Questo breve incontro nel pomeriggio, sospeso fra la grande celebrazione della Messa Crismale presieduta dal Vescovo e la Messa in coena Domini, sembra cosa da poco, forse una suggestiva ripetizione del gesto che Gesù fece prima di mettersi a tavola, un preliminare dovuto ma pur sempre fugace. Io invece lo trovo un momento alto che, strappato dalla cornice ritualizzata di oggi, ha una forza provocatoria capace di metterci in crisi, di farci porre interrogativi seri sul nostro Dio che vuole farsi servo dell’uomo; sul nostro essere discepoli di un Maestro così che ha occupato l’ultimo posto e chiede altrettanto a noi; sul nostro essere comunità in Barona dove ci si accoglie e ci si ama per quello che si è e ci si mette al servizio l’uno della debolezza dell’altro, una vera e propria comunità alternativa alla logica del mondo e per questo affascinante; e infine sulla nostra verità, sempre troppo distante, di Chiesa del grembiule, pronta a smettere i segni del potere per stringere fra le mani un catino e chinarsi su tutti gli uomini in povertà, in nome del Vangelo della piccolezza.
Oggi è anche un giorno speciale per noi sacerdoti: si dice infatti che proprio il Giovedì santo, Gesù, con la sua cena, inclusa dunque la lavanda dei piedi, abbia istituito il Ministero Ordinato. È allora il momento in cui dire grazie al Signore per il dono di questa mia vocazione. Lo faccio con questa preghiera che ha guidato i momenti più intensi della mia preparazione all’ordinazione ma che ritrovo ogni giorno più vera.
Signore Gesù, Tu sei i miei giorni, non ho altri che Te nella mia vita. Quando troverò un qualcosa che mi aiuta, te ne sarò immensamente grato; però Signore, quand’anche io fossi solo, quand’anche non ci fosse nulla che mi dà una mano, non ci fosse neanche un fratello di fede che mi sostiene, Tu, o Signore, mi basti, con Te ricomincio da capo. Tu mi basti, Signore: il mio cuore, il mio corpo, la mia vita, nel suo normale modo di vestire, di alimentarsi, di desiderare è tutta orientata a Te. Io vivo nella semplicità e nella povertà di cuore; non ho una famiglia mia, perché Tu sei la mia casa, la mia dimora, il mio vestito, il mio cibo. Tu sei il mio desiderio.
Basta il Signore ma non è mai venuto da solo, si è sempre accompagnato con ognuno di voi, fratelli amati di questa comunità che ho l’onore di servire. Forse questo è anche il momento in cui chiedere scusa, e lo faccio non senza un senso di vergogna, per tutti i miei limiti, i fallimenti, i malintesi, il poco tempo donato a ciascuno con la scusa di dover sempre correre, il successo e il potere ricercato dietro all’apparenza di un servizio, le mie fughe dal campo di battaglia dove si fa più forte la mischia - e chissà che anche i posti vuoti di questo pomeriggio non siano un eloquente rimprovero per il mio sonnacchioso servizio. So però una cosa: vi amo con sincerità, siete parte di me e mi avete reso parte di voi e mi vanto di dirmi della Barona anche se non sono nato qui, sono felice di consumarmi con voi e per voi, cerco in tutti i modi di prendervi per mano e di camminare incontro al Signore anche se mi accorgo di essere più portato da voi che io a trascinare! Ma alla fine poco conta: l’importante è fermarci davanti a lui e lasciarci sommergere dalla sua tenerezza.
La lavanda dei piedi: gesto di servizio disinteressato. Vorrei riflettere con voi sul fatto che ho lavato i piedi a dei bambini, dei giovani e degli educatori che rappresentano l’intero oratorio. All’appello, ma non nel mio cuore, mancano i ragazzi del cortile e quelli più in difficoltà del quartiere perché l’oratorio sono anche loro, l’oratorio è per loro e se non riesce a raggiungerli fallisce la sua missione di essere rete gettata sul quartiere per raccontare la bellezza dell’avventura cristiana.
1 Lavare i piedi ai giovani vuol dire che noi siamo occupati da loro e non preoccupati per loro. I giovani non vogliono accanto a loro persone che mettono prima (il pre della parola preoccupazione lo dice bene!) i loro ideali magari mai realizzati o i loro sogni incompiuti, persone che parlano sulle loro teste. Vogliono compagni discreti di viaggio, persone che li stimano e credono in loro per quello che sanno e possono dare, fratelli più grandi, autorevoli certo, ma comunque in relazione, occupati della loro felicità, solidi come un chiodo piantato nella roccia di una parete di montagna da scalare.
2 Servire e non servirsi. C’è una bella differenza tutta data da quel si, riflessivo, ancora una volta a dirci che i giovani fuggono chi pone il proprio egoismo come obiettivo nella loro educazione. Servire i giovani vuol dire accettare la loro differenza da noi e i loro ideali, significa stare dalla loro parte quando soffrono e anche quando sono felici, vuol dire offrire loro la ricchezza della vita spirituale e di carità e indicare al momento giusto le possibili mete. Servono dunque adulti che per primi queste cose le conoscono, non maestri cattedratici ma testimoni umili e autentici…forse per questo oggi in molti rinunciano ad essere educatori!
3 I loro piedi e non altro…vuol dire che i giovani hanno un cammino tutto loro da fare che non sempre coinciderà con il nostro. Ma possiamo imparare a camminare insieme perché si sa che da soli si va più in fretta, ma insieme decisamente più lontano!
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