutano ad affinare i nostri sensi per scoprire la presenza del Risorto nella storia, nella nostra vita e nella Chiesa. Se fossimo certi e convinti che Gesù non muore più ma cammina in mezzo a noi, non resisteremmo al bisogno di danzare di gioia, di slanciarci nella festa, di superare i guadi oscuri che la vita, con la sua corsa affannata, ci fa attraversare.
Il lezionario delinea i tratti del suo volto. Oggi in particolare siamo chiamati a riscoprire nel Risorto la luce della nostra vita.
Vorrei allora anzitutto interrogare la Parola del Vangelo, così pregnante, chiedendole cosa significava per i protagonisti e cosa vuol dire per noi accogliere la testimonianza luminosa di Gesù. E poi vorrei dare un’eco alle letture chiedendoci in che senso la Chiesa è chiamata oggi, sull’esempio di Paolo, ad essere testimonianza della Luce del Risorto per la vita del mondo.
Gesù non usa mezzi termini per parlare della sua missione, non edulcora il suo insegnamento, non scende a compromessi sulla sua persona. Gesù poneva chi lo ascoltava molto spesso con le spalle al muro: è proprio come la luce del sole a mezzogiorno che accorcia la lunghezza delle ombre o come la luce dell’alba che irrompe improvvisa e fa svanire le tenebre della notte. Lui è la Verità uscita dal Padre, chi vuole conoscere Dio deve percorrere la sua via, lui dà testimonianza al Padre e il Padre la rende a lui attraverso le sue opere. Chi ascoltava e gli stava di fronte invece voleva rinchiuderlo in uno schema predefinito, voleva imprigionarlo in un’idea che stava stretta, voleva annullare il confronto per non aprirsi e cambiare il cuore. Lo giudicava per non uscire allo scoperto, lo attaccava per paura di dover convertirsi alla verità di Dio: non il Dio della Legge che si accontenta di chiederci di non praticare il male, ma il Padre che chiede ai suoi figli di essere buoni come è lui e che chiede che l’Amore diventi il parametro esclusivo di ogni scelta. Non il Dio della tradizione, non l’idea illusoria che a salvarci saranno le nostre forze e le nostre opere, ma il Padre che salva per Grazia e nella Misericordia rende la nostra debolezza punto di forza. La luce avanza, scardina i chiavistelli più tenaci e irrompe. Chi la lascia entrare rinuncia a quelle zone d’ombra, a quelle nicchie sicure in cui rifugiarsi e lentamente diventerà una persona nuova. Entrerà a far parte della famiglia di Dio. Anche noi possiamo oggi aprirci alla luce che è Gesù e riconoscerlo all’opera nella nostra vita, aprirci alla certezza che Dio è Padre anche per noi e che la nostra vita si può giocare in uno scenario di totale estroversione, di amore ai fratelli, e in un’estasi assoluta, nella continua contemplazione del volto del Padre. Oppure possiamo chiuderci a lui e sprofondare nel buio della disperazione o, almeno, della stanchezza che si manifesta nella critica a tutto e a tutti. Negli occhi dei credenti deve brillare una luce diversa, una fiamma di speranza e di carità; i cristiani devono avere un occhio acceso di passione per l’uomo e per Dio. E questo tratto rende incredibilmente giovani anche i più vecchi. E se non c’è luce, non c’è fiamma negli occhi, possiamo anche essere giovani ma in fondo, siamo come morti. La vita è in pienezza solo se è slancio d’amore alla maniera di Gesù. Anche per noi dunque vale l’alternativa forte del Maestro: la sua via è l’unica per colorare la vita dei colori della piena riuscita.
E poi abbiamo ascoltato sia negli Atti che dalle sue parole ai romani la testimonianza accesa di Paolo. Paolo, apostolo per vocazione (è interessante l’autopresentazione nelle prime righe della sua lettera), sogna di andare a Roma per condividere la sua fede con quella comunità che non era nata dalla sua opera di evangelizzazione e poi sarà la vita a portarlo lì, in catene, ma anche in quella situazione di apparente disperazione trova il coraggio di predicare il Crocifisso-Risorto, anche in quell’ora buia trova la forza di essere luce lui per chi lo vuole ascoltare e aprirgli il cuore. Il credente dopo aver accolto la luce che è Gesù diventa lui stesso luce e testimonianza del Padre.
La Chiesa ora e qui, sempre deve parlare del Vangelo, stare con il dito puntato su Gesù che passa e rendergli testimonianza; è una Chiesa che trova nella missione non un’appendice alle tante cose che già fa, ma la natura e la verità stessa di sé. Dobbiamo avere l’audacia di essere una comunità che non gioca sulle retroguardie, di essere una Chiesa che non accondiscende alla tentazione di ripiegarsi ma che in ogni occasione annuncia al mondo che la vera gioia è Cristo, una Chiesa che fa della strada l’occasione per incontrare ogni uomo e raccontargli la straordinaria notizia della Risurrezione. Sogniamo una Chiesa che rinasce dalle sue tenebre perché è abitata dalla luce del Signore e che non deve avere paura di portare la luce dell’amore in ogni situazione del nostro mondo che attende l’alba perché soffre nella notte del tempo in cui ora è costretto a stare.
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